lunedì 26 dicembre 2022

Riconoscenza e reciproco interesse

 

Di tanto in tanto mi viene voglia di scrivere qualcosa su temi che non hanno un granché a vedere (ma forse un po’ sì ?) con la macroeconomia.

Dice un proverbio: “non fare mai del bene al prossimo se non pensi di poter sopportare il peso della sua ingratitudine”. Un pochino cinico forse, ma spesso e volentieri vero.

Il prossimo non è necessariamente riconoscente per quanto di buono hai fatto per lui in passato. O magari lo è a chiacchiere, ma non va oltre quelle.

A volte è addirittura irritato nei confronti del benefattore, perché fa fatica a riconoscere di dovere a qualcuno certe condizioni favorevoli da cui ha tratto profitto.

La maniera migliore per trarre beneficio dalla conoscenza di qualcuno a cui hai fatto del bene in passato, e da cui oggi hai bisogno di qualcosa, è forse la seguente.

Cerca di proporgli la cosa di cui hai bisogno proponendola in termini – e se appena possibile non solo a parole, ma nella sostanza – che diventi un progetto interessante anche per lui / lei.

Naturalmente questo è vero in generale. Allora, che vantaggio c’è nel parlarne a chi ti deve (ti dovrebbe) riconoscenza ?

Il vantaggio – non decisivo ma importante – è che quanto meno ti darà ascolto. Il che non sarebbe scontato se la tua proposta cercassi, tu, di formularla a qualcuno che non ti deve nulla (e magari neanche ti conosce, quindi c’è pure il problema di riuscire a parlargli).

Non è molto, ma è un punto di partenza. Che non garantisce il risultato, ma quantomeno crea una possibilità.

 

mercoledì 21 dicembre 2022

Anche quest’anno lo yen collassa l’anno prossimo

 

Ve li ricordate, i profeti di sventura che vaticinavano il crollo dello yen a causa dell’ostinazione nipponica a mantenere bassissimi i tassi d’interesse ?

Beh la Bank of Japan ha preso tutti di sorpresa annunciando la decisione di comprare i titoli decennali non più al rendimento massimo dello 0,25%, ma a un mirabolante 0,5%.

Invariati (a zero) invece i tassi sulle scadenze brevi e medie.

Il quarto di punto in più sui tassi decennali è stato sufficiente a produrre un rafforzamento del cambio di oltre il 3%. Un dollaro scambia attualmente a 132 yen (aveva raggiunto un picco di 152 l’ottobre scorso).

Una azione monetaria restrittiva di entità modestissima è bastata a ottenere questo risultato. Nel frattempo USA e soprattutto Eurozona continuano a lottare con un’inflazione (sia pure in discesa, almeno negli USA) molto più alta di quella nipponica (7%, 11% contro 3%) nonostante incrementi di tassi molto sostenuti e la minaccia di farne seguire altri, anzi “molti” altri (quantomeno nell’Eurozona).

Ne derivano due indicazioni molto chiare:

PRIMO, non c’è alcuna necessità, né tantomeno utilità, di alzare i tassi per contrastare efficacemente un’inflazione che nasce da problemi non di domanda ma di approvvigionamenti e materie prime.

SECONDO, le differenze di tassi impattano sul cambio ma (fatto salvo che l’indebolimento del cambio NON RETROAGISCE sull’inflazione interna, se non in misura del tutto marginale) contrastare questa tendenza è possibile con interventi assolutamente modesti, quindi non tali da influire sulla domanda interna né sulle prospettive di crescita dell’economia.

 

lunedì 19 dicembre 2022

La riforma del MES (ancora…)

 

Adesso che la Corte Costituzionale tedesca ha respinto i ricorsi presentati contro la riforma del MES, presumibilmente il Bundestag la approverà in tempi rapidi. La Germania sarà quindi il penultimo paese a ratificarla.

Dopodiché rimane solo l’Italia, e quindi stanno riprendendo fiato gli esponenti politici che ci sollecitano ad “adeguarci”.

