mercoledì 28 luglio 2021

Le bolle di credito non sono MMT - anzi

 

Un paio di articoli, il primo di Alessandro Bonetti e Paolo Paesani e il secondo, in replica, di Antonangelo Viscione, sono interessanti in quanto mettono in luce alcuni comuni fraintendimenti relativi alla MMT.

Gli autori possono essere inquadrati nel filone keynesiano mainstream, e il loro orientamento è sicuramente progressista: come lo è quello degli economisti MMT. Ma, come ho messo in luce in altri post, i keynesiani mainstream hanno la tendenza a criticare la MMT per quello che in realtà non dice.

Nell’articolo di Viscione (autore che in generale apprezzo) si trova a un certo punto questo passaggio:

“Vi è chi sostiene che, soprattutto a causa dell’espansione del sistema bancario ombra e dell’utilizzo dei titoli di Stato tra i collaterali di strumenti finanziari come i derivati, anche la ricetta MMT possa diventare potenziale fonte di speculazione ed alimentare bolle del debito nel settore privato. In sintesi, proprio perché inesatta nel cogliere il ruolo della moneta e del credito privato nei sistemi capitalistici, la MMT rischia di trascurare anche gli effetti collaterali delle sue stesse politiche”.

Non è chiaro se Viscione condivida in pieno questo giudizio, ma avendolo riportato dà l’idea di attribuirgli un certo livello di significatività.

Bene: la “ricetta MMT” non ha niente a che vedere con l’espansione del sistema bancario ombra né con la collateralizzazione dei titoli di Stato. Il cardine della MMT è l’utilizzo del deficit di bilancio, realizzato in moneta statale (o finanziato da titoli di Stato pienamente garantiti dall’istituto di emissione della moneta stessa) per attuare politiche di pieno impiego delle risorse produttive (lavoro e aziende).

Come ho spiegato in particolare qui e qui, siamo agli antipodi rispetto a una “ricetta” di crescita del credito privato. È proprio il contrario: la crescita dell’economia richiede espansione dei mezzi di pagamento in circolazione, e se questa espansione non avviene immettendo moneta nell’economia via deficit pubblico, ALLORA è inevitabile fare ricorso ESCLUSIVO al credito privato (o ai surplus di bilancia commerciale, ma non tutti i paesi possono essere in surplus, ovviamente).

E questo ricorso esclusivo è un fattore di destabilizzazione, data la natura prociclica del credito privato (cresce nei periodi euforici e gonfia le bolle, cala nei periodi depressi ed aggrava le recessioni).

Se volete rendere instabile un sistema finanziario, in altri termini, NON seguire la “ricetta MMT” è un’”ottima” strada. Unitamente, certo, alla deregolamentazione e allo sviluppo di sistemi bancari ombra. Ma quando mai la MMT ho promosso la causa della deregolamentazione selvaggia, o della deregolamentazione tout court ?

Quanto poi alla “collateralizzazione dei titoli di Stato”, studiando e ragionando sulla MMT emerge con grandissima chiarezza che non c’è affatto bisogno di emettere titoli per attuare deficit di bilancio pubblico. Si può emettere direttamente moneta. Anzi, la MMT spiega che lo Stato SPENDE SEMPRE MONETA e poi (casomai, ma questa non è una prescrizione MMT) emette titoli per offrirli a chi si è trovato a detenere la moneta messa in circolazione.

Il deficit è quindi generato SENZA emettere titoli; e ovviamente se non si emettono titoli non c’è nulla da “collateralizzare”.

In sintesi, la critica di Viscione (nel senso che l’ha esposta lui, poi, ripeto, non so quanto la condivida) attribuisce alla MMT le conseguenze di politiche che nessun autore MMT ha mai raccomandato, e che non derivano dall’impostazione concettuale MMT. Anzi.

 

lunedì 26 luglio 2021

Non esiste trade-off tra democrazia e crescita

 

Ormai da diversi anni, ma ultimamente con maggiore frequenza, sento e leggo commenti di persone appartenenti all’establishment (in posizioni più o meno rilevanti) che ruotano intorno a concetti inquietanti.

