venerdì 19 aprile 2019

Progetto Moneta Fiscale: risposte ad alcuni dubbi ricorrenti


D1. Attuando il Progetto Moneta Fiscale, è sicuro che non si verificherà alcun incremento di debito pubblico rispetto all’ipotesi di proseguire secondo le attuali linee di politica economica ?

R1. Qualsiasi previsione è attendibile o meno in funzione delle ipotesi che vengono adottate. Non esistono ovviamente sfere di cristallo: i punti chiave sono l’attendibilità delle ipotesi e le manovre compensative che il Progetto prevede di adottare se l’evoluzione dell’economia fosse meno favorevole del previsto.

Le ipotesi adottate nel valutare gli impatti del Progetto sono assolutamente ragionevoli. L’ultimo Documento di Economia e Finanza (DEF aprile 2019) prevede che a fine 2022 il debito pubblico raggiunga il livello di 2.490 miliardi di euro.

Il Progetto Moneta Fiscale arriva (in un arco di tempo più lungo) allo stesso livello massimo, ipotizzando che l’immissione di CCF nell’economia produca un effetto espansivo sul PIL stimato sulla base di un moltiplicatore di 1x, e che i conseguenti maggiori tassi di crescita facciano recuperare, nel giro di alcuni anni, agli investimenti privati la metà della caduta registrata tra il 2007 (picco pre-crisi) e il 2018.

Sono ipotesi tendenzialmente conservative, tenuto conto che il sistema economico riparte da livelli di domanda aggregata fortemente depressi. In ogni caso, scostamenti negativi rispetto alle previsioni sono ampiamente gestibili grazie alle clausole di salvaguardia non procicliche e all’alto rapporto di copertura a termine degli sconti fiscali.



D2. Non rischiamo squilibri di saldi commerciali esteri ?


R2. A parità di condizioni, un incremento di domanda interna produrrebbe una crescita di importazioni e quindi un peggioramento dei saldi commerciali esteri. Ma il Progetto Moneta Fiscale prevede che una parte delle assegnazioni di CCF vadano alle aziende, riducendo quindi il loro costo effettivo del lavoro.

Il Progetto dispone in un certo senso di due “manopole”, una che regola la domanda e una che interviene sulla competitività (l’allocazione alle aziende come sopra descritta, appunto). E’ quindi possibile attuarlo in modo tale che il maggior import dovuto alla ripresa della domanda sia compensato da maggiori esportazioni nonché da sostituzioni di prodotti importati con produzioni realizzate in Italia.

L’obiettivo è massimizzare l’efficacia del Progetto, evitando che una parte dell’effetto espansivo si disperda a causa di impatti negativi sui saldi commerciali esteri. Si punta a un impatto neutrale: nessun miglioramento e nessun peggioramento del saldo export – import.



D3. Come è possibile essere certi che la reazione dei mercati non sarà negativa ?

R3. Nessuno può avere certezze in merito al comportamento dei mercati, soprattutto a brevissimo termine. Detto questo, l’incertezza esiste, pesantemente, OGGI, perché l’Italia è indebitata in un moneta che non emette, non esiste una garanzia incondizionata dell’istituto di emissione (la BCE) in merito al debito pubblico (“Maastricht Debt”), l’ipotesi di rottura del sistema non può essere esclusa e in caso di rottura l’Italia sarebbe costretta al default o alla ridenominazione del suo debito pubblico in una moneta più debole (rispetto all’euro).

Questa situazione è all’origine del “problema spread”. Una garanzia incondizionata della BCE lo eliminerebbe, ma questa garanzia non esiste e le probabilità che venga accettata, in seguito a una revisione dei trattati UE, è infinitesimale per non dire nulla.

Nel contesto sopra descritto, il Progetto Moneta Fiscale ottiene quanto di meglio possibile anche dal punto di vista dei detentori di titoli del debito pubblico italiano. Ad esempio, si annuncia che il Maastricht Debt non supererà un livello massimo prestabilito – che potrebbero essere i 2.490 miliardi previsti per fine 2022 (previsione DEF 2019) - e scenderà costantemente in rapporto al PIL.

Gli strumenti disponibili nell’ambito del Progetto Moneta Fiscale consentono di rispettare in modo rigoroso questo obiettivo. Oggi, al contrario, obiettivi simili sono costantemente disattesi, perché i tentativi di ridurre il deficit comprimono la domanda e quindi il denominatore del rapporto Maastricht Debt / PIL.

Tutto ciò dà ai titolari del debito pubblico garanzie molto più solide rispetto alla situazione odierna.


D4. Non c’è il rischio che il governo italiano emetta quantitativi di CCF eccessivamente alti, per acquisire consenso politico o per qualsiasi altra ragione ?

R4. Va innanzitutto precisato che la presunta “indisciplina fiscale” dell’Italia è un mito. L’Italia è l’unico paese UE che dal 2000 in poi ha ottenuto surplus primari di bilancio pubblico IN OGNI ANNO salvo che nel peggiore, quello immediatamente successivo alla “crisi Lehman” (il 2009: vedi qui a pagina 5).

Ciò premesso, un eccesso di emissioni di CCF ridurrebbe il loro valore rispetto a quello dell’euro in quanto si verificherebbe un effetto di “intasamento”: circolerebbe una quantità di CCF molto elevata rispetto a quanto utilizzabile, anno per anno, per ottenere sconti fiscali. Ma le emissioni previste dal Progetto Moneta Fiscale sono molto lontane dai livelli che potrebbero dar luogo a questo problema.

In ogni caso, la responsabilità e i danni resterebbero confinati all’Italia. I CCF si “svilirebbero” rispetto all’euro, ma questo non avrebbe ripercussioni negative sulla moneta comune e sui partner dell’Eurozona.



