lunedì 28 settembre 2020

Rivedere la terminologia della finanza pubblica

 

Come spiega qui molto bene Stephanie Kelton, definire “deficit” l’eccesso di spesa pubblica rispetto alle tasse è, per un paese che emette la propria moneta, completamente fuorviante.

Si ha un “deficit” quando si è carenti di qualcosa. Come si può essere carenti di una cosa – la moneta nazionale fiat – che può essere prodotta in quantità illimitate ?

L’eccesso di spesa pubblica può creare un problema di inflazione se è spinto oltre il livello appropriato. Ma questo non ha niente a che fare con una “carenza”. Casomai con un eccesso.

Se ho a disposizione gasolio gratuito, senza limiti di quantità, per riscaldare una casa, posso esagerare e riscaldarla troppo, soffrendo per il troppo caldo invece che per il troppo freddo.

Ma nessuno affermerebbe che “ho un deficit di gasolio”. Direbbe, banalmente (e al contrario) che ne ho usato una quantità superiore a quella necessaria.

La terminologia è estremamente importante. Usare termini inappropriati sedimenta nella testa della pubblica opinione idee completamente errate.

L’Italia nel 2020, grosso modo, avrà una spesa pubblica eccedente gli incassi dell’erario, per una differenza pari a circa il 10% del PIL.

E’ fuorviante dire che l’Italia nel 2020 avrà un deficit pubblico del 10%.

E’ invece corretto dire che le politiche del governo italiano produrranno nel 2020 un surplus privato del 10%. Perché la spesa pubblica eccedente le tasse prelevate rimarrà nelle tasche di famiglie e aziende.

Inoltre, un paese ha un ulteriore afflusso o deflusso netto di mezzi finanziari prodotto dagli scambi con l’estero, il cosiddetto saldo delle partite correnti. Saldo che per l’Italia da parecchi anni è positivo e mediamente pari a circa il 3% del PIL.

Questi sono ulteriori mezzi finanziari che i residenti italiani accumulano (sarebbe il contrario se i conti con l’estero fossero negativi).

Quindi il surplus privato interno italiano è ancora più alto: è il 13% del PIL.

Vi pare la stessa cosa leggere sul Sole24Ore

“deficit pubblico 2020 al 10% del PIL”

oppure

“surplus privato interno 2020 al 13% del PIL” ?

Per ragioni analoghe, non bisogna parlare di “debito pubblico pari al 160% del PIL” ma di “risparmio presso il Ministero dell’Economia pari al 160% del PIL”. Risparmio investito in titoli di Stato e altre emissioni pubbliche.

Dato tutto ciò, in Italia esiste un problema di finanza pubblica ?

Esiste, ma solo perché le emissioni di titoli pubblici italiani sono espresse in moneta straniera, l’euro. Moneta che l’Italia non emette e non controlla, e che quindi non è disponibile in quantità illimitata (anche se il suo costo di produzione ovviamente è nullo, trattandosi di moneta fiat).

Questa è la principale, catastrofica conseguenza dell’essere entrati nell’euro.

Le emissioni di titoli pubblici da rimborsare in euro vanno effettivamente limitate, ma non, assolutamente non, cercando di portare il bilancio pubblico in pareggio.

Vanno limitate utilizzando una categoria di titoli emessi e gestiti dallo Stato italiano, e sui quali lo Stato (non essendo soggetto a obblighi di rimborso) non può andare in default.

Questa è la logica del progetto Moneta Fiscale / Certificati di Compensazione Fiscale.

 

sabato 26 settembre 2020

CCF a San Marino: il video

Trovate in questo articolo il video dai vari interventi di presentazione del progetto di legge Certificati di Compensazione Fiscale Sammarinesi (CCFS, altrimenti detti Titani).

Sono stati registrati durante la serata di dibattito pubblico, lo scorso giovedì 17 settembre.

giovedì 24 settembre 2020

Meccanismi di creazione del potere d’acquisto

 

Il potenziale produttivo di un paese dipende dalla tecnologia, dal capitale investito, dall’organizzazione e dalle risorse umane.

Per essere pienamente sfruttato, tuttavia, il potenziale produttivo deve associarsi alla disponibilità di strumenti finanziari che alimentino domanda e scambi, accrescendosi nel tempo in misura congrua rispetto alla crescita del potenziale stesso.

