domenica 29 ottobre 2023

Speranze per la Palestina

 

Quello che è avvenuto e sta avvenendo a Israele e a Gaza è orribile. Ma chissà che non sia l’evento che innescherà la soluzione dei problemi che affliggono quei luoghi e quelle popolazioni da tre quarti di secolo.

Certo, gli errori e i crimini commessi da tutte le parti in gioco sono tanti. I paesi arabi che si sono rifiutati di riconoscere Israele. L’orrendo trattamento della popolazione palestinese da parte dello stato ebraico. L’ipocrisia dei vicini musulmani. Gli iraniani che soffiano sul fuoco. La soluzione a due stati che non è stata sufficientemente appoggiata dagli USA.

Però forse la situazione è a un punto di svolta. Dell’attacco di terra a Gaza, le uniche cose certe sono che farà danni enormi e che non risolverà nessun problema. Anzi radicalizzerà ulteriormente le posizioni.

La soluzione a due Stati – ma due Stati veri, realmente autonomi, realmente indipendenti – è possibile ? certo che sì. Hamas ha per statuto la distruzione d’Israele ? ha il sostegno della maggioranza dei palestinesi ? ma l’ha solo a causa delle vessazioni a cui è sottoposta la popolazione. Se finiscono quelle, finisce anche la ragione dell’esistenza di Hamas.

Quando ero un ragazzo il conflitto anglo-irlandese pareva irrisolvibile. E’ stato risolto. Prima ancora, pareva che i francesi non se ne sarebbero mai potuti andare dall’Algeria. Se ne sono andati.

Sono cambiamenti che spesso richiedono, per essere attuati, uno statista riconosciuto come leader indiscusso e indiscutibile dalla parte più intransigente. Per il ritiro dall’Algeria, c’è voluto De Gaulle. Forse la soluzione al conflitto israelo-palestinese stava per arrivare nel 2006, a opera del superfalco Ariel Sharon – superfalco ma anche cavallo pazzo che vinse la guerra del Kippur disobbedendo agli ordini. Un ictus ha spento quella speranza.

Tutto cambia nella vita e nella storia. E’ caduto il muro di Berlino, cosa che un solo anno prima ben pochi credevano possibile. E’ finito l’apartheid in Sudafrica. Una serie di problemi si sono risolti – e ovviamente qualcun altro se ne è creato.

Succederà anche in Palestina. Non so quando, spero a breve. Ma succederà.

venerdì 27 ottobre 2023

Chi comprerà il debito USA ?? Terrore !!

 

Leggo di tanto in tanto commenti più o meno terrorizzati in meno alle difficoltà che un determinato paese (non necessariamente l’Italia) potrebbe incontrare nel finanziare il suo deficit pubblico e nel rifinanziare le quote in scadenza del suo debito pubblico.

Per esempio, prendiamo gli USA. IL PIL si aggira intorno a 27.000 miliardi di dollari. Il deficit previsto dal Fondo Monetario Internazionale per il 2024 supera il 7% del PIL, quindi circa 2.000 miliardi. Il debito pubblico lordo a fine 2023 è il 123% del PIL, che corrisponde grosso modo a 33.000 miliardi. Non ho dati precisi sottomano ma se non sbaglio la scadenza residua media del debito è sette anni: se nel 2024 ne scadesse esattamente un settimo si parlerebbe di rifinanziare 4.700 miliardi. Ma le scadenze brevi sono un po’ più “affollate” delle scadenze lunghe: da cui, con ogni probabilità si superano i 5.000.

Quindi 2.000 + 5.000 = 7.000 miliardi di fabbisogno finanziario. Panico ! Paura ! da dove arriveranno tutti questi soldi ?

Partendo dal presupposto che in questo momento il debito non lo sta comprando la Federal Reserve, ed è ben difficile che cambi posizione avviando un nuovo programma di Quantitative Easing, si potrebbe presumere che si stia per andare incontro a qualcosa di molto brutto…

…salvo ragionare su un paio di dettagli.

I 2.000 miliardi di deficit pubblico sono soldi che gli USA spendono in eccesso rispetto alle tasse che incassano. Quindi sono 2.000 miliardi che vengono IMMESSI nell’economia.

I 5.000 miliardi di rifinanziamenti corrispondono a 5.000 miliardi di rimborsi che il Tesoro USA effettua a fronte di titoli in scadenza.

