Visualizzazione post con etichetta Politica fiscale. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Politica fiscale. Mostra tutti i post

giovedì 28 marzo 2024

Il principio insensato della politica economica

 

Praticamente in tutto il mondo occidentale, la politica economica degli Stati, o più esattamente la politica fiscale, è incentrata, a parole anche se (per fortuna) non del tutto a fatti, su un principio basilare.

Basilare e completamente sbagliato.

Il principio è che il debito pubblico sia un fattore d’impoverimento del paese. Un onere che vincolerà lo sviluppo dell’economia e incomberà sulle generazioni future.

Bene: il debito pubblico non è niente di tutto questo.

Il debito pubblico è uno strumento messo a disposizione di aziende e cittadini per impiegare il loro risparmio.

E il deficit pubblico produce risparmio finanziario nel settore privato dell’economia. Se lo Stato spende più di quanto tassa, il settore privato riceve più di quanto paga.

Il deficit pubblico può essere eccessivo se genera livelli di inflazione troppo alti. Ma tipicamente deve esistere, perché un’economia in sviluppo ha bisogno di una crescita tendenziale e graduale dei mezzi di pagamento in circolazione.

E come crescono i mezzi di pagamento, devono crescere anche gli strumenti di impiego del risparmio: funzione, come detto, svolta del debito pubblico.

Invece politici e media paludati nel 99% dei casi parlano, e purtroppo troppo spesso agiscono, come se il deficit e il debito fossero un male da estirpare, o quantomeno da limitare, contingentare, ridurre. Da limitare perché non si riesce ad azzerarli: ma l’ideale sarebbe raderli al suolo.

L’Occidente è in preda a un’isteria collettiva che stiamo pagando a carissimo prezzo.

domenica 6 novembre 2022

Inflazione e politiche per contrastarla

 

Nel dibattito tra sostenitori e oppositori della MMT, un tema rilevante è l’efficacia della politica fiscale per ridurre l’inflazione quando diventa troppo elevata.

Contrariamente alla versione caricaturale che qualcuno si ostina a far circolare, la MMT non ha mai affermato che i deficit fiscali possano crescere all’infinito. Sostiene invece che il limite c’è, ma non è un determinato livello numerico. È la disponibilità di risorse produttive (impianti e manodopera) inoperose, o comunque sottoutilizzate.

Se, tramite il deficit pubblico, mettiamo in circolazione capacità di spesa eccessiva rispetto alla capacità produttiva del sistema economico, non generiamo più produzione e più occupazione, ma solo eccessiva inflazione.

Ne segue che la maniera efficace per ridurre la domanda nel sistema economico, secondo la MMT, è ridurre i deficit quando c’è inflazione: ma in funzione appunto di quella, NON del fatto che il deficit sia del 3%, del 6%, del 10% o di qualsiasi soglia numerica prestabilita.

En passant, quanto sopra mostra come siano immotivate per non dire pretestuose le affermazioni di chi sostiene che "per la MMT lo spazio fiscale è infinito" o che "la MMT spinge sempre ad aumentare i deficit".

Tornando all'utilizzo della politica fiscale per ridurre l'inflazione, un’obiezione tipica degli MMT-critici è che questo può essere vero in teoria. In pratica però pacchetti di restrizione fiscale (tagli di spesa e aumenti di tasse) motivati da eccesso d’inflazione sono politicamente indigesti e quindi non vengono attuati.

Noi che in Italia abbiamo vissuto l’esperienza del 2011-3 la sappiamo purtroppo più lunga. Imporre austerità è risultato fin troppo facile. E il momento tra l’altro era COMPLETAMENTE sbagliato, perché non c’era, allora, nessun problema d’inflazione. C’era invece un problema di rifinanziamento del debito: derivante però SOLO dalla costruzione sbagliata dell’eurozona, che impedisce alla BCE di garantire incondizionatamente i debiti pubblici. E infatti solo il whatever it takes di Draghi, non certo l’austerità, ha tamponato questo problema.

Al di là dell’austerità eurozonica, però, sulla posizione degli MMT-critici si impone una riflessione. I tassi d’interesse redistribuiscono potere d’acquisto tra debitore e creditore. Se salgono, paga di più l’azienda indebitata, il debitore per il credito al consumo, chi deve rimborsare un mutuo, lo Stato per gli interessi sul debito pubblico. Ma percepisce di più il titolare del credito: la banca, il possessore di titoli di Stato, la società finanziaria.

