mercoledì 26 agosto 2020

Il livello massimo accettabile di debito pubblico


Olivier Blanchard, già capo economista del Fondo Monetario Internazionale, qualche settimana fa poneva (su twitter) la seguente domanda.

Tenuto conto che gli effetti economici del Coronavirus hanno prodotto un fortissimo incremento del rapporto debito pubblico / PIL in tutto il mondo, qual è il livello massimo accettabile ? in altri termini, quali dovrebbero essere le linee guida per una futura strategia di rientro dagli attuali livello di debito ?

Posta in questo modo, la domanda dà per scontato qualcosa che in realtà non lo è affatto. Implica infatti che il debito pubblico sia qualcosa di per se stesso potenzialmente negativo, e che un alto livello sia intrinsecamente più pericoloso di un basso livello.

Il Blanchard-pensiero implicito nella domanda in realtà prende le mosse da assunzioni che non reggono alla prova dei fatti.

In primo luogo, il debito a rischio d’insolvenza è quello espresso in moneta straniera. Se uno Stato emette debito ma emette anche la moneta in cui è impegnato a rimborsarlo, l’impegno di rimborso potrà sempre essere onorato.

In secondo luogo, uno Stato che emette la propria moneta (o anche un succedaneo quale i Certificati di Compensazione Fiscale) può attuare politiche di espansione della domanda, e finanziare il suo deficit, senza emettere debito. Il debito pubblico non ha una ragione d’essere. Al massimo può essere considerato un servizio di gestione del risparmio offerto ai propri cittadini.

Lo Stato deve prestare attenzione al livello del deficit pubblico (che, ripeto, non implica necessariamente l’emissione di debito). Ma il deficit non ha una soglia numerica definita, oltre il quale è “troppo alto”.

Il deficit deve essere quanto serve a mettere in circolazione potere d’acquisto e a sostenere la domanda di beni e servizi, fino al livello in cui si raggiunge la piena occupazione delle risorse produttive.

Una chiara indicazione che si è ecceduto è l’innesco di alti livelli d’inflazione. E’ quello il segnale che indica la necessità di contenere il deficit pubblico.

L’altra variabile da tenere sotto controllo sono i deficit negli scambi commerciali esteri. Deficit significativi e ricorrenti, se finanziati in moneta estera, sono un potenziale problema, e possono nascere da un eccesso di potere d’acquisto disponibile all’interno del paese.

Ma ancora una volta il deficit e il debito estero possono essere problematici non in quanto tali, bensì (principalmente) in quanto denominati in una moneta straniera.

Nell’ambito dell’Eurozona, il problema del debito pubblico esiste (e continuerà ad esistere) perché l’euro non è emesso da nessuno Stato, e quindi i debiti pubblici dei 19 membri dell’unione monetaria sono, per tutti, debiti in moneta straniera.

Questo è un guaio per gli stati per i quali l’euro è una moneta sopravvalutata rispetto ai fondamentali della propria economia. E non ci libereremo da questo problema finché esisterà l’euro.

A meno che i debiti pubblici degli stati membri non vengano incondizionatamente garantiti dalla BCE, oppure a meno che le politiche espansive necessarie ai singoli stati non possano essere effettuate tramite un efficace succedaneo della moneta nazionale (quali i già citati CCF).


lunedì 17 agosto 2020

Lo chiamano sovranismo ma è democrazia


L’ordinamento democratico di uno Stato presuppone che le istituzioni vengano selezionate e controllate da parte della collettività nazionale.

La selezione avviene mediante meccanismi elettorali, diretti o indiretti.

Se questi meccanismi di selezione e controllo non esistono o sono troppo deboli, le istituzioni risponderanno a interessi esterni rispetto allo Stato e alla collettività nazionale.

Non può esistere democrazia se non esiste selezione e controllo delle istituzioni, effettuato dalla popolazione che è il principale elemento costitutivo dello Stato, e se lo Stato, per il tramite delle istituzioni così selezionate e controllate, non può esercitare poteri sovrani.

Quello che oggi viene spesso chiamato “sovranismo” non è altro se non l’esercizio della democrazia.

Senza sovranismo, la democrazia viene declassata a un rituale svuotato di contenuti, e interessi estranei a quelli manifestati dalla maggioranza della popolazione diventano predominanti – spesso in forme inique, vessatorie e antisociali – nei confronti della popolazione medesima.

Non esiste democrazia senza sovranismo.


mercoledì 12 agosto 2020

Una delle tante cose che sfugge agli euristi


Una delle affermazioni tipiche dei pro-euro è che sì, magari l’eurosistema avrà “qualche” difetto, ma vuoi mettere i vantaggi, le gioie, le bellezze di avere a disposizione una moneta forte & solida & stabile ?

Le ragioni per cui questa è un’affermazione totalmente sballata sono molte, e in questo blog le trovate ampiamente documentate e commentate. Ma credo sia utile mettere in rilievo un’incongruenza logica, forse non evidentissima a priva vista, dell’affermazione sopra citata.