Per cui è vero che nel 2024 il settore pubblico USA ha 7.000 miliardi di esigenze finanziarie. Ma è anche vero che a fronte di ciò, finiscono in tasca agli investitori, statunitensi a non, esattamente… 7.000 miliardi.

A questo punto forse concorderete che farsi prendere dal panico di fronte alla domanda “da dove arriveranno tutti questi soldi” è una reazione, come dire… un filino esagerata.

mercoledì 25 ottobre 2023

L’Italia NON è un paese indebitato

 

Una delle affermazioni più irritanti che mi capita di leggere, purtroppo praticamente tutti i giorni, è quella secondo la quale l’Italia sarebbe un paese “fortemente indebitato”.

Penso che la stragrande maggioranza della popolazione italiana la ritenga un’ovvietà, un dato di fatto risaputo. Naturalmente, l’affermazione si basa sul livello del debito pubblico, che in rapporto al PIL si colloca intorno al 140%.

Un dato più alto della media, certo. Per la verità nettamente più basso del Giappone, che sta al 260%. Non molto più alto di USA, UK, Francia, tutti ben al di sopra del 100%. Però alto rispetto, per esempio, alla media dell’Eurozona, che è il 90% circa.

Il punto però è che il debito pubblico non è il debito DEL PAESE. E’ il debito DEL SETTORE PUBBLICO, delle pubbliche amministrazioni.

Buona parte di questo debito è costituito da titoli posseduti da istituzioni finanziarie, da aziende e da famiglie ITALIANE. E i residenti italiani, inoltre, possiedono un rilevante ammontare di attività finanziarie e patrimoniali estere.

Per stabilire se l’Italia è un paese creditore netto o debitore netto, il dato a cui riferirsi è la cosiddetta Net International Investment Position. La differenza tra le attività finanziarie e patrimoniali estere possedute da residenti italiani; e le attività finanziarie e patrimoniali italiane possedute da residenti esteri. Le prime sono ATTIVITA’ DEL PAESE; le seconde sono PASSIVITA’ DEL PAESE.

Bene, Bankitalia ci fa sapere che al 30.6.2023 il primo dei sopramenzionati fattori era pari a 3.481 miliardi di euro; il secondo, a 3.375 miliardi; e la differenza (la NIIP) era quindi POSITIVA per 106 miliardi.

L’Italia è un paese CREDITORE NETTO SULL’ESTERO.

Il debito pubblico è una forma di detenzione del risparmio offerta dal governo italiano alla collettività. Forma che i residenti italiani utilizzano più di altri. Ma che non creerebbe NESSUN problema, se non si fosse presa l’assurda e scellerata decisione di convertirlo in una moneta che l’Italia non emette e non gestisce – l’euro.

Se il debito pubblico fosse rimasto in lire, in moneta emessa dal settore pubblico italiano, non sarebbe mai esistito alcun problema di rifinanziamento. Il debito pubblico sarebbe rimasto solo quello che è sempre stato – una forma di impiego del risparmio privato.

Ripetetelo a tutti quelli che se ne escono con il consueto luogo comune. A tutti quelli che dicono “dobbiamo soldi a mezzo mondo”, o varianti sul tema. L’ITALIA NON E’ UN PAESE INDEBITATO.

lunedì 23 ottobre 2023

Leggere i dati sull’inflazione

 

Preparatevi all’annuncio di una grossa “sorpresa” quando verranno comunicati i dati sull’inflazione di ottobre 2023. Perché a livello di stampa e di opinione pubblica, quasi tutti hanno in mente che l’inflazione viaggi intorno al 5%. In realtà è già scesa, e anche di parecchio.

Vi suona strano ? I dati vengono sempre comunicati facendo riferimento alla variazione mensile e alla variazione annuale. A settembre 2023, la variazione annuale rispetto al settembre 2022 è stata appunto del 5%: l’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (FOI) è salito da 113,5 a 119,2 (fatto pari a 100 il livello medio 2015).

Ma se prendiamo la variazione su un periodo solo di un mese più breve, da ottobre 2022 a settembre 2023, troviamo un incremento molto più basso – da 117,1 a 119,2. Quindi appena +1,8%.

La ragione è che nell’ottobre del 2022 si è scaricato sull’indice un grosso aumento del prezzo di gas ed elettricità. Il famoso caro bollette. Uno scalino che ha inciso per oltre il 3% sull’indice generale.