Questi strumenti finanziari svolgono la funzione di intermediari di scambio.

In assenza di intermediari di scambio, il potenziale produttivo si tradurrebbe in produzione effettiva solo in maniera molto limitata: quella consentita da un’economia interamente basata sull’autoproduzione e sul baratto.

Al di fuori di queste due ultime fattispecie, la crescita dell’economia richiede un’espansione di mezzi finanziari, che può provenire dai seguenti canali:

il deficit del settore pubblico, che immette nell’economia moneta nazionale

il surplus degli scambi con l’estero, che immette nell’economia moneta di provenienza estera (moneta che però è sottratta ad altre economie)

l’espansione del credito privato (che però implica anche l’espansione del debito privato).

Esiste un’ulteriore meccanismo di creazione di valore: lo sviluppo di attività economiche. Un imprenditore crea un’azienda che, se ha successo, genera un valore di avviamento correlato alle previsioni di redditività future. Questo valore comunque si traduce in disponibilità di mezzi finanziari solo se viene transato (se diventa cedibile) sul mercato dei capitali. Richiede quindi, anch’esso, una creazione di strumenti finanziari.

Va menzionata anche la possibilità di sviluppare circuiti di compensazione multilaterale (WIR, Sardex) che sono una forma di efficientamento del baratto. Creano anch’esse un intermediario di scambio che circola tra gli aderenti al sistema e costituisce una forma di moneta privata (non è utilizzabile nelle transazioni con il settore pubblico, in particolare non è utilizzabile per pagare le tasse, ma ha valore nei limiti in cui gli aderenti al circuito la possono utilizzare per scambiarsi beni e servizi, di cui è reciprocamente riconosciuta l’utilità).

Riassumendo, quindi, il passaggio dalla capacità produttiva, denominabile anche produzione potenziale, alla produzione effettiva, può avvenire:

Senza utilizzo di intermediari di scambio mediante

UNO, autoproduzione

DUE, baratto

Oppure

Con utilizzo di intermediari di scambio resi disponibili mediante

TRE, “monete private” generate da circuiti di compensazione multilaterale

QUATTRO, credito / debito privato

CINQUE, surplus negli scambi con l’estero

SEI, deficit del settore pubblico.

Come già illustrato qui, QUATTRO e CINQUE sono modalità potenzialmente destabilizzanti per il sistema finanziario.

UNO, DUE e TRE non sono destabilizzanti, ma non possono rivestire un ruolo predominante in un sistema economico avanzato.

SEI può e deve, invece, rivestire un ruolo assolutamente rilevante e, se generato mediante moneta nazionale (non mediante indebitamento in valuta estera) non ha le caratteristiche potenzialmente destabilizzanti di QUATTRO e CINQUE.

 

sabato 19 settembre 2020

San Marino: dubbi e chiarimenti

 

Trovate qui un breve resoconto dell’incontro tenuto a San Marino, lo scorso giovedì 17 settembre, in merito al progetto di legge “Certificati di Compensazione Fiscali Sammarinesi”, altrimenti detti “Titani”. 

In questo post ritengo opportuno sviluppare in modo più approfondito la risposta a un’obiezione specifica che è stato sollevata durante l’incontro. Risposta che ho già fornito in sede di discussione, ma il tema è tecnico e ci tengo a chiarirlo nel modo più preciso possibile (cosa che in un dibattito non è facilissima). 

L’obiezione si collega a un tema menzionato anche nell’articolo: un progetto CCF non rischia di risultare inefficace se applicato a un territorio e a un’economia di piccole dimensioni, come quelli sammarinesi ?

Nello specifico: un commerciante presente al dibattito ha formulato la domanda che segue. Io compro prodotti che a San Marino non si producono – li compro in Italia, pagandoli in euro – e li vendo all’interno della Repubblica del Titano.

Se accetto di essere pagato in CCFS, non rischio di trovarmi titoli che non so come utilizzare, e di non essere invece in grado di pagare gli acquisti che devo effettuare in euro ?

Risposta.

Il PIL di San Marino è pari a circa 1.400 milioni di euro, e il gettito fiscale annuo a 400.