“La democrazia ha dei limiti”.

“Coniugare democrazia e sviluppo economico diventa sempre più difficile”.

“Il successo della Cina, bisogna ammetterlo, mostra che un regime autoritario è vantaggioso in termini di efficienza economica”.

E varianti sul tema.

Beh, cerchiamo di chiarire una cosa. L’ascesa economica della Cina non ha niente a che vedere con l’assenza di democrazia.

Il regime cinese non è democratico, ma l’origine del suo successo economico sta altrove:

UNO, pur essendosi aperta, almeno parzialmente, al capitalismo e all’iniziativa privata, mantiene un forte controllo statale sulle politiche di sviluppo economico e industriale.

DUE, in particolare è dotata di un rilevantissimo sistema di grandi imprese e di banche a controllo pubblico, e non ha nessuna intenzione di ridurne il perimetro.

TRE, se nei primi anni del suo decollo economico è cresciuta in larga misura grazie all’export, ne sta diventando sempre meno dipendente e sta sempre più facendo leva sulla crescita del mercato interno.

QUATTRO, naturalmente dispone della propria moneta e non ha la minima intenzione di seguire nulla di anche solo vagamente rassomigliante alle deliranti ricette euroausteriche.

Il successo economico della Cina in effetti ricorda molto il miracolo economico italiano del dopoguerra (che neanche gli oil shocks avevano interrotto, contrariamente a quanto spesso si sente dire). È un modello di economia mista, che combina l’iniziativa privata con un rilevante ruolo dello Stato.

L’assenza di democrazia non è affatto un fattore di successo economico. Se nell’Eurozona e in particolare in Italia la democrazia verrà meno, non diventeremo la Cina. In costanza delle politiche economiche euroausteriche, rimarremo un esempio di insuccesso economico E IN PIU’ faremo passi indietro in merito alle libertà politiche, di espressione, di opinione. Senza nessun beneficio e senza nessuna contropartita.

venerdì 23 luglio 2021

L’inflazione che i mercati NON prevedono

 

Tutti i giorni si leggono articoli e commenti in merito alle terrificanti prospettive di inflazione incontrollata a cui il mondo starebbe andando incontro. Causa, le massicce azioni espansive, fiscali e monetarie, messe in atto per superare gli effetti economici del Covid.

Le banche centrali sono invece, a giudicare dalle dichiarazioni che rilasciano, molto più rilassate. Vedono un effetto transitorio, causato prevalentemente da tre ragioni.

La prima è la confusione che si è venuta a creare a seguito della rottura delle catene di fornitura prodotta nelle fasi più acute dell’emergenza Covid. Nel periodo in cui le restrizioni agli spostamenti delle merci (oltre che delle persone) erano più pesanti, si sono formati una serie di colli di bottiglia nell’approvvigionamento di materie prime e componenti. Quando la situazione torna gradualmente alla normalità, la domanda finale riparte ma i colli di bottiglia richiedono tempo per essere sbloccati. E lungo la catena, l’anello che impiega più tempo a tornare alla normalità finisce per rallentare tutti gli altri.

Poi ci sono effetti di riorientamento della domanda che creano difficoltà di approvvigionamento difficili da superare in tempi brevi. Caso emblematico, i wafer di silicio, materiali semiconduttori necessari a produrre i circuiti integrati. Durante il blocco Covid, è esplosa la domanda di sistemi di comunicazione, specialmente video, il che sul momento è stato compensato dalla drastica frenata produttiva di altri settori che utilizzano massicciamente i circuiti integrati: caso probabilmente più rilevante l’automotive.

La domanda in questi altri settori è adesso tornata grosso modo alla normalità, ma gli utilizzi nei sistemi di comunicazione rimangono invece molto elevati – quello è in larga misura un cambiamento permanente, tutti abbiamo imparato a videochiamare, e continueremo.