Agli euristi sfugge, tra le tante altre cose, che se ai tempi della lira l’Italia aveva la sua moneta, questo non impediva ai cittadini e alle aziende italiane (a partire dal momento - anni Ottanta - in cui i movimenti di capitale sono stati totalmente liberalizzati) di utilizzarne (anche) una diversa.

Entrando nell’euro, l’Italia non ha “acquisito una moneta più forte, più solida, più stabile” eccetera eccetera. Si è solo spossessata della capacità di emettere la sua.

Si è privata di una facoltà estremamente importante per gestire correttamente la propria economia, specialmente nei periodi di crisi e di difficoltà.

E se ne è spossessata in cambio di cosa ? in cambio di niente. Cittadini e aziende italiane hanno perso la facoltà di utilizzare la moneta nazionale e si sono trovati costretti a usare una moneta straniera. Cosa che avrebbero potuto fare comunque, se proprio lo desideravano.

Dare qualcosa in cambio di nulla e raccontare di aver ottenuto un grande successo: questo pare essere il modus operandi dell’eurista italiano.


lunedì 10 agosto 2020

La fiducia di Piller


Il simpatico Tobias Piller, corrispondente in Italia della Frankfurter Allgemeine Zeitung e ospite ricorrente di vari talk-show televisivi, non perde occasione di deliziarci con perle di saggezza e buoni consigli riguardo a quanto, cosa e come dovrebbe fare l’Italia.

Naturalmente è straconvinto che l’euro non abbia niente a che fare con i problemi dell’economia italiana e in merito a questa sua strampalata affermazione possiamo essere minimamente comprensivi, perché se la pensasse diversamente dovrebbe anche ammettere che l’euro ha molto a che fare con il successo dell’economia tedesca.

Una sua frase tipica, di solito pronunciata con la, diciamo così, “schiettezza” che contraddistingue molti (non tutti) i suoi connazionali, è che “in Germania non ci si fida per niente dell’Italia”.

Se è vero – e almeno in parte senz’altro lo è – ne deriva però una conseguenza che, temo, Piller non vorrà riconoscere, ma che non vedo come si possa confutare.

L’euro, si dice, “is here to stay”, è una costruzione sempiterna, è più indissolubile di un matrimonio cattolico (non ammette nemmeno una Sacra Rota che lo possa annullare).

Ma a voi che impressione fa un matrimonio in cui uno dei coniugi dichiara apertamente che non si fida per niente dell’altro (e sinceramente penso che sia anche vero il viceversa: tutta questa fiducia italiana nei confronti della Germania non la vedo, e del resto non mi sentirei, anzi non mi sento, di provarla io stesso) ?

Come vi sembra, dicevo ? un inferno ? una disgrazia ? un mare di guai ?

Effettivamente, entrare nell’eurosistema per l’Italia è stato tutte queste cose. E continua a esserlo.

mercoledì 5 agosto 2020

Ingenuità europeiste


Gli europeisti in buona fede sono ingenui come pochi altri. Un esempio tra i tanti è questo articolodove in pratica si accusano i governanti del Nord Europa di non capire il progetto politico sottostante all’Unione Europea.

Altrimenti detto, di non comprendere la gioie e le bellezze dell’integrazione politica, della condivisione delle politiche fiscali, del promuovere meccanismi di solidarietà eccetera eccetera.

Anche, beninteso, a costo di andare contro la volontà dei loro elettorati.

Ma una volta per tutte: dove sta scritto, nei trattati UE, che l’Unione Europea dev’essere un meccanismo di solidarietà e di condivisione ?

Dove è stato stabilito che si arriverà all’integrazione politica ?

La UE è un’insieme di trattati che promuovono un’area di libero scambio e (limitatamente all’eurozona) un’unione monetaria.

I trasferimenti finanziari (salvo le forme di intervento molto specifiche e limitate previste nel bilancio UE) e la condivisione dei debiti sono non solo non contemplate, ma esplicitamente escluse.

La volontà di modificare i trattati in modo cooperativo e solidale non esiste. La UE e gli organi di governo dell’Eurozona continuano a fare lo strettissimo minimo indispensabile perché l’intera struttura, in perenne precario equilibrio, non collassi.

Niente di più, perché il di più non sta negli accordi e non si desidera (da parte degli elettorati) introdurlo.

Sono miopi gli euronordici ? Sono avidi ? Sono insensibili ? può essere.

Ma l’errore degli europeisti-in-buona-fede è considerare la UE non quello che è, ma quello che loro vorrebbero diventasse.

Le probabilità di ottenere questa evoluzione “solidale” sono minime, ma che ci provino pure se credono.

Nel frattempo però è catastrofico per l’Italia fare appello a uno spirito cooperativo che sta solo nella fantasia di pochi illusi.

Il risultato (pessimo) della nostra trattativa sul Recovery Fund (una trattativa che non dovevamo neanche avviare) nasce da questa valutazione sballata.

L’assurdo è che l’Italia non ha bisogno della solidarietà di nessuno. Ha 60 miliardi di surplus commerciale, è creditrice netta sull’estero.

Ha solo bisogno di introdurre il suo strumento monetario: la Moneta Fiscale.