martedì 30 gennaio 2024

La non intelligenza artificiale

 

Sono un po’ scettico quando leggo certe entusiaste, o pensose, o preoccupate, dissertazioni sull’impatto dell’IA, dell’intelligenza artificiale.

Quando si può realmente parlare di intelligenza ? la mia definizione è che l’intelligenza si identifica con l’autocoscienza. Con la percezione di sé stessi.

Gli esseri umani la possiedono. Gli animali anche. Le macchine no.

Nella cosiddetta IA, non vedo autocoscienza. Vedo un ulteriore sviluppo della capacità di calcolo, di memorizzazione, di esecuzione di istruzioni: capacità che da decenni progrediscono, e senza dubbio lo faranno ulteriormente. Ma senza autocoscienza vale sempre la definizione (scherzosa ma anche no) che cinquant’anni ho letto in un manuale IBM: un computer è un cretino ad altissima velocità.

La velocità da altissima diventa stellare, fotonica, extragalattica: sempre di un’entità non intelligente si tratta. Uno strumento informatico che effettua un fantastiliardo di calcoli al millisecondo e memorizza una zilionata di informazioni non è più intelligente di una gru che solleva dieci tonnellate a trenta metri di altezza.

Quanto al rischio che la IA sostituisca le funzioni lavorative svolte dall’essere umano, generando disoccupazione di massa, anche qui non condivido. Qualche secolo fa lavorava nei campi qualcosa tipo il 70% della forza lavoro. Oggi si può sfamare (e molto meglio di allora) un paese impiegando il 2%. Forse che la disoccupazione è aumentata del 68% ?

Ma la IA, si dice, adesso sostituisce mansioni intellettuali, non mansioni fisiche. Quando le macchine avranno sostituito anche le mansioni intellettuali, che cosa rimarrà da fare agli esseri umani ?

Questa sostituzione però non è una novità. Che fine hanno fatto i copisti, le dattilografe, gli archivisti ? Certe mansioni intellettuali scompaiono, altre se ne creano.

Quanto poi al fatto che le mansioni fisiche siano state eliminate e non se ne creino di nuove, non è vero neanche questo. Le città sono percorse di giorno e ahimè anche di notte, nonostante freddo, pioggia e buio, da ciclisti che consegnano pasti a domicilio. La versione moderna del garzone del fornaio, che si è “evoluto” ma non è affatto scomparso.

La crescita della produttività rende necessario riallocare personale, certo. Ma non crea disoccupazione di massa. Aumenta invece il potenziale produttivo. La disoccupazione di massa la genera un sistema economico che raziona senza ragione la circolazione di mezzi di pagamento, impedendo all’economia di realizzare il suo potenziale. Il problema sta nella governance dell’economia, non nello sviluppo della produttività.

E del resto in Italia soffriamo di una carenza di posti di lavoro qualificati e ben remunerati dopo un quarto di secolo di mancata crescita della produttività. E in tutto il mondo occidentale le aziende si strappavano di mano i lavoratori e i salari reali crescevano in anni (il trentennio dopo la fine della seconda guerra mondiale) in cui la produttività cresceva velocemente. Molto più di oggi. IA o non IA.

 

domenica 28 gennaio 2024

L’importanza del deficit

 

Sono molto stupito (ma forse non dovrei) dalla frequenza con cui certi commentatori mettono in bocca agli economisti MMT cose DIVERSE da quelle che la MMT afferma. Profondamente diverse.

In particolare, la MMT, a sentire questi signori, sosterrebbe che deficits don’t matter, che i deficit pubblici “non hanno importanza”, e che di conseguenza possono essere alti a piacere.

Certo che hanno importanza, i deficit !!!

Ma quello che la MMT afferma in merito ai deficit pubblici è tutt’altro:

PRIMO, è assolutamente normale che i conti pubblici di uno Stato siano in deficit, cioè che lo Stato spenda più del prelievo fiscale. E’ il principale canale tramite cui i mezzi di pagamento in circolazione aumentano: e devono aumentare, in un’economia in crescita. 

SECONDO, il deficit può essere troppo alto ma anche troppo basso. Può spingere la domanda al di sopra della capacità produttiva del sistema, e quindi essere inflazionistico. Ma può anche essere carente, creando quindi i presupposti per disoccupazione e sottoccupazione.

TERZO, non esiste quindi un livello “ideale” di deficit, cioè un livello numerico “corretto” (men meno è “corretto” il pareggio di bilancio). Dipende dalle circostanze.

QUARTO, non esiste neanche un livello numerico di deficit che sia a priori “troppo alto”: ovvero, non esiste un limite da non superare mai, non esiste un livello che sia intrinsecamente eccessivo, che sia necessariamente “insostenibile”.