Se il potere d’acquisto totale in circolazione non muta, non è quindi scontato che si crei un effetto di riduzione della domanda, e quindi indirettamente dei prezzi.

In realtà chi sostiene la restrizione monetaria fa affidamento anche su altri effetti, tipo la perdita di valore delle attività finanziarie (es. azioni), che però è di dubbio impatto, e la tendenza del sistema bancario a contrarre il credito quando i tassi salgono.

Vale la pena comunque di sottolineare che l’impatto restrittivo della politica monetaria non è così certo come viene presentato. E che, d’altra parte, la politica fiscale può esercitare un impatto anticiclico tramite stabilizzatori automatici che agiscono senza bisogno di approvazioni parlamentari e governative: la cassa integrazione, i sussidi di disoccupazione, l’imposta progressiva sul reddito e (se venissero adottati come propone la MMT) i programmi di lavoro garantito.

Tutto quanto sopra si applica a un contesto di inflazione da eccesso di domanda, a parità di offerta – cioè a pari capacità di produrre reddito da parte del sistema economico.

Ovviamente oggi stiamo vivendo un problema di inflazione che ha cause differenti. I problemi di approvvigionamento connessi alla ripresa post Covid e alle difficoltà di ripristinare le catene di fornitura prima; l’esplosione dei prezzi dell’energia causati dalla crisi ucraina poi.

E ho spiegato già da tempo che in questo caso la restrizione monetaria rischia di fare gravissimi danni senza risolvere nulla. La via è invece una politica fiscale espansiva non rivolta al sostegno della domanda ma all’abbattimento di imposte indirette e oneri accessori sui beni di prima necessità, unitamente a ragionevoli interventi di razionamento, in particolare sui consumi di gas.

 

mercoledì 10 agosto 2022

Il vulnus democratico, ma anche tecnico, della BCE

 

L’eurosistema confligge gravemente con la democrazia perché impedisce agli Stati di gestire autonomamente l’emissione della moneta, strumento essenziale per attuare la propria politica economica.

Un pretesto (forse il principale) con cui si è introdotto l’euro, dal punto di vista tecnico, è stata la presunta necessità di imporre agli Stati un sistema di gestione dell’emissione monetaria. Questo, allo scopo di evitare fenomeni di inflazione incontrollata, o comunque eccessiva.

Successivamente, si sono in effetti avuti parecchi anni – dopo la crisi finanziaria mondiale del 2008 e fino al termine dei “Covid lockdowns” – in cui il problema che la BCE cercava di risolvere era, al contrario, l’inflazione troppo bassa, non troppo alta.

In realtà gli avvenimenti dell’ultimo decennio stanno dimostrando che la BCE, o in generale la banca centrale, non è in grado di assicurare il mantenimento dell’inflazione in linea con gli obiettivi (livelli bassi ma stabili, non superiori ma vicini al 2%) prefissati.

Quando l’inflazione è troppo bassa, emettere moneta senza destinarla all’economia reale, tramite maggiore spesa pubblica e minori tasse, non aumenta l’inflazione.

Quando l’inflazione è troppo alta a seguito di problemi dal lato delle forniture e degli approvvigionamenti (come oggi) aumentare i tassi non risolve il problema, a meno che l’incremento sia di portata tale da produrre una recessione spaventosa – dai costi sociali inaccettabili.

In effetti, la politica fiscale è molto più efficace della politica monetaria non solo per gestire le oscillazioni di domanda e occupazione, ma anche l’inflazione. Servono politiche fiscali espansive se la domanda è carente. Politiche fiscali restrittive se è troppo euforica. Politiche fiscali ancora espansive, ma rivolte soprattutto alla riduzione delle imposte indirette, se c’è eccesso di inflazione dovuto non a eccesso di domanda ma a problemi dal lato degli approvvigionamenti.

Tutto questo è possibile riportando l’emissione della moneta sotto il controllo degli Stati. SE (cosa non indispensabile) si decide di emettere titoli di debito pubblico, la banca centrale deve limitarsi a garantirne il rifinanziamento.

