Nell’ultimo post ho chiarito che le recenti modifiche alle regole contabili di Eurostat non impediscono affatto l’emissione di Moneta Fiscale e non minano la sua efficacia. Eurostat ha solo affermato che i crediti fiscali utilizzabili in compensazione, se possono circolare liberamente, devono essere computati nel deficit pubblico dell’anno di emissione, non dell’anno di utilizzo.
Cambia quindi il profilo temporale del deficit, ma non l’impatto totale sul deficit. E non cambiano minimamente (neanche sotto il profilo temporale) né il fabbisogno finanziario dello Stato (non serve trovare fondi sul mercato per emettere crediti fiscali) né il debito pubblico di Maastricht (quello rilevante ai sensi dei trattati).
Ciò premesso, la modifica introdotta da Eurostat è a dir poco discutibile, e un’ulteriore argomentazione che mette in luce la sua incoerenza l’ha fornita Massimo Costa.
Per ragioni (a quanto ne so) mai ben chiarite, durante gli anni Settanta del secolo (anzi del millennio…) scorso, scarseggiavano le monete metalliche, e quindi erano spesso utilizzati succedanei per gestire le piccole transazioni. I miniassegni, le caramelle date come resto. E i gettoni telefonici.
Il gettone costava 200 lire, e veniva scambiato per quel valore. Ci pagavi il caffè oppure lo ricevevi in cambio delle mille lire quando effettuavi un acquisto che costava 800.
Il valore di 200 lire non veniva messo in discussione perché quello era il prezzo a cui la Telecom (allora ancora SIP) lo vendeva.
Se il gettone non avesse potuto circolare liberamente, è chiaro che pressoché tutti i gettoni sarebbero stati usati per telefonare (ai tempi c’erano le cabine telefoniche, e non i cellulari né tantomeno gli smartphone…). Chiaramente qualcuno sarebbe stato perso, qualcun altro dimenticato in qualche tasca di vestiti dismessi. Ma la grande maggioranza sarebbe stata usata nelle cabine telefoniche.
Poiché invece circolavano, tantissimi gettoni NON venivano, al contrario, usati per le telefonate: continuavano a passare di mano in mano.
Ecco: Eurostat pretende di considerare il credito fiscale a libera circolazione parte del deficit pubblico già all’atto dell’emissione perché afferma che la libera circolazione implica che prima o poi qualcuno (non necessariamente l’assegnatario originale, ma qualcuno a cui è stato ceduto successivamente) lo userà per ridurre i pagamenti di tributi.
È vero proprio il contrario: più il credito circola, e più è probabile che parte rilevante dei crediti emessi non vengano usati per compensare tributi, e in ogni caso è assolutamente incerto il momento futuro in cui avverrà la compensazione.
Così come
cinquant’anni fa, o poco meno, i gettoni circolavano, e finché circolavano non
venivano usati per telefonare…
Luca Pieroni: Negli anni 70 come nel 92 per fortuna non c'erano organismi europei che inventavano regole di convenienza per esercitare poteri sennò non ne saremmo usciti...
RispondiEliminaSottoscrivo al mille per cento.
EliminaGiovanni Piva: Marco provo a fare l'avvocato del diavolo: potrebbe capitare una situazione nella quale i crediti fiscali girano veramente pochissimo, e dopo 5 anni dalla loro nascita vengono usati tutti, con la conseguenza che sono minori le entrate in euro nell'anno 0 (anno di nascita dei crediti fiscali), e nei 5 anni successivi (entrate in euro da indotto), rispetto all'importo dei crediti usati in compensazione delle tasse , nei 5 anni successivi all'anno 0? Se ciò potesse accadere (anche se io nn lo vedo come uno scenario probabile), significa che lo stato avrebbe dopo 5 anni un minor gettito fiscale, e a parità di PIL, avrebbe maggiori difficoltà a finanziarsi sui mercati, sempre che mamma BCE ovviamente non voglia garantire il debito. Ripeto, è uno scenario nel quale io nn credo ...ho solo fatto l'avvocato del diavolo...
RispondiEliminaMa allora con maggiore probabilità può succedere che tutti i crediti vengano utilizzati anche se non sono cedibili. Del resto chi compie operazioni per essere assegnatario di crediti non cedibili lo fa perché ritiene di avere capienza.
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