domenica 29 dicembre 2019

I “bravi” tedeschi che ci prestavano i soldi


Nei vari dibattiti twitter pre- e post-natalizi, mi sono imbattuto in una schiera di “euroausterici” che tra i motivi a favore della necessità / utilità, per l’Italia, di essere entrati nell’euro, citano i finanziamenti che varie organizzazioni sovranazionali e paesi esteri (soprattutto USA e Germania) hanno concesso negli anni Settanta al nostro paese.

Ecco vedete (è più o meno l’argomentazione), ai tempi della lira (in realtà, più esattamente, ai tempi degli shock petroliferi) eravamo costretti “ad andare dai tedeschi col cappello in mano, a mendicare soldi per pagare le importazioni”.

Le cose stanno, s’intende, molto diversamente. Se quei finanziamenti fossero serviti a pagare l’import, e dato che il loro ammontare corrispondeva ad alcuni mesi di acquisti dall’estero, saremmo stati costretti ad espandere costantemente il loro ammontare, fino ad arrivare a cifre abnormi e, con ogni probabilità, al default.

La verità è che la Germania, in omaggio alle sue consuete prassi mercantilistiche, cercava di opporsi alla rivalutazione del marco. E ci prestava soldi al fine di aumentare le riserve in valuta dell’Italia, in modo che potessimo immetterle nel mercato dei cambi e ritardare il più possibile il riallineamento valutario.

L’ultimo episodio di questo tipo si è verificato nel 1992. Per cercare di non uscire dallo SME (che era un accordo di cambi fissi) l’Italia (ma anche il Regno Unito, la Spagna e la Svezia) hanno bruciato decine di migliaia di miliardi (in lire) di riserve. Terminate le quali, lo SME è saltato.

Qualcuno mi ha ribattuto che se la spiegazione corretta fosse questa, la Germania invece di prestare soldi avrebbe potuto semplicemente emettere marchi e comprare lire (e sterline, e pesetas, e corone svedesi).

Ma figuriamoci se i tedeschi, con la loro fobia per l’inflazione, si sarebbero sognati di emettere marchi per comprare una moneta a rischio di svalutazione. Non l’hanno fatto nel 1992 (e si noti che in realtà la regolamentazione SME prevedeva che lo facessero: ma come si sa, la Germania è quel paese che fissa regole a cui gli altri si devono attenere. Quando tocca a loro, ti rispondono che “il Grundgesetz, l’interesse nazionale, prevale…”).

Negli anni Settanta hanno scelto la via dei finanziamenti, espressi in marchi e garantiti da oro. Finanziamenti che l’Italia ha peraltro integralmente ripagato. La Germania ha riavuto marchi, riscosso interessi e nel frattempo aveva la garanzia aurea.

E perché le autorità italiane hanno richiesto e/o accettato tutto questo ? ai tempi, perché si pensava che in un contesto inflazionistico rimandare o ritardare il riallineamento valutario fosse una necessità. Tesi dubbia, anche perché dopo poco tempo il riallineamento comunque avveniva.

Va sottolineato, in ogni caso, che stiamo parlando di un’epoca di inflazione alta e instabile. Anni luce distante da quella odierna, dove il problema è che la domanda interna, soprattutto in Italia ma mediamente, in effetti, in tutta l’Eurozona, è debole, e la BCE cerca disperatamente – senza riuscirci – di ottenere un po’ d’inflazione in più.


giovedì 26 dicembre 2019

Il limite alla quantità di CCF da emettere


Dei possibili limiti da introdurre, anche su base legale, avevo già parlato qui. Il principio da adottare, comunque, è molto semplice.

L’impegno da assumere, sempre e comunque, senza deroghe, è la diminuzione – in ogni singolo anno – del rapporto tra Maastricht Debt (il debito pubblico che è effettivamente tale: quello da rimborsare cash, e da rifinanziare costantemente sul mercato) e PIL.

