martedì 9 marzo 2021

Inflazione, USA e geopolitica

 

Da un paio di settimane stanno riaffiorando preoccupazioni sull’inflazione, della quale non si parlava da parecchi anni. Inflazione che nei dati, al momento e per la verità, non si vede proprio.

Certo, nell’Eurozona si è passati dal segno negativo al segno positivo (per pochi decimali), ma è probabile a che si tratti dell’effetto di fenomeni transitori. La rimozione degli sconti IVA (introdotti qualche mese fa, ma dichiaratamente come strumento a termine) in Germania. E alcune strozzature nelle catene di approvvigionamento di materie prime e prodotti intermedi, inevitabili visti gli stop & go di questi ultimi dodici mesi.

Ma gli stimoli fiscali eurozonici sono di gran lunga troppo modesti per preoccuparsi seriamente dell’innesco generalizzato di inflazione elevata e persistente.

Gli USA, naturalmente, sono tutto un altro discorso. Dopo aver generato un deficit pubblico pari al 16% del PIL nel 2020, hanno appena messo in cantiere un'altra manovra da 1.900 miliardi.

Secondo alcuni commentatori, gli USA sono sostanzialmente passati a un regime MMT. Se ne può discutere, ma di certo Biden e Powell sono stati molto chiari su alcune cose: in primo luogo, nessuna preoccupazione in merito all’inflazione prima che raggiunga, su un arco temporale non breve, livelli ben superiori al 2%. Parliamo del 4%, del 5%, per un periodo significativamente più lungo di un paio d’anni.

Quanto ai tassi d’interesse, su cui qualche operatore finanziario leva oggi alti lai (i titoli di Stato decennali USA all’1,5%, 1,6%: capirai…) la verità (e anche questo lo comprende benissimo chi conosce la MMT) è che gli USA se lo ritengono opportuno possono controllare e anche azzerare (in stile giapponese) l’intera curva dei rendimenti.

Fin qui, considerazioni di macroeconomia e di mercati finanziari. Ma invito a riflettere sui retroscena politici.

Gli USA non hanno nessuna intenzione di restare indifferenti rispetto alla prospettiva di perdere la posizione di prima potenza economica mondiale, a vantaggio della Cina.

Hanno bisogno di crescita, tanta. Di recuperare tutto l’impatto della pandemia e di ritornare velocemente al trend preCovid. Non più tardi di fine 2021. E poi di continuare a marciare a passo spedito.

Per l’Italia questo cambia qualcosa ?

Potrebbe. Perché il mercantilismo tedesco e la fobia nei confronti dell’inflazione, imposti all’intera Eurozona, in queste condizioni faranno fatica a reggere.

Perché agli USA un’Eurozona che fa freeriding e spinge ancora più in alto il surplus commerciale, erodendo (dal punto di vista degli USA stessi) una parte dell’azione espansiva, non va bene.

Ma il tema è ancora più profondo.

Per non lasciare la leadership mondiale alla Cina, gli USA devono non solo crescere ma anche ridefinire, o forse più propriamente riaffermare, la loro posizione di leader del blocco occidentale. Blocco esteso all’anglosfera (Regno Unito, Canada, Sudafrica, Australia, Nuova Zelanda) ma anche a tutta l’Europa continentale. Forse anche ad alcuni paesi asiatici e latino-americani.

L'establishment USA tende sempre di più a ragionare come segue: se alla Germania tutto questo non va bene, se quante Audi vendono in Cina è più importante di qualsiasi altra cosa, è libera di isolarsi e di diventare una grande Svizzera. Ma non di trascinarsi tutta l’Unione Europea.

Il blocco occidentale definito come sopra supera il miliardo di persone. Se viene a mancare un centinaio di milioni, o poco più, di tedeschi & satelliti, la sostanza non cambia.

Cambia, invece, essere in grado di fronteggiare la crescita cinese. E se l’Occidente vuole riuscirci, deve ragionare in termini di blocco economico e geopolitico, con un forte orientamento allo sviluppo.

In questo quadro, la UE deflazionista e mercantilista è solo un (grosso) fastidio.

 

Nessun commento:

Posta un commento