mercoledì 30 aprile 2014

Dibattito via web - Martedì 6 maggio 2014 ore 21

Presento la Riforma Morbida del sistema monetario europeo con un hangout organizzato dal MeetUp Europa - Movimento 5 Stelle Estero.
 
Qui trovate i dettagli.

domenica 27 aprile 2014

La Riforma Morbida è “la” soluzione per l’euro


Fabio Castellucci mi ha rivolto una serie di complimenti (largamente immeritati) di cui lo ringrazio, definendomi “posato, autorevole, serio e calmo”.

Nello stesso tempo, mi dice che il limite di quello che propongo è politico.

Per citarlo: “non ce ne facciamo nulla della centesima ottima soluzione se non diventa l’azione di una forza politica che ha uomini all’altezza e consenso sufficiente ad attuarla come governo”.

Allora Fabio, tu hai ragione naturalmente. Nessuna soluzione è attuabile in assenza di consenso politico.

Però adesso lasciami essere immodesto. Poi forse mi considererai meno posato, meno autorevole, meno serio e meno calmo. Ma pazienza.

L’editore Hoepli, io e Giovanni Zibordi siamo stati schifosamente vanagloriosi. Abbiamo pubblicato un libro intitolandolo “La soluzione per l’euro”.

“La”, non “una”.

NON è la “centesima ottima soluzione”. Dove sono le altre novantanove ?

Si può risolvere la crisi dell’euro modificando tutti i limiti di rapporto deficit pubblico / PIL, facendo sottoscrivere o garantire dalla BCE le maggiori emissioni di debito e utilizzandole, nella misura necessaria, per ridurre le tasse sul lavoro e riportare il costo del lavoro per unità di prodotto di tutti i paesi dell’Eurozona al livello della Germania ? tecnicamente sì. Politicamente non se ne parla.

La Germania può incrementare il suo costo del lavoro del 20% ? tecnicamente sì. Politicamente non se ne parla.

La Germania può uscire lei dall’euro ? tecnicamente sì e questo risolverebbe (in parte, non del tutto) alcune delle complicazioni tecniche del breakup. Politicamente, non se lo sogna neanche.

Funzionerebbe l’adozione dell’”eurobancor” ? tecnicamente sì. Ma a parte la complicazione di un accordo che coinvolge vari paesi, la Germania non ci starà mai, e ritorniamo quindi al problema di come gestire il breakup.

Magari altre novantanove soluzioni completamente diverse esistono. Io però non ne ho vista neanche una – a parte la Riforma Morbida, si capisce – dotata delle seguenti caratteristiche.

UNO, può essere adottata per iniziativa unilaterale da ogni singola nazione.

DUE, non modifica nessuno dei rapporti contrattuali in essere. Crediti, debiti, contratti di lavoro, pensioni eccetera rimangono in euro.

TRE, permette al paese che la adotta di incrementare la domanda interna e il valore effettivo delle retribuzioni, di ritornare al pieno impiego e nello stesso tempo di abbassare il costo del lavoro per unità di prodotto delle sue aziende, evitando quindi sbilanci commerciali con l’estero.

QUATTRO, consente al paese che la adotta di finanziarsi con emissioni di titoli in moneta sovrana e quindi di emanciparsi dai mercati dei capitali internazionali.

CINQUE, non crea perdite a nessun detentore di crediti finanziari verso controparti (pubbliche o private) italiane ed evita quindi contenziosi legali e azioni di rivalsa verso beni italiani all’estero.

SEI, non deve essere adottata di sorpresa ed evita quindi tutti i rischi legati a fughe di notizie, turbolenze sui mercati finanziari, fughe di depositi bancari.

SETTE, non implica una svalutazione e quindi non produce incrementi nei costi delle materie prime e dei beni importati in genere.

OTTO, non impone ai paesi settentrionali dell’Eurozona la rivalutazione della moneta da loro utilizzata.

Certo, sono tutti punti tecnici. E le logiche della politica, della comunicazione e della formazione del consenso della pubblica opinione hanno spesso poco a che vedere con la tecnica. Se non fosse così, del resto, l’euro non sarebbe mai nato.

Però la battaglia per superare la crisi economica e per ripristinare la sovranità monetaria dell’Italia è lunga e difficile. Mi piacerebbe che qualcuno mi spiegasse come e perché ignorare una strada semplice e continuare a insistere su quelle complesse dovrebbe aiutare a vincerla.

venerdì 18 aprile 2014

Due ottime recensioni

Ottime non tanto perché parlano bene del libro (anche se questo ovviamente mi fa piacere !) quanto perché gli autori delle recensioni dimostrano di aver capito e analizzato il tema e la proposta con grande attenzione ed efficacia.

Questa, di Tino Oldani per Italia Oggi.


Grazie alla segnalazione di Matteo Thomann, sono adesso in grado di mettere il link (si legge meglio, decisamente...)

E questa, di Alessandro Pedone per ADUC.

giovedì 17 aprile 2014

CCF: non si chiede “permesso” a nessuno


Non è la prima volta che ne parlo, ma chiarire gli equivoci non è mai tempo sprecato.

In merito alla Riforma Morbida, al progetto Certificati di Credito Fiscale: non è una via “violenta”, deflagrante come sarebbe il break-up dell’euro.

Ma questo NON SIGNIFICA ASSOLUTAMENTE che l’Italia dovrebbe negoziare, né chiedere permessi o autorizzazioni a qualcuno, prima di intraprenderla.

NON rileva che cosa ne pensa Bruxelles o che cosa ne pensa Berlino. Anche perché qual è l’alternativa ? forse che il break-up lo attueremmo “previa autorizzazione o consenso” di Bruxelles o di Berlino ?