In un anno di congiuntura debole, potrebbe rendersi necessario adottare uno o più dei meccanismi di salvaguardia non prociclici descritti qui.

Ma in ogni caso, il rapporto tra CCF in circolazione e incassi lordi della pubblica amministrazione assicura che il valore del CCF resterà sempre molto vicino a quello dell’euro.

La diminuzione costante del rapporto Maastricht Debt / PIL rappresenta la miglior tutela possibile per i finanziatori del Maastricht Debt stesso, ed è quindi garanzia di stabilità del sistema.

Il limite alla quantità di CCF da emettere è in definitiva connesso all’inflazione, definita in due modi differenti.

Non spingere la domanda di beni e servizi reali al di sopra della capacità produttiva del sistema economico, per non generare eccessi di inflazione dei prezzi al consumo.

Ed evitare che in singoli anni giungano a scadenza quantità di CCF così elevate da rendere difficoltoso, “vischioso”, utilizzarli tutti (il che comporterebbe la perdita di valore del CCF rispetto all’euro).

Rispettati questi principi, il sistema è efficiente e stabile.


martedì 24 dicembre 2019

Ordine del giorno CCF

Approvato l'ordine del giorno che impegna il governo a valutare l'introduzione dei Certificati di Compensazione Fiscale.

Complimenti a Pino Cabras, che non demorde.

Trovate qui il testo.

domenica 22 dicembre 2019

I poveri pensionati giapponesi


Il Giappone rappresenta una confutazione vivente della tesi secondo la quale l’alto debito pubblico produce alta inflazione, alti tassi d’interesse e rischi di default.

Il debito pubblico giapponese è pari al 240% del PIL, ma è in yen, ed è garantito dalla potestà di emissione monetaria del paese. La Banca Centrale in effetti ne ha acquistato quasi la metà del totale.

L’inflazione è a zero, i tassi d’interesse pure, e il mercato, correttamente, stima a livelli infinitesimali il rischio default dello Stato.

Curiosamente, qualche commentatore controbatte, di fronte a queste constatazioni, che “non tutto è perfetto nell’economia giapponese”. E ogni tanto a titolo di esempio vengono riportati articoli come questo: secondo i quali il sistema pensionistico è estremamente ingiusto e inefficace, al punto che un numero non irrilevante di anziani giapponesi commettono piccoli reati per farsi arrestare e sfuggire così all’indigenza e alla solitudine.

Dall’articolo, a dire il vero, pare che il problema sia più la seconda che la prima. Ma il punto non è questo.

Non ho la minima idea in merito a quanto il sistema pensionistico giapponese sia o non sia equo ed efficiente. Può darsi che sia orribilmente male impostato.

Ma se anche così fosse, questo non dimostra per niente che le difficoltà “nascono dal debito pubblico”.

Può darsi che l’allocazione delle risorse intermediate dal settore pubblico non sia in questo caso la migliore possibile. Può darsi che più yen dovrebbero andare ai pensionati. Queste sono scelte che competono al governo e al parlamento del paese, che a loro volta ne rispondono all’elettorato.

Rimane il fatto non esistono, ai livelli attuali (quasi doppi di quelli italiani) vincoli di allocazione delle risorse imputabili alla dimensione del debito.

Non ci sono prezzi fuori controllo. Non ci sono tassi fuori controllo. Non c’è nulla che impedisca di spendere di più per le pensioni.

Non c’è lo spauracchio dello spread che condiziona le politiche economiche del paese e genera paurosi livelli di disoccupazione, di sottoccupazione, di spreco delle risorse produttive (lasciandole in larga misura inoperose).

Questi problemi li ha l’Italia. Con un debito pubblico, in rapporto al PIL, pari a poco più della metà del Giappone: ma in euro, e con gli insensati meccanismi di funzionamento dell’euro.


venerdì 20 dicembre 2019

Ho lanciato un sondaggio su twitter

Ci sono stati 621 votanti nel giro di una settimana, tra il 12 e il 19 dicembre 2019.