Risultato, i wafer al silicio sono oggi drammaticamente scarsi, bisogna costruire nuovi impianti anche per dipendere meno dall’Asia, gli USA stanno già partendo (mentre l’Europa come di consueto si contempla l’ombelico) ma i tempi sono stimabili in 3-4 anni.

Poi, c’è il cosiddetto baseline effect, che in realtà può essere definito un’illusione statistica. I prezzi di molti beni e servizi sono caduti nella fase acuta Covid, hanno recuperato poi, ma il semplice ritorno al trend precedente crea (transitoriamente) dati di inflazione anomali. Con un’inflazione al 2%, un livello 100 nel 2019 sarebbe diventato 102 nel 2020 e 104 nel 2021. Se nel 2020 siamo a un certo punto, per qualche mese, calati a 99, il ritorno al trend (cioè a 104) implica una variazione del 5% nei corrispondenti mesi del 2021: che è però, appunto, un’anomalia contabile.

Dovrebbe essere chiaro che sono tutti fenomeni transitori. Qualcuno si esaurisce in un anno scarso, qualcuno in un paio, ma nessuno implica una discontinuità permanente, men che meno l’innesco di inflazione a due cifre o di iperinflazione.

Ma i titoli di giornale e anche i report di certe banche d’affari che sparano a tutta pagina “mercati terrorizzati dal ritorno dell’inflazione !!!” che cosa indicano, allora ?

Essenzialmente, indicano che non solo i giornalisti ma anche parecchi analisti amano il sensazionalismo. Anzi alcuni analisti anche di più e il motivo si capisce: se prevedi qualcosa di sconvolgente e magari (per caso) ci pigli, diventi il nuovo Nouriel Roubini. Se sbagli, dopo poco non se lo ricorda più nessuno.

Se i mercati sono, o non sono, terrorizzati dall’inflazione non ce lo dicono i giornalisti e neanche i report degli analisti. Esiste una misura del tutto oggettiva che è la differenza tra il rendimento dei titoli di Stato a reddito fisso, e dei titoli indicizzati all’inflazione. Questa differenza è una previsione molto precisa dell’inflazione futura, formulata dalla media degli operatori di mercato (che ci scommettono sopra quantità di denaro MOLTO rilevanti).

Nel caso dei titoli di Stato USA (ovviamente in dollari), i treasuries a tasso fisso a 5, 10 e 30 anni oggi rendono rispettivamente 0,72%, 1,28% e 1,91%.

I rispettivi rendimenti per i TIPS (Treasury Inflation Protected Securities) sono invece -1,82%, -1,01% e -0,28%. Tutti tassi negativi: è prevista un’inflazione più alta dei tassi nominali, quindi tassi reali sotto zero.

La stima d’inflazione implicita in questi rendimenti è: 2,59% a 5 anni, 2,31% a 10 anni e 2,20% a 30 anni.

Queste stime sono medie di periodo. Se supponiamo che per i prossimi dodici mesi l’inflazione USA si mantenga ai livelli attuali – circa 5% - si scopre, utilizzando un po’ di matematica finanziaria, che il mercato sta prevedendo, per i VENTINOVE anni successivi, che i prezzi al consumo salgano in media… del 2% all’anno, centesimo più centesimo meno.

Intendiamoci, i mercati possono sbagliarsi e il futuro potrà magari raccontarci una storia completamente diversa. È successo tante volte.

Ma nel frattempo una cosa è chiara: “i mercati in panico per l’inflazione” esistono solo nella fantasia di qualche giornalista, di qualche analista alla ricerca di notorietà, e di qualche ex ministro delle finanze tedesco. Se c’è una cosa che NON sta mandando in panico i mercati OGGI, è l’inflazione.

 

mercoledì 21 luglio 2021

Anziani, tasso d’occupazione e il ritorno di Elsa Fornero

 

Elsa Fornero, la cui riforma pensionistica è stata uno dei provvedimenti di maggiore impatto (anche mediatico) del catastrofico governo Monti, è entrata a far parte di un comitato tecnico presieduto da Bruno Tabacci.