Chi mette in bocca agli economisti MMT affermazioni (in merito al deficit pubblico) in contraddizione con queste, semplicemente commenta cose che non ha capito, o che più probabilmente non ha neanche mai letto né ascoltato.

 

sabato 20 gennaio 2024

Groucho Marx e la UE

 

Groucho Marx ha elaborato una definizione della politica molto arguta.

“L’arte di cercare problemi, trovarli dappertutto, formulare una diagnosi sbagliata, e applicare soluzioni che non funzionano”.

La definizione, dicevo, è arguta, ma piuttosto ingiusta. La politica non funziona sempre così.

Gli stati nazionali hanno problemi al loro interno. Qualche volta se li inventano, ma nella maggior parte dei casi sono reali.

Le diagnosi le sbagliano spesso, ma sarebbe ingiusto dire che le sbagliano sempre.

E le soluzioni ? tutte sbagliate ? no dai, metterla su questo piano è una riedizione del “piove governo ladro”.

Però c’è un’organizzazione politica a cui la descrizione di Groucho si applica, invece, perfettamente. Ed è la UE.

Ma non è un caso. La UE non è nata per risolvere problemi. E’ nata per sottrarre poteri agli stati e trasferirli a se stessa.

E ha stabilito che un sistema efficace per forzare il trasferimento di poteri è creare un perenne stato di emergenza, inventando problemi anche quando non ci sono, e non risolvendoli mai.

Per non sbagliarsi, non solo non li risolve ma impedisce agli stati di farlo. Non so se Jean Monnet dicendo “l’Europa si formerà come conseguenza delle crisi” intendesse esattamente questo.

Ma questo è quanto abbiamo sotto gli occhi oggi.

giovedì 18 gennaio 2024

Tautologie ? anche no

 

Specialmente negli ultimi tempi, su questo blog batto e ribatto sul tema che il deficit pubblico si trasforma, centesimo per centesimo, in risparmio privato. Se il settore pubblico spende più di quanto tassa, il settore privato riceve più di quanto paga. E le risorse finanziarie nette che arrivano al settore privato non si bruciano: circolano, ma rimangono sempre e comunque in tasca a qualcuno.

Di fronte a queste affermazioni, mi sento non di rado ribattere che si tratta di ovvietà. Anzi, di tautologie secondo il significato che di tautologia dà la logica formale: affermazioni vere per definizione, quindi fondamentalmente prive di valore informativo.

Spesso qualcuno fa un passo in più nello spiegare perché si tratta di tautologie. Se divido il mondo in due parti, che possono essere il settore pubblico e il settore privato ma anche gli individui alti almeno 170 centimetri e quelli più bassi, quelli che sanno nuotare e quelli che no, gli juventini e i non juventini, è sempre vero che l’eccesso di spesa di uno dei due gruppi crea risparmio netto per l’altro.

Sarei tentato di essere d’accordo. Niente valore informativo.

Sennonché, se è così ovvio, perché millanta volte al giorno i media e i commentatori economici – non solo in Italia, ma in tutto il mondo; ma forse qui più che altrove – si pongono con aria pensosa e preoccupata la fatidica domanda “dove troveremo i soldi per finanziare il deficit pubblico ?”.

C’è evidentemente una grande parte della pubblica opinione che ha bisogno di capirle, queste ovvietà. E se le capisse, migliorerebbe molto, anzi MOLTISSIMO, il suo livello di competenza economica.

C’è valore informativo ? certo che c’è. Altro che tautologie.

sabato 13 gennaio 2024

Il debito pubblico non impoverisce

 

Per risolvere i problemi economici dell’Italia il primo passo è convincere l’opinione pubblica, nonché la classe politica, che il paese NON SI ARRICCHISCE tramite la riduzione (in valore assoluto o in rapporto al PIL) del debito pubblico.

Anzi.

Quando i conti pubblici sono in deficit, il settore pubblico spende soldi e ne ritira una parte inferiore tramite il prelievo fiscale. Si verifica quindi un’IMMISSIONE NETTA di potere d’acquisto nel settore privato dell’economia. Si generano reddito e risparmio.

Il limite all’opportunità di attuare deficit non sta in NESSUN rapporto numerico predefinito. Il deficit pubblico può essere eccessivo se alimenta inflazione o deficit commerciali. Ma inflazione e scompenso nei costi esteri possono verificarsi con un deficit pubblico dell’1%, e possono non verificarsi con un deficit pubblico del 15%.