Rimando a quanto ho scritto ormai tre anni fa per spiegare che questa riforma è un peggioramento di uno strumento già di per sé orribile. La riforma va bocciata, anche se è opportuna la precisazione che non ratificare non significa risolvere un problema ma solo evitare di peggiorarlo. Perché il MES comunque è in essere, ed è pessimo anche così com’è oggi.

Respingere la riforma, in altri termini, equivale a giocare in difesa. Per segnare i gol, bisogna far passare il vero strumento risolutivo: i CCF / Moneta Fiscale.

Aggiungo comunque due parole di commento all’affermazione, sentita varie volte allora e oggi, che l’Italia deve ratificare “perché il governo si è impegnato”.

Il governo DI ALLORA (c’era Conte) ha firmato il trattato, certo. Ma il trattato è operativo solo se il parlamento ratifica. E Conte ovviamente non poteva impegnarsi per conto del parlamento. Il massimo dell’impegno che poteva prendere era di PRESENTARLO alle camere per la ratifica. 

Certo, in condizioni normali un governo dovrebbe sapere che cosa il parlamento sarà disposto ad accettare: governa appunto perché ne ha ottenuto la fiducia, giusto ?

Ma in questo caso ci sono un paio di cose da ricordare.

La prima è che Conte si è mosso, ai tempi, in modo estremamente improprio: è andato avanti a negoziare (ancora durante il Conte I) nonostante la maggioranza di allora (M5S + Lega) gli avesse chiaramente espresso fortissime riserve.

La seconda è che da allora sono cambiati tre governi nonché la composizione del parlamento, a seguito delle elezioni politiche del settembre 2022.

E ratificare, o meno, ovviamente è una decisione che spetta al parlamento in carica, non a quelli passati.

Se l’Italia non ratifica questa riforma, cosa che mi auguro fortissimamente, non viene meno a nessunissimo impegno. Sostenere il contrario è una bestialità, in termini di diritto e in termini di fatto.

 

sabato 17 dicembre 2022

I “depositi congelati”, ovvero come perdere tempo su un problema inesistente

 

Ho già spiegato in vari post, il più recente dei quali è questo, quale sia lo sfondone logico e concettuale di chi insiste a dire che i soldi depositati sui conti correnti bancari sono risorse ferme, inattive, congelate. Quindi non mi ripeto e vi rimando a quella lettura.

Però sull’argomento ci ritorno, perché di fronte alle mie spiegazioni, qualcuno ribatte che “sì OK ho capito, i soldi sui conti si muovono da un detentore all’altro, il livello non ci dice proprio nulla in merito alla movimentazione. Però i soldi depositati in banca dai risparmiatori italiani sono una quantità molto più elevata, in proporzione al PIL, rispetto agli altri paesi. Questa è un’inefficienza, perché quella moneta va canalizzata verso l’economia produttiva”.

Questa argomentazione l’ho sentita senza che fosse fornito alcun dato a supporto. Per cui mi sono messo a cercarli io (i dati).

E ho trovato questi, elaborati da Trading Economics sulla base di informazioni raccolte dalla Banca Mondiale. Stranamente non è citato l’anno di riferimento ma c’è da supporre che siano i più recenti disponibili, probabilmente relativi al 2021.

La prima cosa che si nota è che livelli molto bassi del rapporto depositi bancari / PIL si riscontrano in alcune economie poco sviluppate, presumibilmente con un sistema bancario ancora, almeno in parte, embrionale.

La seconda cosa che vale la pena di mettere in evidenza è il confronto tra l’Italia e le altre principali economie. Mi limito qui ai principali paesi dell’Eurozona, più gli USA e il Giappone.

Italia                     103%

Germania             95%

Francia                 107%

Spagna                 120%

Paesi Bassi           104%

USA                     101%

Giappone             260%

Ma guarda un po’, l’Italia non è assolutamente disallineata. Stanno tutti intorno al 100%.