Il ruolo svolto da questo comitato non sarà (per fortuna, mi viene da dire) necessariamente di peso significativo. Tabacci è attualmente sottosegretario alla presidenza del consiglio con delega alla programmazione economica: la definizione suona di notevole impatto, ma nel passato il ruolo effettivo di questo sottosegretariato è risultato, di regola, ampiamente dimenticabile.

Interessante comunque una dichiarazione della sopra menzionata ex-ministra: un suo obiettivo è “aumentare l’occupazione tra la popolazione anziana, purché in buona salute”.

Per aumentare l'occupazione tra la popolazione anziana, l’unica via realmente efficace è aumentare l’occupazione tra la popolazione (punto). Se c’è più domanda nel sistema economico, crescono evidentemente le possibilità d’impiego, per gli anziani, per i giovani, per le persone di mezza età, per chiunque abbia voglia e necessità di lavorare (e che sia in buona salute, certo. In cattiva salute, diventa difficile).

Che Elsa Fornero sia in grado di aiutare a raggiungere questo obiettivo stride un filino, per la verità, con il ruolo da lei ricoperto in passato, nelle sue vesti di ministro di peso in un governo che tanto efficacemente si è prodigato per distruggere la domanda interna e quindi l’occupazione di giovani, meno giovani, quasi anziani ed anziani.

Al posto di anziani occupati, si sono quindi ottenuti un paio di centinaia di migliaia di (non troppo anziani) esodati. Persone intorno alla sessantina, difficili da ricollocare (soprattutto in un contesto di economia depressa), contemporaneamente privi di stipendio e di pensione.

Può essere che nel frattempo Elsa Fornero abbia modificato le sue idee e quindi sia sul punto di formulare validissime proposte per ottenere il risultato desiderato. Ma non ci scommetterei.

Diversamente, possiamo sempre sperare (e almeno su questo ci sono ragioni per essere ottimisti) che il comitato tecnico risulti come spesso capita un organismo inutile alle dipendenze di un sottosegretario altrettanto inutile.

lunedì 19 luglio 2021

Vaccini & contagi

 

Questo post lo scrivo in merito a un argomento di grande attualità sul quale NON ho competenze, quindi la finalità non è di far sapere come la penso io, ma di chiarire le idee a me stesso e di chiedere a chi ne avrà voglia di aiutarmi a comprendere l’argomento.

A me pare di aver capito quando segue:

UNO, i vaccinati contagiano più o meno quanto gli altri.

DUE, i vaccinati si contagiano più o meno quanto gli altri (altrimenti detto, il vaccino non previene il contagio né attivo né passivo). 

TRE, il vaccino riduce (anche se non elimina) gli effetti avversi del contagio: il vaccinato se si contagia ha più probabilità di essere asintomatico o paucisintomatico.

QUATTRO, il vaccinato quindi ha meno probabilità di contrarre il Covid in forma severa, di essere ricoverato in terapia intensiva e di morire.

CINQUE, l’obbligatorietà del vaccino – o comunque i provvedimenti che inducono fortemente a vaccinarsi, tipo la richiesta del green pass per accedere a ristoranti, stadi, cinema, per viaggiare eccetera – servono a ridurre la pressione sulle strutture sanitarie e sulle terapie intensive, nonché i casi mortali.

SEI, i provvedimenti che spingono a vaccinarsi hanno senso per le fasce di popolazione a rischio, in funzione dell’età e delle patologie pregresse. Riguardo all’età, hanno molto senso per gli over 70, abbastanza senso per i 50-70enni, poco senso per i 25-50enni, nessun senso per gli under 25.

IN CONCLUSIONE, il vaccino obbligatorio o provvedimenti che creano una forte pressione a vaccinarsi, come appunto il green pass, devono essere adottati per le persone sopra una certa età e/o fragili per patologie o condizioni pregresse. NON per i giovani in buona salute.

Cambierò idea se mi convincerò che UNO e DUE non sono veri, cioè se esistono prove solide che il vaccino riduca le probabilità di contagiare e di essere contagiati.