In assenza di eccessi di inflazione o di deficit commerciali (soprattutto / principalmente se finanziati in valuta estera) l’incremento del deficit non è in alcun modo da considerare un problema.

Quanto al debito pubblico, costituisce un’interessante opportunità di impiego offerta al settore privato per il risparmio che si genera in conseguenza dei deficit pubblici.

Se oggi per l’Italia il debito pubblico è un problema è SOLO perché, a causa della sciagurata decisione di entrare nell’euro, non controlliamo la moneta in cui siamo impegnati a rimborsare il debito.

La più plausibile via per risolvere il problema è la Moneta Fiscale.

Via tecnicamente facilissima.

Via politicamente molto dura.

Ma comunque, sia tecnicamente che politicamente, molto più facile dell’uscita dall’euro.

mercoledì 10 gennaio 2024

Bagnai sempre peggio

 

Trovate qui il video dell'intervento di ieri, da parte dell’on. Alberto Bagnai, in merito al tema Superbonus 110%. Dal punto di vista tecnico-contabile, nulla di nuovo a quanto già da me riferito e commentato nel mio post del 6.4.2023. Bagnai pretende di insegnare la partita doppia ma in realtà è lui a non conoscerla. 

Qualche chiosa in più la merita però la parte finale del suo intervento, in cui elogia il ministro Giorgetti per aver evitato che l’Italia passasse, di fronte ai media internazionali, come un paese che “trucca i conti”. Mettendosi quindi sullo stesso piano della Grecia.

Un commento del genere mi sarei aspettato di sentirlo da un Giannino o da una De Romanis. L’Italia non aveva inizialmente incluso l’impatto del Superbonus nel deficit pubblico per la semplice ragione che le regole Eurostat non lo prevedevano. Regole che sono state SUCCESSIVAMENTE modificate. E le revisioni contabili sono venute di conseguenza.

Ricordo comunque, a smentita delle strampalate elucubrazioni di Bagnai in tema di partita doppia, che Eurostat ha confermato che la Moneta Fiscale NON rientra nella definizione di debito pubblico.

Aggiungo solo che la mia opinione su Bagnai si riassumeva, fino a un po’ di tempo fa, come segue. Lo consideravo un divulgatore molto efficace, un buon economista e un individuo con un pessimo carattere.

Il primo e l’ultimo giudizio restano invariati. Sul secondo temo proprio che un declassamento sia opportuno.

Certo, finché si confronta, appunto, con le De Romanis e con i Giannini, Bagnai può passare per un titano del pensiero economico. Ma solo a causa dei termini di confronto.

Continuo a non ritenere, come in parecchi ormai affermano, che Bagnai sia ormai diventato una palla al piede dei movimenti di opinione euroscettici.

Però sinceramente, ce la sta mettendo tutta per farmi modificare anche quest’ultimo giudizio. Grazie, soprattutto, ai suoi tentativi di insabbiare e screditare lo strumento che ha la maggiore plausibilità per ottenere lo scopo di mettere fine all’eurocrisi: la Moneta Fiscale.

domenica 7 gennaio 2024

Perché il deficit pubblico è SEMPRE risparmio privato

 

La differenza tra spese e incassi dello Stato, altrimenti detto il deficit pubblico, si trasforma centesimo per centesimo in risparmio privato. Perché ?

Perché se lo Stato immette nell’economia privata più soldi di quanti ne preleva, l’economia privata nel suo complesso riceve più soldi di quanti ne versa allo Stato (con le tasse).

Si tratta di affermazioni di una tale ovvietà che sembrerebbe superfluo doverle spiegare, ripetere e rispiegare. E invece vengono costantemente contestate da soggetti non necessariamente, non sempre, in malafede.

Perché vanno in confusione di fronte a questo concetto ?

Semplicemente perché hanno in testa che il deficit pubblico, certo, affluisce nelle tasche di altri componenti del sistema economico, quindi di soggetti privati. Ma “nel momento in cui diventa reddito una quota è consumata il resto è risparmio”.

Qual è il passaggio mancante ?

Semplicissimo: la “quota consumata” è spesa per beni e servizi che costituisce REDDITO DI ALTRI SOGGETTI PRIVATI. Se ricevo uno stipendio dallo Stato perché sono un dipendente pubblico e lo uso per comprare pane, il mio consumo diventa reddito del panettiere. Il risparmio privato non sarà più mio, ma del mio fornitore. Che è anch’esso un soggetto privato.

Immaginate che al posto della moneta si usino conchiglie, e che lo stato realizzi il deficit spendendo conchiglie (che è in grado di produrre dal nulla) nell’economia privata.