Dei 1.400 milioni di PIL, semplificando possiamo ipotizzare che 200 siano retribuzioni dei lavoratori pubblici, 600 redditi di attività commerciali (inclusi gli stipendi dei loro dipendenti), e 600 redditi di attività produttive (anche qui, inclusi gli stipendi dei dipendenti).

Immaginiamo di emettere CCFS per un importo pari al 10% del gettito fiscale, quindi per 40 milioni.

Che cosa ne consegue ? il settore commerciale avrebbe una situazione di questo tipo:


Settore commerciale

Vendite 2.000

Acquisti 1.400

Costi di lavoro 180

Margine 420

Tasse 140

Reddito del settore commerciale 280

Contributo al PIL (margine + costi di lavoro) 600

 

Nel caso limite in cui tutti i CCFS emessi (40, come detto) vengano utilizzati per comprare beni e servizi presso il settore commerciale, il settore commerciale avrà appunto 40 di incassi sotto forma di CCFS, a fronte di 140 di tasse da pagare che potranno indifferentemente essere onorate in euro o in CCFS. 

Il settore produttivo avrà una situazione simile, con la differenza che tutti i ricavi e tutti i costi saranno pagati in euro, perché si sta facendo l’ipotesi-limite che tutti i CCFS vengano utilizzati presso il settore commerciale:


Settore produttivo

Vendite 2.000

Acquisti 1.400

Costi di lavoro 180

Margine 420

Tasse 140

Reddito del settore produttivo 280

Contributo al PIL (margine + costi di lavoro) 600

 

Da tutto questo deriva che: 

Il settore commerciale incassa 40 CCFS e ha tasse da pagare per 140, quindi al suo interno ha spazio in abbondanza per utilizzare tutti i CCFS.

Questa è la situazione complessiva: alcuni esercizi commerciali potrebbero avere invece più CCFS che tasse da pagare. Ma allora ce ne saranno altri interessati a comprare CCFS con un piccolo sconto, per pagare le loro tasse con quelli invece che con gli euro, conseguendo un beneficio sicuro (pari allo sconto).

A maggior ragione sarà interessato il settore produttivo, che ha tasse da pagare e non incassa nessun CCFS.

E saranno inoltre interessati tutti i dipendenti sia del settore commerciale, sia del settore produttivo, sia anche del settore pubblico – perché tutti devono pagare tasse.

Tutto ciò che serve è un meccanismo di intermediazione che consenta a chi detiene CCFS in eccesso, di venderli a chi è interessato a risparmiare sul pagamento delle sue tasse.

Ma dato che l’idea è di emettere CCFS per un importo pari al 3% del PIL e al 10% del gettito fiscale, e che solo una parte – probabilmente minore – dei CCFS emessi ha bisogno di essere intermediata, il problema (che tale non è) risulta gestibile con grande facilità.

Va notato che non si sta neanche ipotizzando che le aziende – commerciali o produttive che siano – propongano e ottengano dai loro fornitori e dai loro dipendenti di essere pagati in CCFS. Cosa che in qualche misura, più o meno accentuata si vedrà, è invece senz’altro plausibile.

Un’altra cosa da sottolineare: non è nemmeno necessario che le banche siano compratori finali dei CCFS, come alcuni partecipanti al dibattito dell’altra sera hanno ipotizzato. Le banche sammarinesi potrebbero avere scarso interesse ad essere detentori di CCFS perché hanno grossi crediti d’imposta dovuti alle perdite realizzate negli anni scorsi e quindi hanno poco spazio di utilizzo. 

Ma la funzione delle banche è di essere un tramite, generando commissioni d’intermediazione. Non c’è alcun bisogno che siano uno dei settori utilizzatori: aziende e  cittadini hanno già spazi di utilizzo enormemente superiori rispetto ai CCFS da emettere.

giovedì 17 settembre 2020

Una riflessione sul “debito buono” di Draghi


La grande novità dell'intervento di Mario Draghi a Rimini sarebbe stata, secondo molti, l’affermazione che esiste debito buono e debito cattivo (dove “buono” e “cattivo” sono da valutarsi sulla base delle finalità perseguite). Il debito cattivo è da evitare, il debito buono è spesso utile e a volte addirittura indispensabile.

Secondo qualcuno è la scoperta dell’acqua calda. Però in effetti è una posizione che induce a riflettere, e porta a conclusioni che proprio banali non sono.