Graditi commenti e chiarimenti.

 

venerdì 16 luglio 2021

Draghi presidente del consiglio fino al 2028 ?

 

Lo scenario in cui Draghi rimane a capo del governo per l’intera legislatura che partirà con le elezioni politiche del 2023 mi appare il più plausibile. Non mi riempie di giubilo, ma non vedo di meglio (non tra le cose che rientrano nel novero delle possibilità; poi se volete possiamo discutere di scenari ideali, ma non ci porta lontano).

L’alternativa è che Draghi venga eletto presidente della repubblica a inizio 2022. Problema: chi va a Palazzo Chigi, nell’immediato e (soprattutto) dopo le elezioni politiche dell’anno dopo ?

Le politiche del 2023 con ogni probabilità le vincerà il centrodestra. Ma vi immaginate che spazi d’azione avrebbe un governo Salvini o un governo Meloni, sul terreno dell’economia ?

La cosa che serve di più, che è totalmente essenziale per l’Italia, è superare i vincoli dell’eurosistema in forma e in misura adeguata non solo a recuperare entro il 2022 tutta la caduta di PIL causata dal Covid (questo è plausibile, quantomeno se i lockdown non riprenderanno).

Serve anche, successivamente, che l’Italia cresca più velocemente della media dell’Eurozona, iniziando finalmente a recuperare i catastrofici danni prodotti dall’euroausterità.

Questo un presidente del consiglio centrodestro non riuscirà a ottenerlo. Politiche fiscali adeguatamente espansive si scontreranno contro il muro interno ed esterno dell’establishment, a meno che non le ponga in atto qualcuno a cui l’establishment non può dire di no. E ditemi voi chi possa essere questo qualcuno se non Draghi.

Mentre se mai le politiche le vincesse il centrosinistra (scenario improbabile ma chissà) possiamo dare per scontato: o che al governo ci resterebbe, comunque, Draghi; oppure (enormemente peggio) che ci andrebbe un lacchè di Bruxelles.

Chiarisco che non mi aspetto una revisione in senso espansivo del patto di stabilità e del fiscal compact. L’assenso tedesco a questo non arriverà mai. Mi aspetto, o quantomeno mi auguro, che l’Italia faccia quello che hanno fatto Francia e Spagna per tantissimi anni (e continuano). Non contestare le regole, e poi però non rispettarle, facendo leva sulle “flessibilità di interpretazione”.

A febbraio dicevo che un mese sarebbe bastato per comprendere se Draghi avrebbe attuato politiche sufficientemente espansive. Mi sono sbagliato, il giudizio è ancora sospeso. Però se non ho certezze, non sono (almeno per ora) neanche pessimista. Si capirà molto di più con la legge di bilancio 2022, a settembre-ottobre.

Non sono pessimista perché non vedo Draghi rovinarsi la reputazione di vincente comportandosi come un Letta o come un Gentiloni. E perché è atlantista almeno quanto europeista, e agli USA una UE ferocemente deflattiva e depressiva non va bene.

Non se la rovinerà, la reputazione, se rimane a capo dell’esecutivo. Da presidente della repubblica – posizione inevitabilmente più distaccata – ne sono molto meno sicuro.

Alternativa ? fare affidamento sul “tanto peggio, tanto meglio”. Puntare allo schianto della nave sull’iceberg, cioè all’introduzione di un’austerità feroce su ispirazione tedesca, che porti alla rottura del sistema. Il “problema” è che questo non succederà. Con un presidente del consiglio debole in Italia avremmo ulteriori guai – grossi - per la nostra economia, ma non sarebbero guai temporanei destinati a risolversi a rottura dell’euro consumata. L’austerismo tedesco non punta alla rottura – l’euro gli serve troppo, e in Germania lo sanno.