Domanda: "Se la Lega va al governo, come agirà nei confronti del "Problema Euro"" ?

Uscirà                                             14,0%
Introdurrà CCF o varianti                17,7%
Rinegozierà i trattati                        19,5%
Non farà niente                               48,8%

Beh se non altro il "non farà niente" è sotto il 50%.

sabato 14 dicembre 2019

CCF: opuscolo informativo

Trovate a questo link la descrizione dettagliata della proposta di legge Certificati di Compensazione Fiscale (CCF) e dei suoi presupposti macroeconomici e giuridici.

La proposta di legge, presentata a Roma lo scorso 2 dicembre 2019, è già stata sottoscritta da circa 90 parlamentari.

giovedì 12 dicembre 2019

La battaglia del MES e la non-guerra dei CCF


Giusto e doveroso opporsi alla riforma MES: ma l’Italia deve procedere sulla strada dei CCF. Senza bisogno di “battagliare” con nessuno.

La scena politica di quest’ultimo paio di settimane è stata ampiamente occupata dai problemi connessi alla “riforma MES”. E con ottimi motivi. L’intero processo si è fin qui svolto in modo tale da prestare il fianco a serissime critiche, sia di metodo che di merito.

Nel metodo, è del tutto inaccettabile l’opacità con cui il governo Conte (sia I che II) ha condotto le interlocuzioni a livello UE, nonostante gli esponenti della maggioranza parlamentare gialloverde avessero espresso forti dubbi e riserve.

Nel merito, non si vede come questa riforma dovrebbe migliorare la posizione italiana nel contesto dell’eurozona. Mentre, al contrario, si delineano molteplici situazioni in cui potrebbe risultare (ulteriormente) deleteria.

Chi difende la riforma afferma, ad esempio, che il MES potrebbe supportare il fondo di risoluzione unico per le banche, rafforzandone le capacità d’intervento. Ma possiamo contarci, quando in passato è stata addirittura bloccata sul nascere (casi Etruria – Marche - Carife – Chieti) la possibilità di attivare il fondo interbancario italiano (organismo totalmente privato) adombrando (incredibilmente) il dubbio che si sarebbe trattato di un aiuto di Stato ? E infliggendo, di conseguenza, perdite a decine di migliaia di obbligazionisti ?

E’ molto più plausibile che, come già accaduto soprattutto con i casi greco e spagnolo, i nuovi meccanismi MES rendano ancora più facile addossare al “conto comune dell’Eurozona” e quindi anche all’Italia le perdite subite da banche francesi e tedesche.

Addirittura comica, poi, l’affermazione secondo la quale l’Italia non si deve preoccupare perché “il nostro debito pubblico comunque è sostenibile”. Quindi dovremmo impegnarci fino a un massimo di 125 miliardi per un meccanismo assicurativo del quale ci viene detto che non avremo necessità ?

Vi è mai venuto a trovare un agente assicurativo per dirvi “sottoscriva questa polizza, in teoria se si verifica il sinistro potremmo espropriarle la casa prima di pagare il rimborso, però non è un problema perché in realtà il sinistro è impossibile” ?

Tutto comico, dicevo: se non fosse tragico.

Il risultato della levata di scudi della Lega e anche di una parte del M5S è che la conclusione dell’accordo è stata rinviata a inizio 2020. La classica tattica UE di calciare il barattolo in avanti. E’ stato quindi evitato, per ora, il peggio, anche se il problema tornerà in primo piano tra pochi mesi.

Nel frattempo potrebbero essere accadute parecchie cose – tra cui magari la caduta del governo Conte II e le elezioni anticipate.