L’unico outlier è il Giappone, e la ragione è molto semplice. Il Giappone ha un debito pubblico elevatissimo (260% sul PIL, casualmente la stessa percentuale dei depositi) che però per il 100% circa è stato acquistato dalla banca centrale. Ciò equivale a dire che un ammontare di debito pubblico pari al PIL è stato finanziato tramite emissione monetaria. E questa moneta è finita nei depositi bancari della popolazione.

Giappone a parte, la situazione italiana,  confrontata con le altre grandi economie occidentali, è NORMALISSIMA. A quanto pare, depositi bancari pari all’incirca al PIL sono quanto serve a famiglie, imprese e amministrazioni pubbliche per gestire le proprie transazioni (non posso smobilizzare un titolo ogni volta che effettuo un pagamento. Devo avere soldi in banca prontamente utilizzabili).

Perché insisto su questo tema ? perché non ne posso più di sentire giornalisti, politici, ma anche economisti, discettare con aria pensosa sulla necessità di “mobilitare e mettere al lavoro il risparmio congelato degli italiani”, ventilando soluzioni più o meno fantasiose.

A giudicare dalla frequenza con cui l’argomento viene citato e discusso, sembrerebbe che occupi una frazione non irrilevante degli sforzi e del “pensiero economico” di vari parlamentari ed esponenti governativi, magari “illuminati” sul tema da professori universitari e alti burocrati assortiti.

Che questi signori perdano una quantità di tempo non risibile a baloccarsi con un “problema” completamente immaginario, a me preoccupa. Anche perché non ci ravviso secondi fini, ma la semplice incapacità di fare un passettino in più nel riflettere su un tema francamente banale.

Il che è anche peggio.

 

giovedì 15 dicembre 2022

Indipendenza delle banche centrali: perché non va

 

Il mio amico Paolo Canziani è tutt’altro che un euroausterico: anzi, come me, critica l’euro da prima che esistesse, da quando era ancora solo un progetto. Tuttavia è perplesso in merito alle conclusioni che si traggono dal mio recente post riguardante l’(inopportunità della) indipendenza delle banche centrali.

Se è vero, come è vero, che una banca centrale indipendente rende il governo dipendente da lei stessa, e se crediamo nella democrazia, la conclusione che se ne deriva è che la banca centrale debba essere DIPENDENTE dal governo. Perché altrimenti la banca centrale DIVENTA il governo. Un governo non eletto dalla popolazione.

E in effetti, se la banca centrale deve dipendere dal governo, tanto vale fare del tutto a meno della BC, e affidare le funzioni di emissione monetaria direttamente al Ministero dell’Economia. Ne avevo parlato tempo addietro.

Su questo punto, Paolo esprime il timore che si ritorni alla situazione di certi periodi dell’impero romano, quando alcuni imperatori “tosavano” le monete d’oro pretendendo che mantenessero lo stesso valore.

In merito a questa obiezione, ci sono varie risposte.

La prima, è che se devo scegliere tra due rischi, preferisco una (presunta) tendenza inflattiva di governi che devono conquistarsi il mandato passando dalle consultazioni elettorali, rispetto alla tendenza deflattiva e predatoria di un establishment finanziario che non deve rendere conto alla popolazione.

La seconda, è che in regime di fiat money il mondo lo è dal 1971. Siamo sprofondati nell’iperinflazione ? no, eccessi d’inflazione in effetti li abbiamo visti solo negli anni 70-80, e poi oggi: ma in connessione a problemi di approvvigionamento e forniture di materie prime (il petrolio allora, il gas oggi), non di comportamenti irresponsabili dei governi (quantomeno nelle economie avanzate).

La terza, è che il paese meno inflattivo, in particolare oggi, è stato ed è proprio quello in cui la banca centrale è più dipendente dal governo, che tiene i tassi a zero, che compra enormi quantità di titoli di Stato emettendo moneta: il Giappone.