Non sono banali, in effetti, proprio perché vanno molto al di là del “Discorso di Rimini” (il quale comunque rappresenta un non disprezzabile passo in avanti, se non altro rispetto al “Discorso di Pesaro”…). 

Il “debito buono” di Draghi sarebbe quello che espande la capacità produttiva e la produzione effettiva del paese, il che lo rende sostenibile. Quindi, hanno commentato in parecchi, quello per gli investimentibelli, non per la spesacorrentebrutta, e men che meno per i temporaneamentenecessarimaorribilisussidi.

C’è però un “dettaglio” da tenere in considerazione. La produzione non si espande solo in conseguenza dell’aumentata capacità produttiva generata dagli investimenti (che comunque richiede un corrispondente aumento di capacità di spesa e quindi di domanda, altrimenti gli investimenti rimangono inutilizzati).

La produzione si espande anche quando, immettendo capacità di spesa nel sistema economico, si riassorbe capacità produttiva già esistente, ma al momento sottoutilizzata. E a questo fine vanno bene anche i sussidi, vanno bene anche i trasferimenti, vanno bene anche le riduzioni di tasse.

Quanto poi all’affermazione che gli investimenti sono comunque meglio della spesa corrente, l’ho sempre trovata bizzarra. Meglio un cavalcavia inutile (investimento) o risolvere le carenze di staff di un ospedale (spesa corrente) ? era già una domanda retorica prima del Covid.

E tutto questo anche facendo finta di accettare un concetto che invece non è accettabile per niente: che la spesa pubblica netta debba necessariamente essere finanziata emettendo debito.

Quando invece si può emettere moneta.

Insomma come dicevo il “Discorso di Rimini” del 2020 è un passo in avanti rispetto al “Discorso di Pesaro” del 1926. Però è molto opportuno che ulteriori passi avanti avvengano un bel po’ più rapidamente. Io e credo anche chi mi legge non saremo in circolazione abbastanza a lungo per commentare il “Discorso di Cattolica” del 2114.

martedì 15 settembre 2020

17 settembre ore 21: presentazione dei CCF a San Marino

Trovate a questo link (e grazie a Francesco Chini) la descrizione dell'evento di presentazione dei CCF Sammarinesi, in programma per dopodomani (giovedì) in serata.

I CCF Sammarinesi sono un progetto di legge in avanzata fase di esame e discussione.


sabato 12 settembre 2020

Che cosa significa ridurre il debito pubblico

Il dramma della politica economica italiana di questi anni è che governo e media ragionano come se la riduzione del debito pubblico fosse “evidentemente e per definizione” un obiettivo desiderabile, anzi l’obiettivo fondamentale da perseguire.

Cos’é il debito pubblico ? una “public liability”, un impegno che lo Stato emittente deve onorare.

Cos’é la moneta ? idem: una “public liability” che lo Stato emittente deve onorare. Cambia solo la natura dell’impegno: il debito pubblico a scadenza deve essere rimborsato, la moneta deve essere accettata dall’emittente per saldare impegni finanziari nei suoi confronti. E l’impegno finanziario principale per i cittadini di uno Stato è il pagamento delle tasse.

Fa una grande differenza ? se lo Stato emette debito pubblico espresso nella SUA moneta, praticamente nessuna. Quando mi scade un titolo di Stato, lo presento per il rimborso e lo Stato mi può SEMPRE rimborsare – se la moneta di emissione è la moneta nazionale.

Non esiste il rischio di essere costretti al default. C’è il rischio di emettere troppe passività – debito o moneta è lo stesso – e quindi di immettere troppo potere d’acquisto nell’economia, creando problemi di eccesso d’inflazione. 

Ma oggi, pressoché in tutto il mondo economicamente sviluppato, l’inflazione è un problema in quanto troppo bassa, non troppo alta.

Per l’Italia il debito pubblico è REALMENTE un problema, ma SOLO perché abbiamo commesso il catastrofico errore di convertirlo in una moneta emessa e gestita da terzi, che non sono disposti a garantire incondizionatamente il rimborso e il rifinanziamento del debito pubblico. 

E’ un problema che ci siamo creati da soli, SENZA che ne esistesse ALCUNA NECESSITA’ ECONOMICA.