Ovviamente quello che ho delineato non è lo scenario migliore che si possa immaginare. Le azioni di Draghi non saranno mai inclusive e socialmente responsabili come vorrei. E non è una situazione ideale anche perché, ammesso che la mia previsione sia corretta e che Draghi duri al governo fino al 2028, a quel punto avrà ottant’anni suonati, ed immortale non è.

Comunque in sette anni succedono tante cose.

 

martedì 13 luglio 2021

Campioni d’Europa, non della UE


Naturalmente sono più che contento per la vittoria dell’Italia ai campionati europei di calcio. Ma come tanti altri, sono anche profondamente infastidito dai (numerosi) commenti di europeistoidi vari che hanno cercato di spacciare il risultato nella nostra nazionale come una “vittoria dell’Europa unita” se non come una “rivincita sulla Brexit”.

A costo di ripetere cose ovvie e banali (corredandole quantomeno di qualche dato) faccio notare che i campionati europei di calcio sono organizzati dalla UEFA (non dalla UE, naturalmente). La quale UEFA ha 55 federazioni nazionali affiliate, di cui 28 (contro 27) fanno capo a paesi non-UE.

Di questi 28 paesi non-UE, tra l’altro, alcuni sono prevalentemente asiatici per territorio (Russia), altri anche per popolazione (Turchia), un altro ancora (la Georgia) sta su una non ben definita linea di demarcazione tra Europa e Asia. Quattro, infine, sono interamente asiatici (Armenia, Azerbaigian, Kazakistan e Israele).

Se volessimo essere pignoli non dovremmo parlare di “campionati europei di calcio” ma di “campionati organizzati dalla UEFA con la partecipazione di tutti i paesi europei e di alcuni asiatici”. Ma sarebbe alquanto macchinoso e visto che i paesi europei ci sono tutti e sono ovviamente predominanti, vada pure per campionati europei.

Un dato in più: i paesi affiliati all’UEFA contano in totale quasi 900 milioni di abitanti; anche misurati in termini di popolazione, metà stanno in paesi UE, metà in paesi non-UE.

Morale ? l’Europa non è la UE, l’UEFA non è la UE, e i campionati europei di calcio li ha vinti l’Italia.

L’Italia, non l’Europa unita. Che non esiste.

venerdì 9 luglio 2021

Video su Moneta Fiscale e Conti di Risparmio

Un video di presentazione su Moneta Fiscale, Conti di Risparmio... e in generale su disfunzioni dell'eurosistema - e come risolverle.



lunedì 5 luglio 2021

Politiche fiscali italiane nel 2022

 

Sono un po’ meno pessimista rispetto ad alcuni commentatori (compresi un paio di quelli che io chiamo “keynesiani da salotto”, più comunemente definiti keynesiani ortodossi: gente che non mette in discussione l’euro, non sostiene neanche soluzioni senza rotture quali la Moneta Fiscale, e poi piange perché la UE non ha nessuna intenzione di modificare la – delirante – governance del sistema).

Sono un po’ meno pessimista non perché abbia cambiato idea sul Recovery Fund (il mio pensiero in merito è sempre questo).

Tuttavia è importante non vedere nero anche dove non ce n’è ragione.

Il Documento Economico Finanziario (DEF), nella sua ultima versione (aprile 2021) predisposta dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) prevede una contrazione del deficit pubblico dall’11,8% nel 2021 al 5,9% nel 2022.

La visione cupa è che questo implica una stretta fiscale, e non ha senso attuarla con l’economia ancora non pienamente ripresa dagli effetti Covid, per tacere del fatto che, “grazie” all’assurda, criminale euroausterità, la situazione era pessima già prima del Covid.

Va però ricordato, in primo luogo, che il DEF ha comunque incorporato un maggior deficit (e un maggior stimolo fiscale) rispetto allo scenario “tendenziale” pre-governo Draghi (che, ricordo, era: deficit / PIL 9,5% nel 2021 e 5,4% nel 2022).

Inoltre, e più importante, va chiarito se il calo di deficit 2022 vs 2021 – quasi sei punti – corrisponda effettivamente a un ritiro di stimoli fiscali.