D5. Tramite il Progetto Moneta Fiscale, esiste la possibilità di ridurre il debito pubblico anche in valore assoluto ?

R5. Via via che l’utilizzo dei CCF prende piede, è possibile ipotizzare che il Ministero dell’Economia emetta ulteriori titoli a utilizzo fiscale (ad esempio, CCF a medio-lunga scadenza) per rifinanziare i normali titoli di Stato via via che scadono. Anche queste ulteriori emissioni non rientrerebbero nel Maastricht Debt.

Esiste quindi una non marginale probabilità di poter non solo stabilizzare il Maastricht Debt (e di abbassarlo in rapporto al PIL), ma anche di ridurlo in valore assoluto, rendendo l’Italia sempre meno soggetta alle fluttuazioni e alle tensioni speculative del mercato dei capitali.


D6. Il Progetto Moneta Fiscale sarà un trampolino verso l’uscita dell’Italia dall’euro ? 

R6. Il Progetto Moneta Fiscale è nato per risolvere le disfunzioni dell’eurosistema, non per romperlo. Gli autori del Progetto sono fortemente critici riguardo all’eurosistema così come oggi è impostato. Ma il Progetto è nato per correggere quanto attualmente non funziona, non per portare la situazione verso la rottura.

A prescindere da qualsiasi valutazione di natura politica, la rottura dell’euro sarebbe un evento traumatico ed estremamente complesso da attuare. Basta riflettere, per rendersene conto, sulle turbolenze dei mercati finanziari che si verificherebbero prima, durante e dopo l’evento, e alla complessità della ridenominazione contrattuale e legale dei contratti stipulati in euro.

Le difficoltà politiche e pratiche resterebbero molto rilevanti, in effetti pressoché invariate, anche se i CCF fossero già in circolazione.

Per questa ragione, il Progetto Moneta Fiscale è stato concepito, fin dalla sua nascita, come una strada per rendere funzionale un sistema che oggi non lo è: non per romperlo.

6 commenti:

  1. Le chiedo un parere su queste affermazioni ...secondo Lei son corrette ?? (si riferisce ad una discussione ove son dubbioso )

    ""..Qualcos’altro ci hanno lasciato in dote: Berlusconi soffocò l’economia passando dalla lira all’euro in modo troppo repentino (il doppio prezzo lira-euro andava mantenuto per molti più anni) colpendo in tal modo i lavoratori a paga fissa. Il centrosinistra da parte sua si è votato al neoliberismo sin dal 1981 e con Ciampi e Andreatta (col divorzio Bankitalia/Tesoro) ha indebitato il paese verso le banche italiane, mentre Monti, Draghi, Prodi, Amato, D’Alema e sempre Ciampi ci hanno incatenato nella moneta unica col rapporto di ingresso troppo forte (marco-lira 990) creando debito estero; un cambio che fu drogato da repentini scambi monetari ad hoc realizzati dalle banche europee e italiane (vendettero marco per comprare lira)…"


    "...Il rapporto 990 fu drogato dalla finanza internazionale. Trovo ridicolo che si chiami in causa il 1936,27 che è solo una conseguenza. Significa non capire niente di economia e fraintendere .."

    "...Il cambio fu drogato tra Marco e Lira e questo ci è costato il 20/25% di competitività…."

    Il 1936,27 fu una conseguenza ed è un fatto.


    domanda : cosa c'è di valido e cosa no in queste affermazioni secondo la sua opinione ?

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    1. Se il passaggio dalla lira all'euro "fu troppo repentino" non può essere imputato a Berlusconi, visto che furono i governi dell'Ulivo a concordare le date e anche il cambio. Quanto ai doppi prezzi, non so francamente se tenerli per un periodo più lungo avrebbe fatto qualche differenza. Il fenomeno di conversione 1 euro contro 1.000 lire fu notato subito, con i doppi prezzi in essere, e peraltro riguardò vari categorie di beni di basso valore unitario, ma complessivamente - almeno stando ai dati ufficiali Istat - non causò una crescita significativa dei prezzi al consumo medi. Sembrerebbe essersi trattato di un fenomeno che ha colpito la psicologia del pubblico parecchio al di là della sua portata effettiva.


      Quanto al cambio di ingresso nell'euro, averlo un po' più favorevole sarebbe stato d'aiuto, ma non credo proprio che ci fosse una sopravvalutazione del 20-25%. I problemi dell'euro vanno ben al di là di quello e sono l'aver eliminato un meccanismo di aggiustamento delle differenze di competitività che si sono create DOPO, e, ancora più importante, essersi enormemente limitate le possibilità di condurre politiche economiche anticicliche.

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  2. Si fa un gra parlare di Iva e clausole di salvaguardia, tuttavia l'aumento dell'IVA se accompagnato da un equivalente abbassamento delle imposte alle imprese (flat tax) potrebbe avere l'effetto di una svalutazione competitiva?
    I prodotti importati sarebbero piu costosi per effetto della maggior iva, ma quelli nazionali potrebbero recuperare l'incremento del prezzo dalla riduzione delle imposte

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    1. Sì, sostanzialmente avrebbe quell'effetto (anche se io trovo corretto chiamarlo riallineamento valutario e non svalutazione competitiva, per le ragioni illustrate nel post del 23.11.2017). Ricordiamo però che l'Italia ha bisogno di una forte iniezione di domanda interna: il riallineamento valutario (o un suo equivalente) è importante per evitare che gli effetti della manovra espansiva si disperdano (parzialmente) per effetto del peggioramento dei saldi commerciali esteri, ma da solo non basta.

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