La quarta, è che l’establishment finanziario è enormemente potente e influente. Proprio per questo richiede un contrappeso. E l’unico possibile è un assetto politico-istituzionale che renda l’emissione monetaria dipendente dal governo. Questo non eliminerà l’influenza della grande finanza, ma creerà  necessarissimi argini e calmieri.

Il problema, nel mondo odierno, non è una grande finanza troppo debole, ma TROPPO FORTE, nei confronti della politica. Dare in mano a quel sistema anche l’emissione monetaria è la strada per cancellare la democrazia. Il che sarebbe inaccettabile anche se fosse premiante in termini di efficienza economica – e la storia di questi ultimi decenni mostra che non lo è.

 

lunedì 12 dicembre 2022

Banca centrale, indipendenza e dipendenze

 

Ogni volta che mi confronto in pubblico sul tema dell’indipendenza delle banche centrali dal governo, qualche interlocutore commenta che è un’assoluta necessità, perché “prova a immaginarti [nome di un politico che riesce antipatico al commentatore] dare istruzioni al governatore: sarebbe la ricetta sicura per il disastro”.

Un’argomentazione rispettabile come qualsiasi altra, che però trascura un dato di fatto.

Il potere di emettere e gestire la moneta è così importante, così vitale per la conduzione dell’economia, che se la banca centrale è indipendente dal governo, il governo diventa FORTEMENTE DIPENDENTE dalla banca centrale.

Questo dovrebbe essere perfettamente chiaro soprattutto a noi italiani, che abbiamo constatato come la lettera Trichet – Draghi inviata al governo Berlusconi nell’agosto 2011 abbia pesantemente condizionato la politica economica italiana negli anni successivi.

Magari non avete mai votato per Berlusconi e magari lo detestate. Ma vi rendete conto che una banca centrale che dà ordini a un governo è la negazione della democrazia ?

E questo l’abbiamo visto, appunto, verificarsi nel contesto dell’eurozona, dove il progetto moneta unica ha portato l’indipendenza della banca centrale alla sua più completa attuazione.

Poi magari non siete estimatori della democrazia rappresentativa parlamentare, e gli preferite, appunto, il governo dei banchieri centrali.

Però allora ditelo chiaramente.

E poi domandatevi anche quali risultati l’applicazione di questo principio, la banca centrale che comanda sul governo, abbia prodotto. A me, e mi permetto di dire a qualsiasi osservatore in buona fede, pare che gli effetti siano stati pessimi, per non dire catastrofici.

La domanda “volete una banca centrale indipendente dal governo ?” la trovo mal posta, anzi fuorviante.

La domanda corretta è: cosa preferite, la banca centrale dipendente dal governo, o il governo dipendente dalla banca centrale ?

sabato 10 dicembre 2022

Surplus, deficit e arricchimento del paese

 

Alcuni mesi fa, in questo post spiegavo perché – come dice il titolo stesso – “i surplus di bilancio pubblico non arricchiscono il paese”. E alcuni lettori hanno commentato che di sicuro non stavo parlando dell’Italia, che surplus nei conti pubblici non ne ha mai registrati (e per trovare un bilancio in pareggio bisogna risalire all’Ottocento: stavo per dire al secolo scorso, ma è quello prima ancora).

Vero. In Italia un bilancio in surplus non s’è mai visto. Però è anche vero che si ragiona come se fosse un dato di fatto che i surplus arricchiscono, e di conseguenza che i deficit impoveriscono.

E allora tutta la politica economica del paese è condizionata dal principio che il deficit sia un male; forse necessario, ma comunque un male. Bisognerebbe che non ci fosse, e non riuscendoci bisogna sentirsi in colpa se aumenta, e fare invece di tutto per contenerlo, per diminuirlo. Partendo dal presupposto implicito che diminuendo il deficit quantomeno ci si impoverisce di meno.

Tutto sbagliato.