Gli sforzi di riduzione del debito pubblico ottengono lo stesso effetto di una riduzione della moneta, del potere d’acquisto, a disposizione di famiglie, aziende e settore pubblico. Servono a DEFLAZIONARE l’economia. In certi momenti può essere opportuno. Oggi (da molti anni in qua, in effetti) è CATASTROFICO.

Il problema non è risolvibile a meno che le regole di funzionamento dell’eurosistema non mutino, consentendo politiche fiscali molto più espansive (no, il Recovery Fund non basta, nemmeno lontanamente; anzi rischia di essere controproducente).

O, in alternativa, che l’Italia non riprenda il controllo dell’emissione monetaria. Non necessariamente tornando alla lira: basta la Moneta Fiscale.

Mentre non basta, come sembrerebbe leggendo quanto scrivono molto commentatori in queste settimane, che Draghi arrivi a prendere il posto di Conte.

La presunta (e al momento ipotetica) venuta di Draghi dovrebbe essere decisiva (si legge) perché “lui ha dimostrato di saper risolvere i problemi”.

Ma Draghi ha potuto evitare la rottura dell’euro (senza peraltro risolverne le disfunzioni) perché aveva le mani sulla macchina da stampa.

Draghi non può risolvere i problemi dell’economia italiana senza rientrare in possesso della macchina da stampa; più esattamente, della possibilità di usarla nel modo appropriato in Italia.

Se la pensate diversamente, potete anche ingaggiare Hamilton e sperare di vincere il prossimo mondiale di Formula 1 facendolo correre a piedi.

 

domenica 6 settembre 2020

Santificare Draghi ? anche no


Il discorso di Draghi al Meeting di Rimini, lo scorso 19 agosto, è stato ampiamente commentato, per lo più in termini fortemente elogiativi. E si può capirlo, perché è si è trattato indubbiamente di un intervento molto abile. Condivisibile, per quanto un po’ irriverente, il giudizio di Stefano Fassina, che l’ha definito un discorso “piacione”.

L’intervento è stato abile perché quasi tutti hanno potuto trovarci contenuti in linea con le proprie convinzioni. Quasi tutti hanno potuto dire “giusto, Draghi la pensa come me su questo e su quello”.

Per quanto mi riguarda, i passaggi più incoraggianti sono forse le affermazioni che “l’inadeguatezza di alcuni di questi assetti” (riferito alle regole UE, tra cui il patto di stabilità) “era da tempo evidente”, e che “è probabile che le nostre regole europee non vengano riattivate per molto tempo e certamente non lo saranno nella loro forma attuale”.

Però.

Però, il Mario Draghi che dice queste cose oggi è un omonimo del Mario Draghi che firmava a quattro mani con Jean-Claude Trichet, nell’agosto 2011, l’ormai celebre “lettera BCE, nella quale venivano richiesti al governo italiano provvedimenti di austerità e deflazione salariale poi in larga misura attuati dal governo di Mario Monti, con catastrofiche conseguenze sull’economia italiana e sulla vita di milioni di persone ?

Però, il Mario Draghi che dice questo cose oggi è un omonimo del Mario Draghi che nel dicembre 2011 spiegava come fosse indispensabile “ridisegnare la governance fiscale dell’eurozona, tramite quello che ho definito un patto fiscale, un fiscal compact” ?

Però, il Mario Draghi che dice questo cose oggi è un omonimo del Mario Draghi che in un'intervista al Wall Street Journal del febbraio 2012 definiva il modello sociale europeo “finito per sempre”, riaffermando che non si sarebbe fatta marcia indietro sull’austerità ?

Solo gli stupidi non cambiano mai idea, e Mario Draghi certamente non è stupido. Tuttavia sarebbe stato apprezzabile sentirgli dire che “l’inadeguatezza di certi assetti era da tempo evidente, e questo lo deve riconoscere chi, io per primo, anni fa li ha fortemente sostenuti”.

Quest’ultima frase non si è sentita, da parte di Draghi. Né a Rimini né (se non mi è sfuggito qualcosa) altrove.

Si è invece ascoltata un’ampia dissertazione sul futuro dei giovani, con parole di preoccupazione perché “il debito creato con la pandemia è senza precedenti e dovrà essere ripagato principalmente da coloro che sono oggi i giovani”, appunto.