La Riforma Morbida è morbida perché evita le complicazioni e i possibile danni collaterali del break-up, ma va attuata PER DECISIONE UNILATERALE dell’Italia (e di qualsiasi altro paese dell’attuale Eurozona che la intraprenderà).

Alle autorità UE ci si limiterà a dire (DOPO aver introdotto i CCF, e per educazione, non perché sia dovuto) quanto segue.

“Cari amici, l’architettura dell’Eurozona – MES, Fiscal Compact, unione bancaria, six pack, il limite 3% deficit pubblico / PIL) – ha una finalità: evitare il rischio di tensioni e di default sui debiti pubblici dei vari stati, che mettano in difficoltà i sistemi bancari dei singoli paesi e richiedano l’intervento dei partner UE per evitare crisi finanziarie.

Bene. La finalità è condivisibile. Ma i mezzi utilizzati non funzionano. Le politiche di austerità imposte agli stati in difficoltà hanno penalizzato PIL e occupazione e PEGGIORATO, non migliorato, i dati di finanza pubblica. E’ inutile dire che il keynesismo non funziona: il keynesismo si è rivelato totalmente corretto.

I Certificati di Credito Fiscale sono uno strumento finanziario CHE NON COMPORTA ALCUN RISCHIO DI DEFAULT (perché lo stato italiano non assume impegni di rimborso ma solo di accettazione dei CCF a fronte di imposte o altri impegni finanziari futuri nei suoi confronti). I partner UE non hanno ASSOLUTAMENTE TITOLO A DIRE NULLA al riguardo. Si tratta di modalità di gestione INTERNE all’economia italiana.

Manteniamo pure in essere, se volete, i limiti deficit pubblico / PIL e gli impegni di riduzione del debito pubblico (sempre in rapporto al PIL) previsti dal fiscal compact. Ma questi parametri possono essere interpretati SOLO COME RIFERITI a deficit e debito IN EURO. I CCF non entrano nel computo, perché non sono debito e perché (di conseguenza) NON ESISTE UN RISCHIO DI DEFAULT SUI CCF.

La Riforma Morbida non solo è compatibile con i limiti di bilancio concordati con i partner dell’Eurozona ma in realtà è la VIA PER RISPETTARLI.

Se tutto questo vi convince (come dovrebbe) cari partner UE, bene. Ma noi su questa strada GIA’ CI SIAMO INCAMMINATI.”

martedì 15 aprile 2014

Euro sì, euro no, euro forse, euro come


Accolgo con piacere l’invito degli amici di www.getup-italia.org a “dire la mia” sulla questione euro.

Getup-italia si definisce come un “convivio di persone unite da una comune visione”: “meritocratica, liberale, laica, europeistica e privatistica”.

Comincio con il soffermarmi sulla qualifica di “liberale”. E’ una definizione che ben volentieri attribuisco anche a me stesso. Ma è importante chiarirne il contenuto.

Liberale è, a mio modesto avviso, chi ritiene che i singoli individui abbiano il diritto di esprimere le proprie potenzialità e di perseguire le proprie finalità, purché questo diritto non interferisca con quello, analogo, che deve essere garantito ad ogni altro singolo membro di una comunità.

Ne consegue che lo stato deve svolgere un ruolo sussidiario: deve esistere e funzionare, per raggiungere le finalità che i singoli individui, da soli o raggruppati in organizzazioni volontarie, non potrebbero efficacemente perseguire.

In questo senso, siamo liberali tutti, salvo i pochi che perseguono modelli politici di anarchia pura o di totalitarismo assoluto.

Il punto è intendersi su che cosa si intenda per “finalità che i singoli individui… non potrebbero efficacemente perseguire”. Qui c’è spazio per opinioni differenti, che non possono tuttavia prescindere da analisi tecnicamente ben fondate.

A me pare incontestabile che una società moderna ed efficiente debba porsi l’obiettivo di impiegare al meglio le sue risorse produttive, tecniche e umane. Per massimizzare il benessere materiale della collettività, ma – anche e soprattutto – per evitare la gravissima piaga sociale della disoccupazione di lungo termine.

L’opera di grandi economisti del passato, primo fra tutti il LIBERALE John Maynard Keynes, e gli eventi che hanno caratterizzato l’economia mondiale negli ultimi anni, offrono chiarissime indicazioni in merito al fatto che una crisi finanziaria come quella del 1929 o come quella del 2008 produce pesanti strascichi in termini di caduta di reddito, incremento della disoccupazione, debiti problematici o inesigibili che gravano su aziende e individui, clima generalizzato di pessimismo.

In queste condizioni, non si verifica un riequilibrio naturale che faccia uscire l’economia dalle sue condizioni depresse in tempi ragionevolmente brevi per effetto del libero operare delle forze di mercato. La depressione economica dura, al contrario, molti anni, a meno che lo stato non intervenga con un’azione anticiclica: che significa rimettere potere d’acquisto in circolazione nell’economia reale, mediante incremento di spesa pubblica, riduzione del carico fiscale o una combinazione delle due cose.

Che cosa c’entra tutto questo con l’euro ? in senso stretto, il problema non è (solo) la moneta unica, ma l’interpretazione errata della crisi adottata dalle autorità di governo economico dell’Eurozona.

E’ pressoché inevitabile che, se diciotto nazioni condividono la stessa moneta, le dinamiche inflazionistiche e l’andamento dei costi di lavoro per unità di prodotto non siano identici. La moneta, in un sistema rigido come l’attuale Eurozona, risulterà troppo forte per alcuni e troppo debole per altri.