Il deficit pubblico è uno strumento con il quale lo Stato, immettendo soldi nell’economia in eccesso rispetto alla tassazione, permette ai mezzi di pagamento in circolazione di espandersi. E un’economia in crescita HA NECESSITA’ di questa espansione. Razionando la moneta, nessun paese diventa ricco.

Naturalmente l’espansione dei mezzi di pagamento non può e non deve essere infinita. Ci sono limiti, ma non corrispondono a un livello numerico predeterminato. Non è il 3% di Maastricht. Tantomeno è lo zero a cui punta (senza che sia mai stato raggiunto, in realtà) l’articolo 81 della Costituzione così come riformato nel 2012.

Il livello corretto è quello che garantisce la massima occupazione delle risorse produttive – lavoro e aziende – compatibilmente con moderati e stabili livelli di inflazione, e tenendo anche d’occhio i saldi commerciali esteri (per evitare l’accumulo di passività nette in moneta straniera).

E va ricordato che un’inflazione troppo alta si può contrastare anche con manovre fiscali espansive, quali la riduzione di tasse e oneri accessori su beni di consumo, specialmente se di prima necessità e specialmente se a domanda rigida (sbagliatissimo l’aumento di 12 centesimi applicato da questo mese alle accise sui carburanti).

Ma non è razionando artificialmente la moneta che un paese si arricchisce. Se no l’ideale per promuovere la crescita economica sarebbe eliminare i mezzi di pagamento e tornare a un’economia di autoproduzione, autoconsumo e baratto…

mercoledì 7 dicembre 2022

Il pensiero unico BCE porta fuori strada

 

Spesso si afferma che un problema della governance BCE è l’assenza di un mandato duale stile Federal Reserve. L’obbiettivo di stabilità monetaria, al contrario che negli USA, non è per la BCE sullo stesso piano rispetto alla massimizzazione dell’occupazione: è, al contrario, nettamente predominante.

Però adottare un mandato stile Fed (parlo in linea teorica perché comunque non c’è assolutamente il consenso politico necessario per un passaggio del genere) sarebbe comunque insufficiente.

Il problema della BCE sta nella sua visione della macroeconomia e delle condizioni necessarie per il raggiungimento della stabilità monetaria.

In buona sostanza – ne parlavo qualche post fa – la BCE è convinta che la leva di tassi, moneta e credito sia tutto quanto serve sia per abbassare l’inflazione che per alzarla.

Altre leve a disposizione, in effetti, non ne ha. Ma il risultato è essersi imbarcati in anni di quantitative easing, tra il 2014 e il 2019, stampando moneta senza che i vincoli fiscali venissero ammorbiditi. Con il risultato che l’inflazione è rimasta troppo bassa e l’economia dell’eurozona ha perso terreno rispetto agli altri grandi blocchi economici mondiali – USA e Cina in primo luogo.

Oggi, la BCE sta alzando i tassi e stringendo il credito per contrastare un’inflazione che non nasce da un eccesso di domanda ma da problemi dal lato di energia e approvvigionamenti. Con il rischio molto fondato di produrre una recessione devastante e/o di non risolvere il problema inflazione.

Il tema è concettuale. Una corretta politica macroeconomica può nascere solo dal coordinamento tra politiche fiscali e politiche monetarie. Ma le politiche fiscali sono condizionate da vincoli privi di senso, e le politiche monetarie da sole sono insufficienti ad affrontare molte situazioni in cui i target di inflazione risultano sforati, in alto o in basso.

La visione UE / BCE delle leve d’intervento macroeconomiche e della loro efficacia è tutta sbagliata. Non è un problema (solo) di mandati e di trattati. Sono sbagliate le idee di fondo dei decisori politici (dove i decisori politici includono anche, e forse soprattutto, i banchieri centrali europei).

Ma non si vedono cambiamenti all’orizzonte.

domenica 4 dicembre 2022

L’assurdità dei vincoli di bilancio UE

 

L’impalcatura della governance macroeconomica UE, e in particolare dell’eurozona, è fondata su un insieme di assurdità concettuali che ne rendono impossibile il funzionamento.