Il che solleva alcune perplessità.

Perché se a Draghi sono serviti otto o nove anni per riconoscere “l’inadeguatezza di certi assetti” dell’eurosistema, da lui a suo tempo fervidamente sostenuti, quanti altri ne serviranno per sentirlo dire

che il debito creato con la pandemia ha come corrispettivo titoli di debito pubblico, quindi attività finanziarie, a disposizione del sistema economico che dovrebbe in futuro “pagarlo” ?

che il debito creato con la pandemia è in larghissima misura acquistato dalle Banche Centrali, con emissione di nuova moneta che circola nell’economia senza creare effetti inflazionistici (perché la carenza di domanda per beni e servizi reali evita questi effetti, e questa è la situazione non a seguito del Covid – anche se il Covid l’ha accentuata – ma dalla crisi finanziaria mondiale del 2008 in poi) ?

che sono disponibili proposte e progetti, quali i Certificati di Compensazione Fiscale (CCF), che permettono di integrare redditi e capacità di spesa senza ricorrere a indebitamento ?

C’è da sperare che queste “illuminazioni” non richiedano, per rischiarare il pensiero di Mario Draghi, svariati altri anni.

Specialmente se avrà ragione chi ritiene che Draghi sia destinato ad assumere un’importantissima carica politica: presidente del consiglio nel 2021 ? presidente della repubblica nel 2022 ?

Il sospetto, per la verità, è che Draghi tutte queste cose le abbia perfettamente capite, ma non ritenga sia oggi il caso di riconoscerle esplicitamente.

Può essere. La competenza di Draghi non è in discussione. Come non lo è la sua scaltrezza.

Non essendo in dubbio la sua scaltrezza, ritengo che un Draghi presidente del consiglio o presidente della repubblica non verrà (se verrà) a fare cose simili, a titolo di esempio, a quelle messe in atto da Mario Monti o da Giorgio Napolitano. Perché lasciarsi alle spalle un’economia in macerie è la via più sicura per rovinare una reputazione oggi altissima.

Per evitare le macerie, comunque, l’agenda (se tale la vogliamo definire) del discorso di Rimini è ancora carente sotto parecchi punti di vista.

Certo, il Mario Draghi 2020 dice cose significativamente diverse dal Mario Draghi 2011-2012.

Però serve molto, molto di più.


giovedì 3 settembre 2020

Il pareggio di bilancio è fonte di instabilità


Siete sorpresi dal titolo di questo post ? non dovrebbe essere una verità elementare, un’ovvietà, il fatto che il pareggio del bilancio pubblico sia un fattore chiave per la stabilità economica e finanziaria di un paese ?

E’ vero esattamente il contrario.

Se il PIL nominale che un paese è in grado di generare aumenta, di pari passo con la crescita della produttività e con un moderato tasso d’inflazione, deve aumentare di pari passo il potere d’acquisto a disposizione dei propri residenti (famiglie e aziende).

Diversamente, non sarebbe possibile acquistare i beni e i servizi che l’economia è in grado di produrre. Si creerebbero quindi i presupposti per il sottoutilizzo delle risorse produttive, e di conseguenza per la disoccupazione.

Il potere d’acquisto in circolazione può crescere attraverso vari canali.

UNO, il credito privato si espande. Ma se la crescita del potere d’acquisto è tutta generata dal credito privato, il sistema economico diventa instabile, perché banche e intermediari finanziari tendono ad agire in modo prociclico. Aumentano il credito quando le cose vanno bene e lo contraggono quando ci sono problemi.

DUE, il paese genera costantemente surplus negli scambi con l’estero. Ma questo significa che altri paesi si devono indebitare. Si crea quindi instabilità a livello internazionale.

TRE, i prezzi scendono e quindi il potere d’acquisto in circolazione aumenta non in termini nominali ma in termini reali. Ma questo è uno scenario di deflazione, che crea instabilità perché aumenta il valore reale di debiti, pagamenti di interessi, mutui, affitti e costi fissi in genere. Si creano grosse difficoltà per chi deve sostenere i relativi pagamenti e si innesca una catena di default e un processo di contrazione dell’attività produttiva.