Dopo la crisi del 2008, azioni di sostegno della domanda sono state intraprese, nell’Eurozona così come nelle altre economie mondiali. Ma nel momento in cui l’economia di maggiori dimensioni – la Germania – aveva recuperato gli effetti della crisi, la preoccupazione si è spostata dal recupero dell’occupazione (che nel resto dell’Eurozona ancora non aveva avuto luogo) al dubbio che i paesi meno efficienti, che negli anni precedenti avevano accumulato deficit commerciali, non sarebbero stati in grado di ripagare i debiti contratti.

In un regime di monete nazionali e cambi flessibili, il riallineamento valutario agisce da ammortizzatore di questi scompensi. Le autorità di governo economico dell’Eurozona hanno invece preteso di compensare questi disallineamenti imponendo un pesante regime di austerità e di deflazione salariale ai paesi periferici dell’unione monetaria europea: un’azione prociclica, proprio in un contesto che richiedeva – al contrario – il proseguimento di azioni anticicliche. Si è così prodotta una depressione economica peggiore di quella sperimentata negli anni Trenta.

In un recente articolo, Simone Paoli commentava che “i no euro comunicano decisamente meglio”. Indubbiamente alcuni di loro sono abili divulgatori, ma li aiuta enormemente il fatto che i “sì euro”, intestardendosi a difendere le politiche imposte all’Eurozona dall’asse Bruxelles – Francoforte – Berlino soprattutto dal 2011 a oggi, sono gli avvocati di una causa strapersa sul piano teorico, tecnico e pratico.

In realtà ai “sì euro” è rimasta una sola argomentazione di una qualche solidità: il fatto che “rompere” l’attuale sistema monetario è complicato e pericoloso. Si rischiano turbolenze nel sistema bancario e finanziario, contenziosi e cause legali, effetti di cambio difficili da prevedere e gestire.

Personalmente, sono impegnato da più di un anno a elaborare e a divulgare un progetto di riforma del sistema monetario europeo che eviti la “deflagrazione” della moneta unica, ma che nello stesso tempo permetta ad ogni singolo stato  membro di ripristinare i livelli di domanda necessari a riassorbire tutta la disoccupazione prodotta dalla crisi, di mantenere saldi commerciali esteri equilibrati e di finanziare questi interventi senza che nessuno stato debba far ricorso a indebitamento erogato da istituzioni private e/o straniere.

La riforma si incentra su uno strumento, i Certificati di Credito Fiscale, che ogni paese può introdurre in quantità e con caratteristiche attagliate alle specifiche circostanze. E’ uno strumento monetario (non è un titolo di debito) che lo stato emittente accetta in pagamento di imposte e qualsiasi obbligazione finanziaria futura nei suoi confronti. Non è peraltro necessario introdurlo sotto forma di banconote e monete metalliche, né tantomeno convertire forzatamente contratti e rapporti giuridico-finanziari attualmente espressi in euro.

L’introduzione dei Certificati di Credito Fiscale permette, ai vari stati dell’Eurozona oggi in difficoltà, di avviare una forte ripresa delle loro economie e nello stesso tempo di ridurre fortemente i debiti pubblici denominati in euro, e i deficit statali intesi come saldo tra spese e incassi, sempre espressi in euro.

E’ quindi possibile risollevare fortemente il PIL dei vari paesi, riassorbire la disoccupazione prodotta dalla crisi e nello stesso tempo risanare le finanze pubbliche.

Ho denominato questo progetto “Riforma Morbida” perché rivede completamente tutte le linee di gestione macroeconomica dell’attuale eurosistema, risolvendo le attuali, gravissime disfunzionalità della moneta unica europea, senza tuttavia generare i rischi e le complicazioni connesse a una sua “rottura”.

L’alternativa ”euro sì – euro no” è mal posta. Oggi abbiamo un sistema economico-monetario che non funziona. Occorre riformarlo: ed è possibile farlo, avviando la soluzione della crisi economica ed evitando effetti collaterali pericolosi.

Questo deve diventare il punto focale del dibattito.

 

Marco Cattaneo (1962) gestisce fondi e rappresenta primari investitori internazionali nell’effettuazione di operazioni di private equity, principalmente rivolte ad aziende imprenditoriali italiane di dimensioni comprese tra i 10 e i 50 milioni di euro.

 


 

Ha pubblicato nel marzo 2014 il libro:

“La soluzione per l’euro: 200 miliardi per rimettere in moto l’economia italiana”
Marco Cattaneo / Giovanni Zibordi – Hoepli Editore

lunedì 14 aprile 2014

La sovranità monetaria italiana: perché e come


L’Italia ha necessità di riprendere possesso della sua sovranità monetaria per tre motivi precisi, tra di loro collegati.

Immettere nell’economia reale risorse finanziarie che stimolino la domanda, in modo da riassorbire la disoccupazione prodotta dalla crisi economica: quindi incrementare il saldo netto tra spesa pubblica e carico fiscale, incrementando la prima e/o diminuendo il secondo.

Rispettare il vincolo di equilibrio nei saldi commerciali esteri, in modo che non si crei uno sbilancio strutturale e sistematico tra importazioni ed esportazioni.

Finanziare questa immissione di risorse mediante moneta sovrana, cioè mediante attività finanziarie che lo Stato possa liberamente creare nella quantità necessaria per raggiungere gli obiettivi di cui sopra, SENZA condizionamenti esterni (ivi inclusa la necessità di indebitarsi con entità private e/o straniere).

Per soddisfare questi obiettivi NON è necessario ridenominare, da euro in una nuova moneta, i contratti e i rapporti giuridico-finanziari in essere.

NON è neanche necessario sostituire l’euro con una nuova moneta svalutata.

Può essere emessa una forma di moneta nazionale, accettata dallo Stato italiano a soddisfacimento delle obbligazioni finanziarie nei suoi confronti (in primo luogo le imposte), e attribuita a cittadini e imprese nella misura necessaria.