Questo scalino non è destinato a ripetersi. Se nel mese di ottobre 2023 registrassimo un incremento uguale a quello di settembre, +0,2%, la variazione annuale scenderebbe “magicamente” centrando il famoso obiettivo del 2%.

Magari poi avremo qualche decimale in più, ma non certo un 3% mensile (fenomeno del tutto anomalo).

Prepariamoci a titoli a molte colonne, e probabilmente a qualche comunicato giubilante da parte del governo, su un “effetto sorpresa” che di sorprendente non ha proprio nulla.

sabato 21 ottobre 2023

Tre presupposti sbagliati delle politiche di bilancio pubblico


Presupposto sbagliato numero uno: non è vero che il debito pubblico sia destinato a essere “ripagato”, nel senso di “estinto”. Il debito pubblico non si estingue ma si rifinanzia. Nessun paese ha mai estinto il suo debito pubblico, e (salvo in rari casi e per periodi brevi e transitori) nessun paese lo ha mai nemmeno diminuito in valore nominale.

Presupposto sbagliato numero due: non è vero che sia virtuoso avere conti pubblici in pareggio. Il deficit di bilancio è uno dei principali meccanismi tramite i quali vengono immessi mezzi finanziari nell’economia. Mezzi finanziari che devono crescere via via che l’economia medesima si sviluppa. La normalità, per qualsiasi Stato, è avere conti pubblici in deficit.

Presupposto sbagliato numero tre, conseguenza dei primi due: il principio che “per ogni spesa vada identificata la relativa copertura” è privo di senso. Una copertura per ogni spesa implica che la condizione ottimale sia il pareggio del bilancio pubblico. Il che non è vero.

mercoledì 18 ottobre 2023

L’origine della povertà italiana

 

Negli ultimi quindici anni, dalla crisi finanziaria del 2008 in poi, l’Italia si è fortemente impoverita. Gli individui in situazione di povertà assoluta erano stimati dall’ISTAT, nel 2007, in meno di due milioni; oggi si aggirano intorno ai sei.

Naturalmente abbiamo avuto una serie di eventi esogeni che hanno innescato peggioramenti del contesto economico internazionale e di conseguenza anche italiano. La crisi finanziaria mondiale del 2008, la crisi dei debiti sovrani europei del 2010-2012, il Covid nel 2019-2020. Ma il mondo è sempre stato un posto complicato e crisi paragonabili per complessità e intensità – gli oil shocks del 1973 e del 1979, la rottura dello SME nel 1992, gli attentati al  World Trade Center nel 2001 – non avevano avuto nessun impatto paragonabile sulla situazione economica di larghe fasce della nostra popolazione.

Gli eventi esterni interferiscono con lo sviluppo economico delle nazioni, ma in passato l’Italia aveva sempre dimostrato la capacità di superarli e di riprendere un percorso di crescita.

In questi ultimi lustri, no. Cos’è cambiato ?

E’ cambiato che dall’introduzione dell’euro in poi, la gestione dell’economia italiana è dominata dall’allucinazione collettiva di credere che il debito pubblico rappresenti un fattore di povertà del paese e che sia quindi necessario fare di tutto per ridurlo, in proporzione al PIL se non addirittura in valori assoluti.

Questa allucinazione non è, beninteso, diffusa solo in Italia, e in effetti non nasce con l’euro. Ma per un paese che emette e gestisce la propria moneta, non rappresenta un vincolo insuperabile quando si tratta di generare i deficit pubblici che sono necessari ad assicurare  uno sviluppo armonico dell’economia. Il divorzio Tesoro – Bankitalia del 1981, cioè il venir meno dell’impegno dell’istituto di emissione a sottoscrivere l’eventuale inoptato in sede di collocamento dei titoli di Stato, aveva in una certa misura creato un vincolo del genere, ma fino a un certo punto. Bankitalia non era formalmente impegnata, ma non era credibile, e infatti non è accaduto, che il rifinanziamento del debito pubblico in lire non trovasse una copertura, in caso di necessità, da parte dell’istituto di emissione.

La conversione del debito pubblico in moneta straniera, in euro, ha dato una sostanza molto ma molto più forte al vincolo esterno. Da qui sono nate le scellerate politiche di austerità imposte al paese durante la crisi dei debiti sovrani, nonostante l’economia fosse – qui come altrove – convalescente dopo la crisi mondiale del 2008. Da qui sono nati anni di compressione dei deficit pubblici sotto il 3% nonostante l’inflazione non fosse minimamente un problema, anzi lo fosse casomai (a giudizio della stessa BCE) per il suo livello troppo basso, non troppo alto.