Nel momento in cui le conchiglie entrano in circolazione, vengono, certo, in parte spese da chi le riceve: passano di mano in mano. Ma non spariscono. Se lo Stato immette dieci conchiglie, le dieci conchiglie sono sempre in mano a qualcuno. Sono sempre parte del risparmio privato di qualcuno. Non necessariamente del ricevente iniziale, ma sempre di qualcuno.

Il deficit pubblico incrementa il risparmio privato, centesimo per centesimo.

Certo, se si verifica un peggioramento dei saldi commerciali esteri, l’incremento del risparmio privato c’è ma è (in parte) risparmio privato di soggetti non nazionali.

Certo, se per problemi di eccesso o di composizione il deficit aumenta l’inflazione, il risparmio privato cresce in termini nominali ma non in termini reali.

Per cui, per capire se stiamo attuando una politica economica corretta, dobbiamo (non solo ma anche) tenere sotto controllo inflazione e saldi esteri.

Ma rimane assolutamente vero, e incontestabile, che il deficit pubblico incrementa il risparmio privato. Chi lo nega semplicemente commette un errore elementare nell’analizzare il funzionamento del sistema economico.


venerdì 5 gennaio 2024

Aridaje con l’offerta…

 

Ormai dovrebbe essere un tema noto e sviscerato, e il dibattito di conseguenza morto e sepolto. E invece rispuntano periodicamente quelli che sostengono come e qualmente sia riduttivo, per non dire fuorviante, imputare la venticinquennale stagnazione italiana all’euro e alle sue regole. Quindi alla compressione della domanda.

Ma – dicono questi signori - l’innovazione, ma gli investimenti, ma la produttività ? ma l’offerta ?

Gli elementi base per chiarire il tema li ho sintetizzati qui la bellezza di otto anni fa, in un post che non mi sembrava eccessivamente tecnico. Ma si può essere ancora più semplici e discorsivi.

Se dal trattato di Maastricht in poi sono all’interno di un sistema che persegue il contenimento del debito pubblico perché l’ha identificato come un problema esistenziale – quando, lasciandolo in lire, non lo sarebbe mai stato;

se, erroneamente, si ritiene che contenere il deficit pubblico sia l’unica via per ridurre il rapporto debito / PIL – ignorando totalmente gli effetti di retroazione, ovvero il fatto che le azioni di riduzione del deficit implicano il calo del PIL e del gettito fiscale, per cui hanno un effetto in generale dubbio, e in molti casi senz’altro controproducente, sul rapporto;


se utilizzo una moneta troppo forte per i fondamentali dell’economia italiana, disincentivando le produzioni all’interno del paese;

il risultato è semplice e ovvio: contrazione degli investimenti, sia privati che pubblici.

E quindi è inevitabile che dopo anni di questo trattamento si constati la stagnazione della produttività, la stasi della capacità produttiva, la debolezza dell’offerta.

Ma è evidente, per chi lo vuol vedere, che all’origine di tutto c’è il contenimento, artificiale e privo di senso economico, della domanda.

E l’euro nonché le regole di funzionamento dell’eurosistema sono la causa primaria di tutto questo.

Notare poi che chi identifica il problema nell’eurosistema, quindi nella domanda, ha anche le soluzioni per superarlo (che non sono, ovviamente, facili da far passare politicamente: ma ci sono, e la più plausibile è la Moneta Fiscale).

Mentre quelli che “il problema è l’offerta, l’euro non c’entra” non hanno, invece, nulla di sensato da proporre.

 

mercoledì 3 gennaio 2024

Il tempo indefinito

 

Quando sei giovane pensi di avere un tempo infinito davanti a te e quindi ti riesce naturale programmare e progettare.

Quando sei meno giovane non lo pensi più ed è quindi naturale bloccarsi di fronte alla prospettiva di anni di attività per perseguire un obiettivo.

Però è sbagliato.

Quanto tempo avrai davanti, non lo sai. Non lo sai a vent’anni, a quaranta, a sessanta, a ottanta.

Il tempo che hai davanti è indefinito. Può essere brevissimo per un ventenne e molto lungo per un ottantenne.

Sei hai idee e traguardi, se stai abbastanza bene di corpo e soprattutto di testa, non rinunciare a perseguirli – le idee e i traguardi - qualunque sia la data scritta sulla tua carta d’identità. Non pensare che il problema sia il tempo che hai a disposizione. E’ solo un alibi per non muoversi.

E poi progredire lungo una strada dà soddisfazione quanto raggiungere l’obiettivo. Anzi, l’obiettivo raggiunto è una grande gioia che però dura un istante. Poi ti senti vuoto se non ne hai subito uno nuovo verso cui incamminarti.