NON è indispensabile che questa forma di moneta nazionale circoli sotto forma di banconote e monete metalliche. Si può trattare di titoli, quali i Certificati di Credito Fiscale.

NON è indispensabile alcuna forma di svalutazione. La svalutazione è una modalità per migliorare il costo del lavoro per unità di prodotto (CLUP) delle aziende italiane, evitando che lo stimolo alla domanda necessario a riportare l’economia nazionale in condizioni ottimali, in primo luogo sul piano dell’occupazione, squilibri i saldi commerciali esteri. MA lo stesso risultato può essere ottenuto utilizzando una parte delle assegnazioni di CCF per ridurre il carico fiscale che grava sulle aziende italiane.

Identificare il ripristino della sovranità monetaria nazionale con la combinazione break-up dell’euro + svalutazione è UN ERRORE. Non è l’unica via e non è nemmeno la più efficiente. La sua applicazione comporterebbe parecchie difficoltà (turbolenze sui mercati bancari e finanziari, contenziosi giuridici, necessità – in pratica molto difficile da realizzare – di operare in totale segretezza nell’imminenza dell’operazione). Non è impossibile ma le difficoltà sono decisamente elevate.

L’Italia ha la possibilità di riprendere possesso della sua sovranità monetaria, e di attuare politiche macroeconomiche che producano il completo superamento della crisi, ANCHE continuando a utilizzare l’euro come moneta corrente e come moneta di conto, e senza attuare nessun tipo di cambiamento forzato in alcun rapporto contrattuale o finanziario attualmente in essere.

giovedì 10 aprile 2014

Eurobancor: non è una soluzione per l’euroexit


Tra le varie idee che circolano, nei dibattiti sull’eurocrisi e sulle sue possibili soluzioni, esiste quella di trasformare l’Eurozona seguendo il modello del Bancor, proposto originariamente da John Maynard Keynes nel 1944 a Bretton Woods.

Le linee generali dello schema Bancor prevedono di adottare una moneta unica per un gruppo di paesi (Keynes la vedeva applicata addirittura a livello mondiale). L’unione monetaria deve però essere corredata da una serie di meccanismi per prevenire e gestire in modo efficiente e simmetrico gli effetti negativi di squilibri nei saldi commerciali e nei flussi finanziari tra le varie nazioni.

Applicato all’Eurozona, una schema Eurobancor potrebbe funzionare come segue. I paesi aderenti si impegnano a far transitare i flussi finanziari prodotti dagli scambi commerciali da un’istituzione centrale – potrebbe essere la BCE, o un’altra costituita appositamente - che svolge funzioni di “stanza di compensazione”. I paesi che ottengono surplus commerciali hanno quindi una posizione finanziaria attiva presso la stanza di compensazione, quelli in deficit una posizione passiva.

Le posizioni attive presso la stanza di compensazione non possono essere liberamente utilizzate dal paese eccedentario, che si impegna invece a impiegarle per acquistare beni e servizi dai paesi deficitari, in modo da riequilibrare le posizioni e ricondurle sotto livelli prestabiliti entro un periodo temporale prefissato. Se questo non si verifica, sono previste penalità finanziarie o anche la possibilità, per i paesi deficitari, di “forzare” il riequilibrio introducendo dazi o altre misure restrittive riguardo alle loro importazioni da paesi eccedentari.

Costruito correttamente, uno schema Bancor è sicuramente un modello di grande interesse, in quanto spinge i vari paesi aderenti a impostare relazioni commerciali equilibrate, armoniche e collaborative.

Tuttavia va chiarita una cosa. Il Bancor NON è un meccanismo per risolvere il problema della transizione dall’attuale catastrofico assetto dell’Eurozona, a un modello corretto e funzionale. Può essere un punto d’arrivo, ma non gestisce il “passaggio”.

Mi spiego. Oggi a opporsi alla riforma del sistema euro sono l’Unione Europea e i paesi eccedentari, in primo luogo la Germania. Che vuole continuare ad avere le mani perfettamente libere nelle sviluppare politiche di tipo mercantilistico, orientate a massimizzare i surplus commerciali, e forza i paesi meno competitivi a cercare di riequilibrare la situazione mediante un disastroso (e in realtà irrealizzabile) percorso di deflazione dei salari, dei consumi e della domanda interna.

Se la Germania non accetta un progetto di riforma modellato secondo le linee del Bancor, che cosa abbiamo risolto ? alcuni dei suoi proponenti hanno sviluppato questa curiosa argomentazione. Tutti gli altri principali paesi dell’Eurozona – ad esempio Francia, Italia e Spagna – si accordano per adottare uno schema Bancor. Lo comunicano alla Germania. A questo punto ci sarebbero due alternative: o la Germania entra nello schema, o esce dall’euro.

L’argomentazione non regge perché la Germania ha in realtà una terza, semplicissima opzione. Dire: bravi, adottate questo elegantissimo schema TRA DI VOI. Noi andiamo avanti come prima. Restiamo nell’euro e non accettiamo nessun nuovo vincolo alle nostre politiche commerciali.

Se la Germania non cambia posizione, non adotta cioè un approccio cooperativo, agli altri paesi rimangono le alternative che possono essere intraprese in modo indipendente, cioè prescindendo dall’atteggiamento tedesco.

Una è l’uscita unilaterale dall’euro: break-up, conversione degli attuali rapporti contrattuali e creditizi da euro a nuova moneta nazionale, e svalutazione.

L’altra, molto più efficiente (in quanto si evitano tutti i rischi e gli “effetti collaterali” del break-up) è la Riforma Morbida: introduzione di nuovi strumenti monetari nazionali (quali i Certificati di Credito Fiscale) A FIANCO dell’euro.