Per svariati anni, sono stati attuati deficit di bilancio troppo bassi, il che equivale a dire che gli Stati non hanno immesso sufficiente potere d’acquisto nell’economia, nonostante l’inflazione fosse decisamente inferiore agli obiettivi BCE – che infatti se ne lamentava in continuazione e cercava di aumentarla, senza alcun successo, con massicci interventi di quantitative easing.

Oggi c’è invece un eccesso d’inflazione, causato dalla rottura delle catene di approvvigionamento causata dai lockdown durante il periodo del Covid, e dal conflitto ucraino. C'è la possibilità di attuare interventi fiscali espansivi in chiave antiinflazionistica: possibilità che però si scontra con i sempiterni, insensati vincoli di bilancio.

Così ad esempio in Italia ci troviamo, da inizio dicembre, 12 centesimi di maggiori accise e quindi di incremento del prezzo dei carburanti, che vanificano il calo del petrolio verificatosi nelle ultime settimane. Esattamente il contrario di quanto sarebbe stato utile per mitigare la dinamica dei prezzi al consumo.

Occorre una classe politica che sappia rapportarsi alla UE e alla BCE con competenza e autorevolezza e spiegare che solo una corretta interazione tra politica fiscale e politica monetaria può creare condizioni di crescita economica, piena occupazione e stabilità monetaria. E che l’austerità in condizioni di inflazione troppo bassa è un non senso. E che l’espansione fiscale può essere utilizzata anche per contrastare l’inflazione quando invece è sopra i target.

Ma dove sono, nel governo e nel parlamento, le competenze e le autorevolezze di cui sto parlando ? o non esistono o sono state lasciate sullo sfondo del dibattito, anzi non ne sono proprio state coinvolte.

 

venerdì 2 dicembre 2022

Che cosa penso di questo governo

 

Mi chiedono che cosa penso del comportamento, fin qui, del governo Meloni, in particolare riguardo all’economia.

Beh penso, in sintesi, che manchi di coraggio. Esponenti di rilievo della maggioranza parlamentare, a partire da Andrea de Bertoldi, sono perfettamente al corrente del potenziale della moneta fiscale, in funzione non solo del rilancio di domanda, redditi, investimenti e occupazione, ma anche della mitigazione dei fenomeni inflattivi.

Però nulla di tutto questo traspare dai provvedimenti presi e dalle dichiarazioni dei ministri. La gestione del Superbonus e dei problemi creati da Draghi con i suoi ennemila cambiamenti normativi rimane un mistero. Le recenti affermazioni di Giorgetti (“dobbiamo evitare di dire che questi crediti fiscali devono circolare liberamente… anzi non dobbiamo proprio dirlo… è meglio per tutti… per lo Stato italiano in particolare”) suonano MOLTO strane in bocca al ministro di un paese indipendente e sovrano.

Riesce così difficile spiegare alla UE e ai mercati finanziari che la moneta fiscale risolve le disfunzioni dell’eurosistema senza romperlo ? oppure il problema è quello che sospettano in molti, che ridare autonomia agli stati è intollerabile per Bruxelles e per i potentati che le stanno alle spalle ? e che questi potentati sono impossibili da sfidare ?

Così però le cose continueranno a non funzionare. Per l’Italia ma anche per la UE. Dando quindi ragione a quanto scriveva Wolfgang Munchau pochi giorni fa: “i peggiori nemici della UE sono i suoi più grandi sostenitori. La difendano qualsiasi cosa faccia”.

Se è così, e molti lo pensano da parecchio tempo, con la UE non si può ragionare, perché ogni proposta di modifica degli assetti e delle linee di conduzione della politica economica (e non) viene considerata una critica inaccettabile.

Queste sono le mie considerazioni al momento. Poi, può essere che il governo Meloni abbia scelto una linea guardinga nelle prime fasi, e che si muoverà con più determinazione poi.

Può essere. Ma per ora, qui siamo.