Questa garanzia è estremamente facile da fornire (anche se la BCE non lo fa, e torniamo al vulnus democratico). Sul resto, le possibilità d’intervento della banca centrale sono invece limitate e scarsamente (molto scarsamente) efficaci.

In aggiunta a quanto sopra, i governi possono vincolarsi ad attuare politiche fiscali che tendano anche a stabilizzare a livelli costanti e moderati l’inflazione, oltre che a massimizzare l’occupazione. Appunto perché la politica fiscale è molto più efficace della politica monetaria anche riguardo al controllo dell’inflazione, e la gestione della politica fiscale è responsabilità dello Stato.

La politica monetaria, intesa come controllo dei tassi d’interesse e del credito, ha un ruolo da svolgere, in coordinamento con le politiche fiscali. Ma un ruolo subordinato.

La politica economica deve tornare pienamente in mano agli Stati. Per rispettare un principio di democrazia, ma anche per renderla molto, ma molto più efficace di quanto sia oggi.

 

mercoledì 3 novembre 2021

Alcuni temi su cui non ho (ancora) idee del tutto chiare

 

UNO - La politica monetaria è realmente necessaria ?

Nello specifico: è possibile

lasciare i tassi di riferimento della banca centrale a zero

non emettere debito pubblico (quindi finanziare il deficit pubblico con emissione diretta di moneta)

gestire le oscillazione del ciclo economico esclusivamente con la politica fiscale (aumentando o diminuendo il deficit pubblico in funzione delle circostanze) ?

Tutto ciò fermo restando che quando i tassi arrivano a zero la politica monetaria perde di trazione ed è quindi inevitabile, comunque, fare affidamento sulla politica fiscale: come dimostrato dalla scarsissima efficacia del Quantitative Easing nel rilanciare inflazione e occupazione.

NB L’obiezione di Milton Friedman (pratica, non teorica) è che la politica monetaria è di più rapida ed efficiente attuazione (le banche centrali si muovono più velocemente di governi e parlamenti). Ma è un’obiezione superabile predisponendo gli strumenti adeguati: tra cui il rafforzamento degli stabilizzatori automatici, ad esempio (anzi forse principalmente) con i programmi di lavoro garantito proposti dalla MMT.

 

DUE - Se si lasciano i tassi perennemente a zero, quali sono le conseguenze sui valori delle attività finanziarie, in particolare sui valori di borsa ?

NB2 Se è vero che il premio per il rischio dell’investimento azionario è un valore costante rispetto all’inflazione, i tassi d’interesse sono ininfluenti sui valori di borsa: ma è realmente così ? l’esperienza storica sembra suggerire altro. Anche oggi quell'ipotesi implica che la borsa USA è parecchio sopravvalutata, del 40% abbondante, ma se l’alternativa è investire in reddito fisso a tassi reali, se non addirittura nominali, nulli o negativi, che si fa ? non si è praticamente costretti ad esporsi sul mercato azionario, anche a valori (secondo quell'ipotesi) sopravvalutati ?

 

giovedì 24 giugno 2021

Politica monetaria e politica fiscale

 

Più ci rifletto, più una cosa mi appare evidente in merito alla demarcazione (non in linea teorica ma in linea pratica, operativa) tra politica monetaria e politica fiscale.

Da un lato, questa demarcazione è priva di senso; dall’altro, è potenzialmente (e gravemente) nociva.

Mi spiego.

La politica monetaria è sostanzialmente il controllo del credito privato (inclusa la vigilanza sul sistema bancario e finanziario) e dei tassi d’interesse.

La politica fiscale è la determinazione della spesa pubblica e della tassazione.

La politica monetaria è affidata alle banche centrali, che agiscono con livelli di autonomia e di indipendenza più o meno ampi dai rispettivi governi, e hanno sempre tra gli obiettivi principali (spesso in modo nettamente prioritario rispetto a tutti gli altri) il controllo dell’inflazione.

La politica fiscale è invece di competenza dei governi, che se però rinunciano a essere emittenti di moneta possono mettere in atto deficit di bilancio solo indebitandosi.

Quest’ultima limitazione è di scarso o nullo rilievo pratico se la banca centrale si impegna, formalmente e/o sostanzialmente, a garantire il debito pubblico. Ma non è sempre così, e in particolare non lo è per gli Stati membri dell’Eurozona.