Il Bancor è un’idea molto interessante. Ma diventa un tema di attualità DOPO che si è risolto il problema della transizione. Non è l’interruttore che la fa “scattare”.

martedì 8 aprile 2014

Dall’euro alla Lira Fiscale, passando per la Riforma Morbida


Qui di seguito trovate, rifiniti e raggruppati per praticità in un unico articolo, i contenuti di vari post pubblicati nelle ultime settimane. Lo scopo è quello di illustrare come, dopo aver attuato (nei tempi più rapidi possibili) la Riforma Morbida del sistema monetario e il connesso rilancio dell’economia mediante l’introduzione dei Certificati di Credito Fiscale, si potrà in seguito introdurre la moneta nazionale (la Lira Fiscale) anche come moneta circolante, in sostituzione dell’euro.
 
La Riforma Morbida del sistema monetario europeo, che è il principale argomento trattato in questo blog, è “morbida” nel senso che non prevede una “rottura” deflagrante della moneta unica ed evita quindi le difficoltà, le complicazioni e i rischi che la rottura comporta.
Se si vuole evitare la rottura dell’euro, ma c’è d’altra parte la necessità di ripristinare la sovranità monetaria italiana – e di tanti altri paesi europei a cui l’attuale assetto dell’Eurozona impedisce di sviluppare corrette politiche macroeconomiche – l’alternativa è una procedura di affiancamento. L’Italia riprende ad emettere un suo strumento monetario, che convive con l’euro ed è utilizzabile per ripristinare adeguati livelli di domanda e per ridurre il carico fiscale che grava sul lavoro.
In merito a quest’ultimo punto, la riduzione del carico fiscale sul lavoro è necessaria per riportare la competitività delle aziende italiana ai livelli dei paesi più efficienti dell’Eurozona (e in particolare della Germania) evitando quindi che il recupero di domanda si diriga in proporzione eccessiva verso l’acquisto di prodotti esteri, permettendo alle aziende italiane di esportare di più, e di conseguenza evitando che si riformino sbilanci nei saldi commerciali italiani verso l’estero.
La versione originaria del progetto CCF permette di conseguire questi risultati, e potrebbe anche costituire un assetto permanente della futura Eurozona. In questa ipotesi l’euro sopravvive: monete e banconote in circolazione continuano a essere quelle di oggi, e l’unità di conto per i bilanci delle aziende, per i rapporti di debito e credito, e per la contabilità nazionale rimane l’euro.
E’ plausibile tuttavia che questo sia in effetti un passaggio verso una situazione finale in cui il nuovo strumento monetario nazionale diventerà, a tutti gli effetti, l’unica moneta legale in circolazione, sostituendo quindi l’euro in ogni suo impiego corrente.
Da una situazione di partenza in cui i Certificati di Credito Fiscale convivono insieme all’euro, si arriverebbe quindi a trasformare i CCF in Lire Fiscali, quindi nella moneta circolante di utilizzo predominante in Italia.
Mi pare che un esame esauriente delle modalità e dei tempi di questa evoluzione richieda di analizzare e descrivere la transizione con riferimento, come minimo, ai seguenti aspetti.
UNO, debito pubblico.
DUE, finanziamenti, mutui e rapporti di debito privato in genere.
TRE, contratti di lavoro.
QUATTRO, contratti di affitto.
CINQUE, contratti di somministrazione.
SEI, vendite al dettaglio.
SETTE, pensioni (pubbliche e private).
OTTO, possibili problemi per privati il cui reddito si trasforma in Lire Fiscali, a fronte di passività residue in euro (e come risolverli / prevenirli).
NOVE, possibili problemi per aziende il cui reddito si trasforma in Lire Fiscali, a fronte di passività residue in euro (e come risolverli / prevenirli).
 
 
UNO, debito pubblico e finanza pubblica in genere

 
A partire dall’avvio del progetto CCF, lo Stato italiano cessa di emettere titoli di debito pubblico espressi in euro.
Emette al loro posto titoli denominati in Lire Fiscali, sia a breve (dodici mesi o meno: BOT fiscali) che a medio-lungo termine (BTP fiscali, con scadenze analoghe agli attuali BTP in euro).
I titoli denominati in Lire Fiscali danno diritto al sottoscrittore di ricevere interessi (in funzione del tasso applicato) e rimborso di capitale a scadenza, come qualsiasi titoli obbligazionario: ma, appunto, interessi e capitale saranno espressi in Lire Fiscali, non in euro.
Le Lire Fiscali saranno utilizzabili (esattamente come i CCF, quando questi ultimi giungono a scadenza) per soddisfare qualsiasi obbligazione finanziaria nei confronti della Pubblica Amministrazione italiana.
Lo Stato italiano non sarà quindi condizionato né dalla necessità di collocare sul mercato titoli di debito espressi in moneta non sovrana (quale l’euro) né dagli andamenti dei mercati finanziari internazionali.
La percentuale di debito pubblico italiano espresso in moneta non sovrana calerà rapidamente. Oggi quasi due terzi del debito in circolazione scadono entro meno di sei anni (dati Ministero dell’Economia al 28.2.2014):
 
Debito pubblico italiano in circolazione – ripartizione percentuale per scadenza
Anno 2014          20%
Anno 2015          12%  cumulato    32%
Anno 2016          9%    cumulato    41%
Anno 2017          10%  cumulato    51%
Anno 2018          7%    cumulato    58%
Anno 2019          6%    cumulato    64%
Anni 2020-2028  25%  cumulato    89%
Anni 2029-2063  11%  cumulato    100%
 