L’unica maniera di espandere il potere d’acquisto in circolazione che non sia intrinsecamente fonte di instabilità è il deficit del bilancio pubblico. Lo Stato spende più di quanto tassa, nella misura opportuna ad assicurare il pieno utilizzo delle risorse produttive del paese (altrimenti detto: portando la domanda totale di beni e servizi al livello che satura la capacità produttiva del sistema economico).

E questo deficit viene finanziato dall’emissione di moneta nazionale, o di debito pubblico denominato in moneta nazionale, o di un adeguato succedaneo della moneta nazionale quali i Certificati di Compensazione Fiscale, consentendo allo Stato emittente di evitare sempre e comunque il default.

Mediamente, il bilancio pubblico deve essere in deficit, ponendo attenzione a evitare eccessi che inneschino livelli di inflazione troppo alti, o deficit cronici nei saldi commerciali esteri.

Il deficit pubblico può e deve oscillare – essere alto nei periodi difficili e basso (al limite può diventare temporaneamente un surplus) se l’economia rischia di surriscaldarsi.

Ma in media, il bilancio pubblico deve essere in deficit, per qualche punto percentuale all’anno.

Puntare al pareggio di bilancio “strutturale”, come pretende di fare il Fiscal Compact, è semplicemente un non-senso macroeconomico. Una superstizione che ha prodotto danni enormi.


martedì 1 settembre 2020

I critici dei “sussidi a pioggia”


Chi vuole apparire, almeno agli occhi di un certo segmento di opinione pubblica, un commentatore economico (e magari un decisore politico) avveduto e assennato, ha un sistema semplice e pratico. Inveire contro i “sussidi a pioggia e a debito”.

Vedi qui (un esempio tra tantissimi) Giovanni Cagnoli, consulente di strategie e direzione d’azienda, già capo di Bain Consulting in Italia.

Niente sussidi quindi, fonte di sprechi, parassitismo e inefficienza. Investimenti, formazione, ricerca, nuove tecnologie, organizzazione eccetera eccetera.

Un tipico approccio da consulente aziendale. Devo utilizzare al meglio le risorse che ho e riallocarle dal poco utile al molto utile.

Il problema è che la macroeconomia non ha un granché a che vedere con la gestione aziendale. “Un paese non è un’azienda” sarà un luogo comune, ma i luoghi comuni spesso sono comuni perché sono veri, e questo lo è.

Intanto, i Cagnoli di turno che se la prendono con i “sussidi a pioggia a debito” omettono totalmente di prendere in considerazione una verità che dovrebbe (ma non è) essere ovvia a tutti: la spesa pubblica netta può essere finanziata non emettendo debito ma emettendo moneta.

Con un paio di corollari. Emettere moneta non è affatto più inflazionistico che emettere debito.

E comunque l’inflazione, nel contesto attuale (che in realtà dura da oltre un decennio, il Covid l’ha solo accentuato) di deficit cronico di domanda, è un problema in quanto troppo bassa, non troppo alta.

Ma i Cagnoli di turno, se applicassero correttamente le loro analisi di utilizzo efficiente delle risorse, dovrebbero accorgersi che lo spreco peggiore è possedere risorse produttive, risorse fisiche, e lasciarle inoperose.

Il che vuol dire che il primo obiettivo deve (dovrebbe) essere ridurre al minimo la disoccupazione, la sottoccupazione, il precariato.

Cos’hanno in mente, invece, i Cagnoli di turno ? interventi a saldo zero. Riallocazione dal meno efficiente, dal meno produttivo, al più.

Ma sono così certi di saper identificare e attuare processi di riallocazione dove i vantaggi dei maggiori investimenti, delle nuove direttrici di spesa, superano l’impatto negativo di tasse e tagli ? può essere benissimo il contrario. Di sicuro, una decina d’anni di “riforme strutturali” prescritte e benedette dalla UE non hanno risolto nessun problema. Anzi.

In ogni caso, se rialloco risorse pari al 20% del PIL (una passeggiata di salute riuscirci, pensando a chi dovrà subire i tagli o pagare le maggiori tasse…) e su quel 20 ottengo un recupero di efficienza del 15% (obiettivo MOLTO ambizioso) il vantaggio è 3.

Se metto al lavoro risorse inoperose o sottoutilizzate pari al 10% del PIL, il vantaggio è, appunto, 10. E senza togliere niente a nessuno (non taglio e non tasso).