 

lunedì 1 gennaio 2024

Non preoccupatevi della sovrappopolazione

 

Mi è sempre riuscito difficile comprendere il perdurante successo del pensiero di Thomas Malthus. Lo ritengo il pensatore più chiaramente e nettamente smentito dalla storia, eppure continua a esercitare una fortissima influenza, quasi un fascino (mi vien da dire) perverso, su molti commentatori e su molti opinionisti.

La sua tesi che la disponibilità di alimenti cresca linearmente mentre la popolazione esponenzialmente, con il risultato che la carestia è il destino ineluttabile dell’umanità, è stata confutata dai fatti. E lo è stata, totalmente, sotto entrambi i profili.

La disponibilità di alimenti procapite, nel paio di secoli trascorsi dalla formulazione delle tesi malthusiane, non ha fatto che aumentare. Mentre la popolazione mondiale è certo cresciuta tantissimo, ma sta ormai puntando verso la stabilizzazione. Siamo otto miliardi e diventeremo dieci, forse undici (con la crescita in larghissima misura concentrata in Africa), nella seconda metà del ventunesimo secolo.

Poi stop, la transizione demografica sarà completa in tutto il mondo e qualcuno ipotizza addirittura, da lì in poi, una diminuzione.

Eppure i profeti di sventura continuano a imperversare. Si sente continuamente ripetere che “al mondo siamo troppi”, senza che nessuno spieghi in modo plausibile perché.

Il malthusianesimo è stato riverniciato di ecologismo ed ambientalismo, soprattutto negli ultimi cinquanta o sessant’anni. Significativo il modestissimo, ma citatissimo, rapporto al Club di Roma sui “Limiti dello sviluppo” (del 1972). Che vaticinava catastrofi in un futuro non distante (anche se non era chiaro esattamente quanto) a causa di carenze alimentari abbinate all’inquinamento incontrollato e all’esaurimento delle risorse fisiche.

Il tutto sulla base di simulazioni computerizzate (con la capacità di calcolo dei computer di allora, che era una frazione minima rispetto a uno smartphone odierno), impostate su assiomi che erano sempre la riedizione di quello malthusiano – in peggio. La popolazione cresce esponenzialmente, la disponibilità di cibo linearmente. Ma per di più si impenna l’inquinamento e crollano le riserve di materie prime.

Non c’è evoluzione tecnologica, non c’è miglioramento delle tecniche produttive, non c’è progresso nello sfruttamento razionale delle risorse, non ci sono scoperte e sviluppi di nuove fonti.

Quindi siamo troppi. Perché ? “perché sì”. Ma è plausibile ?

Negli USA ci sono 340 milioni di persone. Dei quali 130 sulla costa atlantica in un territorio pari alla somma di Italia e Francia. E’ l’unica parte del paese con una densità di popolazione di tipo europeo. Altri 130 nel resto della metà orientale degli Stati Uniti, su una superficie cinque volte maggiore. E nella metà occidentale ? 80 milioni in uno spazio pari a sedici volte l’Italia.

In Australia ? territorio tre quarti dell’Europa (Russia ad ovest degli Urali inclusa), popolazione 26 milioni.

La Cina ? Un miliardo e quattrocento milioni. Ma se dividiamo in due il paese con una linea che va in diagonale da sudovest a nordest, abbiamo due metà dove un miliardo e trecento milioni sono da una parte, cento milioni dall’altra.

Eppure anche i cinesi si sono bevuti la bufala malthusiana: qualcuno li ha convinti che senza interventi drastici sarebbero diventati quattro o cinque miliardi. Da qui la politica del figlio unico. Ora è stata abbandonata, ma non abbastanza presto per evitare un rischio di crisi demografica che potrebbe dimezzare la popolazione entro la fine del secolo.

Chissà perché così tante persone si sentono sagge agitando spettri inesistenti. Forse, probabilmente, ha ragione chi attribuisce la loro attitudine a un sentimento elitista. Che brutta cosa strade e piazze piene di gente. E spesso caotica, spesso malvestita, poco istruita e magari volgare. Dovremmo essere di meno, giusto la classe superiore (sottointeso, quelli come me) e i servitori, perché un po’ ci vogliono, ma ordinati, disciplinati, ben vestiti, con una divisa (che scelgo io)…

Tranquilli, il mondo è pieno di problemi, come lo è sempre stato. Ma l’affollamento non è uno di quelli. I problemi sono altri e derivano da altre caratteristiche dell’animo umano: l’ambizione, l’avidità, l’egoismo, il desiderio di prevaricare.