Se non si effettuano più nuove emissioni in euro, in meno di sei anni resterà in circolazione debito pubblico in moneta non sovrana pari a poco più di un terzo delle consistenze attuali, e il valore continuerà a declinare negli anni successivi (diventando progressivamente sempre più trascurabile).
Nel frattempo, anno dopo anno lo Stato italiano sosterrà quote crescenti di spesa pubblica non più in euro ma in Lire Fiscali, che verranno accettate (in analoga proporzione) dallo Stato stesso in accettazione di pagamenti nei suoi confronti.
Per essere integralmente fedeli al concetto di “Riforma Morbida”, occorre che nessun contratto preesistente vengano forzatamente ridenominato, ex lege, da euro a Lire Fiscali.
Saranno quindi sostenute in Lire Fiscali e non in euro le spese per nuove assunzioni, per nuovi contratti di lavoro, per nuovi appalti, eccetera, mentre resteranno in euro le altre (ma tuttavia incideranno, in proporzione, sempre di meno, via via che i relativi contratti giungono a scadenza).
Per tutelare il potere d’acquisto dei dipendenti in sede di rinegoziazione dei contratti collettivi di lavoro (contratti in euro che scadono e vengono sostituiti da nuovi contratti espressi in Lire Fiscali) è opportuno prevedere adeguate clausole di indicizzazione al costo della vita.
Anche in questo caso, si può stimare che nel giro di cinque-sei anni dall’avvio della Riforma Morbida la quota di spese pubbliche sostenute ancora in moneta non sovrana sia pari a circa un terzo del totale o anche meno. E’ plausibile che questa quota residua di spesa pubblica sia in buona parte costituita da pensioni, per la parte riconducibile a contributi versati prima della Riforma Morbida (vedi anche il punto SETTE successivo).
Il processo potrà essere accelerato offrendo conversioni su base volontaria, anche qui con clausole compensative (in particolare di indicizzazione e tutela del potere d’acquisto).
L’utilizzo di Lire Fiscali per sostenere quote crescenti di spesa pubblica alimenterà la consuetudine generale al loro utilizzo corrente. Questo aiuterà anche lo sviluppo di un segmento specifico del mercato del credito (erogazioni di finanziamenti in Lire Fiscali).
 

DUE, finanziamenti, mutui e rapporti di debito privato in genere
TRE, contratti di lavoro
QUATTRO, contratti di affitto
CINQUE, contratti di somministrazione

 
Il segmento del mercato del credito relativo alle erogazioni di finanziamenti in Lire Fiscali nel giro di alcuni anni diventerà predominante rispetto al mercato del credito denominato in euro.
I contratti di lavoro privati, i contratti di affitto e i contratti di somministrazione (gas, luce, telefoni, utenze eccetera) verranno, anch’essi, con sempre maggiore frequenza stipulati in Lire Fiscali e non più in euro.
Anche in questo caso, il rispetto del principio della Riforma Morbida implica che nessun contratto venga convertito forzatamente. Nuovi contratti in Lire Fiscali verranno stipulati in sostituzione di quelli in euro via via che questi scadranno o, eventualmente, verranno rinegoziati in anticipo su base volontaria.
Sarà opportuno che anche i nuovi contratti collettivi di lavoro stipulati in sostituzione di contratti in scadenza (o oggetto di rinegoziazione anticipata) nel settore privato, come già visto riguardo al settore pubblico, prevedano adeguate clausole di indicizzazione al costo della vita.
Appare ragionevole una stima di tre-quattro anni per arrivare a una situazione in cui la circolazione / utilizzo di Lire Fiscali per finalità correnti e per transazioni anche finanziarie, nell’ambito del settore privato, divenga predominante rispetto alla circolazione / utilizzo di euro.
 
 
SEI, vendite al dettaglio

Nell’arco di tre-quattro anni, in altri termini, l’utilizzo di Lire Fiscali per transazioni correnti diverrà predominante rispetto all’utilizzo di euro.
Quindi la quasi totalità degli operatori privati (individui e aziende) si troverà a disporre di depositi bancari di due tipologie: denominati in euro e denominati in Lire Fiscali.
A partire da una data prefissata, potrà essere previsto che i prezzi al pubblico per le attività di vendita al dettaglio debbano essere espressi non più in euro, ma in Lire Fiscali.
A questo punto, verranno anche emesse banconote e monete metalliche denominate non in euro, ma in Lire Fiscali.
Potrà essere prelevato contante agli sportelli bancari o via Bancomat in Lire Fiscali, effettuati pagamenti con assegni in Lire Fiscali, utilizzate carte di credito collegate a conti bancari in Lire Fiscali, eccetera.
Ad esempio si può ipotizzare che, avviando la Riforma Morbida il 1° gennaio 2015, la data in cui i prezzi al pubblico saranno espressi non più in euro ma il Lire Fiscali sia il 1° gennaio 2018.
Euro e Lire Fiscali saranno convertibili sia prima che dopo tale data. Prima, il pubblico effettuerà pagamenti in euro (alimentando i conti correnti in euro impiegati per utilizzi e prelievi, anche mediante conversioni da Lire Fiscali a euro). Dopo, effettuerà pagamenti in Lire Fiscali (alimentando i conti correnti in Lire Fiscali impiegati per utilizzi e prelievi, anche mediante conversioni da euro a Lire Fiscali).
 

SETTE, pensioni (pubbliche e private)
 
Via via che i contratti di lavoro saranno sempre più frequentemente espressi in Lire Fiscali, si diffonderanno polizze assicurative e previdenziali di natura pensionistica (pensioni private) sempre più frequentemente espresse, a loro volta, in Lire Fiscali e non in euro.
Resteranno peraltro in euro le pensioni stipulate precedentemente alla Riforma Morbida: continueranno a essere effettuati in euro sia i contributi che le prestazioni, salvo anche in questo caso (analogamente a quanto ipotizzato per i contratti di lavoro) attuare rinegoziazioni su base volontaria e con opportune clausole di indicizzazione.
Riguardo alle pensioni pubbliche, basate su un meccanismo parzialmente o totalmente a ripartizione o comunque non contributivo, dalla data della Riforma Morbida in poi andrà lasciata al titolare del diritto pensionistico la facoltà di proseguire le contribuzioni sia in euro che in Lire Fiscali, prevedendo però che anche le prestazioni future vengano effettuate, corrispondentemente e in proporzione, parte in euro e parte in Lire Fiscali (sulla base delle contribuzioni effettuate).
Anche qui potrà essere offerta la possibilità di convertire integralmente, su base volontaria, tutti i diritti futuri in Lire Fiscali, introducendo opportuni meccanismi di indicizzazione.
 