Ora, mi pare evidente che distinguere e separare i due soggetti e i ruoli che svolgono porti a situazioni disfunzionali. E di conseguenza, che la politica MACROECONOMICA debba essere condotta con un approccio unitario.

La leva del credito e dei tassi d’interesse, in particolare, è efficace quando l’economia è vicina al pieno impiego (se rischia di surriscaldarsi, è utile alzare i tassi e calmierare il credito), ma perde pressoché totalmente di trazione se la domanda è fortemente depressa e i tassi d’interesse sono già scesi nell’intorno dello zero.

La leva fiscale, da parte sua, ha una fortissima efficacia nello stimolare produzione ed occupazione, ma solo (e la ragione è evidente) fino a quando si è sostanzialmente raggiunto il pieno impiego delle risorse produttive (manodopera e impianti). Oltre quel livello, l’espansione fiscale si scarica sui prezzi e non sulle quantità prodotte.

Da un lato, quindi, è insensato pensare che la politica monetaria abbia sempre efficacia nel controllare l’inflazione. Aiuta molto a contenerla quando è troppo alta, ma pochissimo ad accrescerla quando è troppo bassa.

Dall’altro lato, la politica fiscale non è in grado di agire come necessario se il finanziamento dei deficit pubblici è in dubbio: ovvero, se occorre fare affidamento sui mercati senza una garanzia piena e incondizionata dell’istituto di emissione.

Gli obiettivi della politica macroeconomica sono la piena occupazione e la stabilità monetaria. Esistono vari strumenti per raggiungerli. Ma vanno assolutamente visti in chiave unitaria e l’autorità pubblica deve essere in grado di utilizzarli tutti. Separare politica monetaria e politica fiscale non sul piano concettuale ma sul piano attuativo, affidandone una a un soggetto totalmente indipendente da chi gestisce l’altra, è un errore.

Se le separiamo, rischiamo di trovarci con una banca centrale che vorrebbe alzare l’inflazione ma non ne ha i mezzi; e con governi che vorrebbero stimolare produzione e occupazione ma non hanno un istituto di emissione che garantisca i livelli di deficit pubblico necessari – NONOSTANTE non ci siano rischi di portare l’inflazione a livelli troppo alti (anzi, al contrario).

Quanto espresso in quest’ultimo paragrafo non è teoria: è avvenuto in buona parte dell’Eurozona dal 2012 al 2020. Ci siamo trovati in condizioni di pesante depressione. NELLO STESSO TEMPO, l’inflazione era a livelli troppo bassi.

L’assetto disfunzionale dell’Eurozona è in larga misura dovuto all’aver consentito ai mercati finanziari di costituire un fattore condizionante. Ai mercati è stata attribuita una funzione di “controllo”: ma non sono assolutamente controllori affidabili. Spesso, infatti, agiscono in modo speculativo e irrazionale. Nel medio-lungo periodo poi si correggono, ma la loro “schizofrenia di breve termine”, il loro comportamento maniaco-depressivo, rischia nel frattempo di creare guai enormi, spingendo all’attuazione di politiche antitetiche rispetto a quelle necessarie.

L’abbiamo constatato, in Italia, nel 2011-2013, con effetti assolutamente catastrofici. E la situazione di allora può benissimo ripetersi: per evitarla occorre rivedere in profondità le regole di funzionamento dell’Eurosistema, cosa per la quale non esiste nessun consenso.

I tedeschi (vedi anche la recente intervista sul Financial Times al probabile futuro cancelliere, Armin Laschet) non si staccano minimamente dal concetto che vada “evitata una situazione in cui un paese è responsabile per i debiti di un altro”.

Il progetto Moneta Fiscale / CCF risolve questo stallo appunto perché la Moneta Fiscale non incorpora un rischio di default (non è un debito che richieda pagamenti in cash) e quindi non incrementa il rischio che un paese debba pagare per i debiti altrui.

Il principio è molto semplice. La domanda riceve il livello di espansione necessario via emissione di Moneta Fiscale, mentre il debito da rimborsare cala gradualmente (in proporzione al PIL).

È un progetto che risolve totalmente sia le disfunzioni del sistema, sia la depressione economica di vari paesi (e dell’Italia in particolare), sia le preoccupazioni di Laschet.

Se Draghi ha di meglio, bene. Se no, è inaccettabile che non introduca la Moneta Fiscale.