Poteva andare peggio. Però rimango estremamente preoccupato nel constatare che l’Italia continua a muoversi, affannosamente e con il rischio di non riuscire a tamponare le falle prima che la barca affondi, sempre e solo per evitare danni peggiori. Perché, tra parentesi, mi auguro anzi conto sul fatto che si riesca a non peggiorare il MES. Ma il MES comunque esiste, ed ha già fatto grossi danni così com’è.

Nello stesso tempo, continua a non vedersi una strategia di soluzione complessiva delle eurodisfunzioni.

Lo strumento esiste, ed è il progetto CCF. Ed esiste anche una significativa porzione di parlamentari M5S (una novantina in tutto) che hanno sottoscritto la proposta di legge che abbiamo presentato a Roma lo scorso 2 dicembre.

Non è poco, anzi potenzialmente è un passo decisivo. Purtroppo novanta parlamentari non sono la maggioranza della compagine M5S, e comunque il M5S al governo ci sta (per quanto ancora ?) con il PD, la cui unica preoccupazione è ingraziarsi l’establishment di Bruxelles. E negoziare, s’intende, contropartite non per il paese ma per i singoli. Un commissariato UE qui, un posto nel consiglio di amministrazione della grande istituzione finanziaria là.

Questo assetto non durerà. Ma la futura compagine governativa, quale che sia, deve dimostrare una chiarezza di idee che io continuo a non vedere.

La Lega per esempio è molto efficace nella comunicazione, nella critica, nel battage mediatico. Ma immaginiamo che a breve ci siano nuove elezioni e che Salvini diventi capo del governo, sostenuto da una compatta maggioranza. Come intende muoversi ?

Rompe l’euro – missione quasi impossibile, date le complessità politiche e operative ? rivede i vincoli di deficit – missione del tutto impossibile, dato che non c’è NESSUNA volontà da parte degli europartner di aprire questo tavolo ?

Il progetto CCF, invece, è sia attuabile che risolutivo. Non è una “battaglia da vincere” (contro chi, poi ?). E’ un progetto perfettamente compatibile con trattati e regolamenti UE, così come sono oggi.

Si tratta semplicemente di introdurre i Certificati di Compensazione Fiscale, spiegando con chiarezza (in termini tecnici, non strombazzati né imbonitori) che il rapporto tra Maastricht Debt (quello da rimborsare e rifinanziare sul mercato) e PIL calerà costantemente. E che questo sarà possibile in quanto le azioni espansive necessarie saranno attuate con i CCF.

La spiegazione serve non per chiedere autorizzazioni alla UE (non ce n'è alcuna necessità). Serve per chiarire ai mercati finanziari che la loro posizione creditoria diventa più forte, non più debole di prima.

E i mercati finanziari sono gli unici interlocutori che realmente contano. La UE e la BCE non danno soldi né garanzie. I mercati sì, da quando – errore ciclopico, catastrofico, ma è successo – l’Italia ha convertito il proprio debito pubblico da lire a moneta straniera.

Occorrono chiarezza di idee e determinazione. Ma non c’è da scendere in guerra contro nessuno.

La mia preoccupazione è che vedo un considerevole attivismo nel fare polemica da talk-show. Che per molti fini è anche utile, anzi indispensabile. Ma persone che abbiano (primo) identificato la linea di azione corretta, e che (secondo) abbiano concrete possibilità di essere alla guida (sui temi economici) del governo futuro, e quindi adottare la linea d’azione corretta - quelle non le vedo.

Magari mi sfugge qualcosa. Magari raffinate e abilissime strategie sono pronte per essere introdotte, non appena ce ne saranno le condizioni politiche.

Ma dopo sette anni di lavoro sul progetto CCF, durante i quali ho seguito da vicino l’eurodibattito e le varie idee che affioravano, mi appare difficile che nulla sia trapelato.

E questo mi lascia molto, molto perplesso.


sabato 7 dicembre 2019

giovedì 5 dicembre 2019

Chi risparmia e chi s'indebita


Il debito pubblico genera risparmio privato. Questo dovrebbe (credo) essere ormai chiaro a tutti. Se non ne siete ancora del tutto convinti, leggete qui.