La risposta è no, o quantomeno sicuramente non per intero e neanche in parte rilevante. Per spiegarlo, faccio riferimento a, anzi riporto con un minimo di editing, un paio di tweet di Lucio Martelli (un libertarian le cui idee politiche sono parecchio distanti dalle mie, ma persona intelligente e intellettualmente molto onesta).

La riduzione del deficit non è necessariamente ritiro di uno stimolo perché, in primo luogo, a parità di spesa pubblica si verifica un recupero di gettito fiscale in quanto vengono meno le chiusure e i provvedimenti restrittivi che hanno interessato molti settori di attività economica.

In secondo luogo, i sostegni erogati del 2020 e del 2021 in buona parte non si sono tradotti in spese sia per motivi precauzionali, sia – anche in questo caso – per via delle chiusure. E ha speso di meno anche chi se lo poteva permettere. Banalmente, se non posso muovermi non vado al ristorante, non faccio weekend fuori città, non sento l’esigenza di cambiare l’auto, spendo in definitiva meno soldi anche se sono uno dei fortunati che non ha subito danni dal Covid.

C’è quindi una domanda latente (pent-up demand) che con il ritorno alla normalità stimolerà spesa: viaggi, turismo, entertainment, beni di consumo durevoli, eccetera. Tutto questo implica maggiore attività economica e maggior gettito fiscale, ma non è riduzione di stimolo.

È sufficiente tutto questo ? certo che no. Serve fare di più, con qualcosa tipo il progetto CCF / Moneta Fiscale ? ovviamente sì. Anche e soprattutto perché non abbiamo bisogno “solo” di compensare i danni del Covid, dobbiamo recuperare l’effetto delle devastazioni prodotte dall’eurosistema durante (soprattutto) l’ultimo decennio.

Però facciamo anche attenzione all’eccesso di piagnisteo (magari proveniente da qualcuno che aveva scambiato il Recovery Fund per la svolta keynesiana-hamiltoniana della UE…).

 

giovedì 1 luglio 2021

Il “deficit” che rende l’economia stabile

 

Ve ne ho già parlato qui, ma provo a spiegarlo in termini più sintetici e (spero) ancora più chiari.

Via via che l’economia si sviluppa, la circolazione di mezzi di pagamento deve incrementarsi di pari passo.

In un paese, i mezzi di pagamento in circolazione possono incrementarsi, fondamentalmente, per il tramite di tre canali.

UNO - La spesa pubblica che eccede il prelievo fiscale (impropriamente denominato “deficit pubblico”: in realtà è creazione di risparmio finanziario privato).

DUE - Il credito erogato da banche (o da altri intermediari finanziari).

TRE - Il surplus commerciale estero (esportazioni eccedenti le importazioni).

La modalità TRE implica di indebitare altri paesi, ed è peraltro evidente che non tutti i paesi possono realizzare contemporaneamente surplus esteri.

La modalità DUE implica di fare affidamento solo su credito erogato da soggetti privati, che è debito per chi lo contrae. Espandere i mezzi di pagamento in circolazione facendo leva esclusivamente su questo canale significa creare bolle di credito ed è destabilizzante in quanto prociclico: il creditore privato presta nei momenti di ottimismo e chiede il rimborso in quelli di pessimismo – così facendo rischia di trasformare una debolezza economica transitoria in una depressione.

La modalità UNO, attuata con moneta sovrana, è fondamentale per dare stabilità al sistema. Il deficit pubblico mette in circolazione nell’economia potere d’acquisto senza indebitare nessuno.

A meno che…

A meno che lo Stato rinunci a emettere moneta (o debito pienamente garantito dal suo istituto di emissione) e attui “deficit pubblici” solo indebitandosi in moneta straniera.

Questo è quanto avviene con l’euro, ed è il motivo principale per cui l’euro non funziona.

Più importante ancora dell’altro (pur gravissimo) difetto: gli squilibri di competitività che non vengono corretti da un ammortizzatore quale i riallineamenti valutari (o qualcosa che ottenga effetti analoghi).