 
OTTO, possibili problemi per privati il cui reddito si trasforma in Lire Fiscali, a fronte di passività residue in euro (e come risolverli / prevenirli).
NOVE, possibili problemi per aziende il cui reddito si trasforma in Lire Fiscali, a fronte di passività residue in euro (e come risolverli / prevenirli).

 
Ricapitolo quando fin qui enunciato. La Riforma Morbida prevede di introdurre uno strumento monetario sovrano (i Certificati di Credito Fiscale, o CCF) a fianco dell’euro, e di utilizzarlo (da parte dello Stato emittente) per integrare il reddito dei lavoratori, per ridurre il costo effettivo del lavoro per le aziende, e per effettuare altre azioni di sostegno della domanda.
In particolare, l’assegnazione di CCF alle aziende, in quantità dipendente dai costi di lavoro lordi sostenuti, viene effettuata in misura adeguata a riportare il Costo del Lavoro per Unità di Prodotto (CLUP) italiano ai livelli dei paesi più efficienti dell’Eurozona, e in particolare della Germania.
Questo permette al recupero di domanda e di PIL di svilupparsi senza che la maggior domanda produca maggiori importazioni nette, ed evitando quindi squilibri nei saldi commerciali esteri.
Come visto in precedenza, inoltre, lo Stato italiano anno dopo anno potrà sostenere quote crescenti di spese pubbliche in Lire Fiscali, cioè in moneta utilizzabile per soddisfare obbligazioni finanziarie (tasse e imposte in primo luogo) nei confronti dello Stato medesimo.
E la crescente introduzione di Lire Fiscali per sostenere quota di spesa pubblica alimenterà anche la consuetudine al loro utilizzo da parte del settore privato nonché lo sviluppo di un segmento specifico del mercato del credito (erogazione di finanziamenti in Lire Fiscali).
L’abbandono definitivo dell’euro per utilizzi correnti e la sua sostituzione con la Lira Fiscale potrà avvenire, come si ipotizzava, qualche anno dopo l’avvio della Riforma Morbida: per esempio, il 1° gennaio 2015 si introducono i CCF; il 1° gennaio 2018 i prezzi al pubblico cessano di essere espressi in euro, vengono emesse banconote e monete metalliche in Lire Fiscali, eccetera.
Per rimanere fedeli al concetto di Riforma Morbida, nessun contratto dovrà essere forzosamente convertito da euro a Lire Fiscali.
Questo potrebbe creare difficoltà a cittadini e aziende che si trovano a operare in un’economia che lavora, a questo punto, in Lire Fiscali – quindi i redditi di lavoro per contratti stipulati successivamente all’avvio della Riforma sono in Lire Fiscali, le aziende che operano sul mercato domestico conseguono proventi in Lire Fiscali, eccetera – mentre mutui, debiti privati, e finanziamenti alle imprese, almeno in parte sono ancora espressi in euro.
All’atto pratico, comunque, il problema è di rilievo molto inferiore a quanto si potrebbe temere, in primo luogo perché la Riforma Morbida non è basata su un meccanismo di svalutazione: come visto, il riequilibrio del CLUP tra Italia e altri paesi dell’Eurozona (Germania in particolare) viene effettuato riducendo il carico fiscale effettivo sui costi di lavoro delle aziende.
La Lira Fiscale non è quindi destinata, al momento del passaggio sopra indicato (e ipotizzato, come si diceva, per il 1° gennaio 2018) ad essere negoziata sul mercato per un valore sostanzialmente difforme da quello dell’euro.
Inoltre, nel periodo intercorrente tra avvio della Riforma Morbida e passaggio finale alla Lira Fiscale, molti contratti di finanziamento (anzi molti rapporti giuridico-economico di qualsiasi natura: anche contratti di lavoro, pensioni, affitti eccetera) saranno scaduti o saranno stati rinegoziati su base volontaria.
Buona parte dei rapporti contrattuali, in altri termini, saranno già in Lire Fiscali e non più in euro, fin da prima del 2018.
Gli effetti di trasferimento di ricchezza saranno quindi nettamente inferiori a quanto avverrebbe in seguito a un break-up dell’euro, con conseguente automatica (e forzata) trasformazione in Nuove Lire di tutta una serie di rapporti economici, accompagnata a una significativa svalutazione della Nuova Lira rispetto all’euro.
Casi particolari potranno essere gestiti con provvedimenti di sostegno ad hoc, fermo restando che, con ogni probabilità, si tratterà di fenomeni di importo molto modesto (in confronto agli effetti di un break-up con svalutazione).

giovedì 3 aprile 2014

Euro-breakuppers: fatemi capire


Da Facebook, 27.3.2014

Claudio Borghi Aquilini: Quanto ai rischi, alle strategie di uscita che piacciono o non piacciono. Scusate ma è un discorso che non mi appassiona. Logico che bisogna cercare di farlo nel miglior modo possibile e ci stiamo studiando, ma ogni SECONDO in più peggioriamo, chiudiamo fabbriche e imprese. La gente sta a casa, la sofferenza aumenta. Se aspettiamo per trovare proprio la technicality più bellina il problema si ripresenterà e avremo come unica aggiunta quella di arrivare al punto ancora più deboli e stremati.