Ma c’è una considerazione che mi viene ancora sottoposta da parecchi interlocutori. Sì certo, si dice, il debito pubblico genera risparmio privato. Ma i soggetti in causa non sono gli stessi. Non tutti riescono a risparmiare, su tutti invece grava il debito pubblico.

Naturalmente questa affermazione sottointende l’equivoco che il debito pubblico “gravi” su qualcuno. Al contrario, un debito pubblico in moneta propria, il cui cambio viene lasciato libero di fluttuare, non grava proprio su nessuno. Il paese che emette la moneta può rifinanziarlo finché vuole. Il problema potenziale è un altro – evitare eccessi di domanda che producano inflazione indesiderata. Ma in assenza di tensioni inflazionistiche, deficit e debito in moneta propria non sono né un “macigno” né un “onere”.

In aggiunta a ciò, tuttavia, occorre aver chiaro che il deficit pubblico immette risorse finanziarie nel sistema economico. Aumenta quindi la capacità generale del sistema privato di risparmiare. Dopo le immissioni di queste risorse, ci sarà, certamente, ancora qualche individuo che non ci riuscirà. Ma mediamente i livelli di risparmio individuale saranno più alti, e meno persone si troveranno nella condizione di non riuscirci.

Dopodiché, a tutti potrà essere offerta la possibilità di allocare il risparmio in titoli di Stato. Il che sarà un’opportunità per i singoli ma non una necessità per lo Stato emittente la propria moneta, che non ha bisogno di andare sul mercato per finanziare i propri deficit.

Maggiori deficit pubblici in moneta propria, fino al livello in cui non inneschino eccessi di inflazione o squilibri nei saldi commerciali esteri, producono maggiori redditi reali e maggior risparmio per la collettività nazionale. Se riduco i deficit pubblici in presenza di risorse produttive sottoutilizzate, ottengo al contrario meno risparmio totale, e impedisco di risparmiare a molti che diversamente vorrebbero e potrebbero farlo.

domenica 1 dicembre 2019

La battaglia del MES è una guerra dei bottoni


Purtroppo non riesco a definire diversamente la furibonda polemica che si è scatenata intorno alla riforma del MES.

Intendiamoci, reagire all’inaccettabile comportamento di Giuseppe Conte – un vero e proprio tradimento del mandato parlamentare – è più che doveroso.

Il problema, però, è che se anche si riuscisse a bloccare la riforma del MES, rimane il fatto che il MES comunque già esiste – e comunque è pessimo, già nella sua forma attuale.

La polemica e il connesso battage mediatico un importante beneficio lo producono: far capire, alla parte (preponderante, purtroppo) dell’opinione pubblica ancora ignara, quale assurdità sia per l’Italia il MES. Impegni per svariate decine di miliardi che non verranno mai utilizzati a nostro beneficio, ma al massimo per tamponare problemi di altri (vedi le banche francesi e tedesche in Grecia e in Spagna).

Però, la “battaglia campale” (a parole) intorno al MES sotto un altro aspetto rischia di essere un depistaggio: perché si parla di evitare il peggioramento di un assetto comunque negativo. Mentre NON si parla di interventi realmente risolutivi.

L’intervento risolutivo è il progetto CCF. Ai fini del quale non servono battaglie: servono idee chiare e determinazione.

Per sapere cosa e come, venite a Roma, a questo convegno, domani (e se non potete, guardatevi il video, che sarà reso disponibile).

E poi però ponetevi anche voi la domanda che mi pongo io: partendo dal presupposto che occorre rimuovere nuovamente dal governo il partito Bruxelles, alias il PD, e partendo dal presupposto che presto o tardi accadrà – queste idee chiare e questa determinazione, quali persone le possiedono ?

Il mio dubbio è questo.