Io: mi fa piacere che ci stiate studiando, perché anche se non ti appassiona il tema delle tecniche di uscita è importantissimo. Fin qui ho avuto l'impressione (correggimi se ho capito male) che tu prenda in considerazione solo breakup e svalutazione - e non è affatto la strada più efficiente IMHO. Certo che non c'è tempo da perdere perché "ogni secondo peggioriamo", il problema è che NON c'è un bottone da schiacciare ORA. Se ci fosse sarei il primo a dire OK, non perdiamo un istante, non proporrei certo di non attivare oggi (per esempio) il breakup sperando di poter fare qualcosa di più efficiente tra sei mesi, un anno o forse mai. Sarebbe folle. Ma non è così, bisogna creare le condizioni politiche. E la via tecnica proposta non è indifferente. Se a parità di effetto finale ci sono strade che creano meno "danni collaterali", o spaventano meno (a torto o a ragione) l'opinione pubblica, sui tempi di formazione del consenso questo può essere importantissimo.

“Un discorso che non mi appassiona” ???

martedì 1 aprile 2014

Parte quarta - Affiancamento e sostituzione della nuova moneta nazionale all’euro: come potrà avvenire


OTTO, possibili problemi per privati il cui reddito si trasforma in Lire Fiscali, a fronte di passività residue in euro (e come risolverli / prevenirli).

NOVE, possibili problemi per aziende il cui reddito si trasforma in Lire Fiscali, a fronte di passività residue in euro (e come risolverli / prevenirli).

 
La Riforma Morbida prevede di introdurre uno strumento monetario sovrano (i Certificati di Credito Fiscale, o CCF) a fianco dell’euro, e di utilizzarlo (da parte dello Stato emittente) per integrare il reddito dei lavoratori, per ridurre il costo effettivo del lavoro per le aziende, e per effettuare altre azioni di sostegno della domanda.

In particolare, l’assegnazione di CCF alle aziende, in quantità dipendente dai costi di lavoro lordi sostenuti, viene effettuata in misura adeguata a riportare il Costo del Lavoro per Unità di Prodotto (CLUP) italiano ai livelli dei paesi più efficienti dell’Eurozona, e in particolare della Germania.

Questo permette al recupero di domanda e di PIL di svilupparsi senza che la maggior domanda produca maggiori importazioni nette, ed evitando quindi squilibri nei saldi commerciali esteri.

Come visto in articoli precedenti, inoltre, lo Stato italiano anno dopo anno sosterrà quote crescenti di spese pubbliche in Lire Fiscali, cioè in moneta utilizzabile per soddisfare obbligazioni finanziarie (tasse e imposte in primo luogo) nei confronti dello Stato medesimo.

E la crescente introduzione di Lire Fiscali per sostenere quota di spesa pubblica alimenterà anche la consuetudine al loro utilizzo da parte del settore privato nonché lo sviluppo di un segmento specifico del mercato del credito (erogazione di finanziamenti in Lire Fiscali).

L’abbandono definitivo dell’euro per utilizzi correnti e la sua sostituzione con la Lira Fiscale potrà avvenire, come si ipotizzava qui, qualche anno dopo l’avvio della Riforma Morbida: per esempio, il 1° gennaio 2015 si introducono i CCF; il 1° gennaio 2018 i prezzi al pubblico cessano di essere espressi in euro, vengono emesse banconote e monete metalliche in Lire Fiscali, eccetera.

Per rimanere fedeli al concetto di Riforma Morbida, nessun contratto dovrà essere forzosamente convertito da euro a Lire Fiscali.

Questo potrebbe creare difficoltà a cittadini e aziende che si trovano a operare in un’economia che lavora, a questo punto, in Lire Fiscali – quindi i redditi di lavoro per contratti stipulati successivamente all’avvio della Riforma sono in Lire Fiscali, le aziende che operano sul mercato domestico conseguono proventi in Lire Fiscali, eccetera – mentre mutui, debiti privati, e finanziamenti alle imprese, almeno in parte sono ancora espressi in euro.

All’atto pratico, comunque, il problema è di rilievo molto inferiore a quanto si potrebbe temere, in primo luogo perché la Riforma Morbida non è basata su un meccanismo di svalutazione: come visto, il riequilibrio del CLUP tra Italia e altri paesi dell’Eurozona (Germania in particolare) viene effettuato riducendo il carico fiscale effettivo sui costi di lavoro delle aziende.

La Lira Fiscale non è quindi destinata, al momento del passaggio sopra indicato (e ipotizzato, come si diceva, per il 1° gennaio 2018) ad essere negoziata sul mercato per un valore sostanzialmente difforme da quello dell’euro.

Inoltre, nel periodo intercorrente tra avvio della Riforma Morbida e passaggio finale alla Lira Fiscale, molti contratti di finanziamento (anzi molti rapporti giuridico-economico di qualsiasi natura: anche contratti di lavoro, pensioni, affitti eccetera) saranno scaduti o saranno stati rinegoziati su base volontaria.

Buona parte dei rapporti contrattuali, in altri termini, saranno già in Lire Fiscali e non più in euro, fin da prima del 2018.

Gli effetti di trasferimento di ricchezza saranno quindi nettamente inferiori a quanto avverrebbe in seguito a un break-up dell’euro, con conseguente automatica (e forzata) trasformazione in Nuove Lire di tutta una serie di rapporti economici, accompagnata a una significativa svalutazione della Nuova Lira rispetto all’euro.

Casi particolari potranno essere gestiti con provvedimenti di sostegno ad hoc, fermo restando che, con ogni probabilità, si tratterà di fenomeni di importo molto modesto (in confronto agli effetti di un break-up con svalutazione).