Il vincolo esterno e la delirante idea che il debito pubblico sia un impoverimento del paese – mentre è un impiego della ricchezza finanziaria che i deficit pubblici mettono a disposizione del settore privato – hanno compresso redditi e risparmio. Hanno generato disoccupazione e sottoccupazione. Hanno prodotto la crisi della natalità e la fuga dal paese di centinaia di migliaia di giovani brillanti e preparati.

La mistificazione del ruolo di deficit e debito pubblico è all’origine della povertà del paese.

sabato 14 ottobre 2023

Testo convegno Ungheria, 11 ottobre 2023

 Qui di seguito, la trascrizione del mio intervento di mercoledì scorso a Kecskemét. Trovate i dettagli e i video con tutti gli interventi sul sito di Moneta Positiva.

*****

Buongiorno a tutti, vorrei impiegare alcuni minuti nello spiegare come si è creata una situazione che riguarda la gestione e i risultati della politica economica italiana come è stata rappresentata precedentemente, e questo si lega poi all'analisi delle cause e alle soluzioni che stiamo proponendo.

L'Italia è tra i paesi che hanno costituito l’euro, l'Ungheria non c’è ancora entrata, mi auguro che non lo faccia.  E chiarire perché l'ingresso nell'euro è stato un problema serio specialmente per l'Italia è importante. L’euro per l'Italia era una moneta più forte di quanto fosse precedentemente la lira, il che ha creato alcuni scompensi dal lato delle esportazioni e dei saldi commerciali, che però nel tempo sono rientrati, tanto che l’Italia negli ultimi anni e anche quest'anno sta generando un surplus commerciale.

Il problema fondamentale dell'euro è che si è partiti dal presupposto che il debito pubblico sia in sé e per sé, sia di per sè stesso un problema, quindi nella rappresentazioni che circolano, nei titoli di giornale, si parla di debito pubblico come un fardello, si parla di debito pubblico come un onere per le future generazioni, con metafore tipo ogni bambino italiano nasce con €50.000 di indebitamento eccetera.

In realtà il tema va esaminato da un punto di vista differente. Esistono due modi fondamentali in cui la moneta, il potere d'acquisto, gli strumenti finanziari entrano in circolazione dell'economia: o l'immissione di potere d'acquisto viene effettuata dal settore pubblico, oppure viene effettuata dal settore privato.

Il settore privato agisce tramite l'espansione del credito: quindi le banche erogando finanziamenti creano moneta, se ne è parlato prima.

Il settore pubblico lo fa semplicemente perché lo Stato spende soldi, e questi soldi servono poi anche a pagare le tasse.  Quindi da un lato spende, dall'altro lato incassa tramite il prelievo fiscale.

L'economia nel tempo cresce perché cresce la produttività, perché c'è il progresso tecnologico, in passato c'è stata anche la crescita demografica (oggi non più almeno nella maggior parte dei paesi europei), perché c'è un po' di inflazione, oggi abbiamo anche un po' di inflazione in più o parecchia in più di quella che sarebbe auspicabile ma nessuno punta a un'inflazione pari a zero, gli obiettivi delle banche centrali sono una inflazione moderata ma positiva, tipo il 2%.

Se questo è vero, vuol dire che le grandezze dell'economia devono crescere, devono aumentare, e la maniera in cui queste grandezze finanziarie, dicevo prima, possono incrementarsi, è solo tramite due canali: la creazione di moneta da parte del settore privato o la creazione di moneta mediante il deficit di bilancio.

Da questo si vede che il deficit pubblico non è qualcosa che idealmente non dovrebbe esistere, che non è virtuoso, che bisognerebbe che scendesse a zero – idealmente, anche se poi non ci riesce quasi nessuno. E’ qualcosa che è normale che esista, può essere più alto, può essere meno alto a seconda delle situazioni contingenti: ma i conti degli Stati normalmente devono essere in deficit e normalmente sono in deficit.

Se questo è vero in definitiva cos'è il debito pubblico ? non è altro, non dovrebbe essere altro, che uno strumento che lo Stato mette a disposizione della popolazione per impiegare i risparmi.

Ogni volta che lo Stato spende 100 e preleva 95 c'è una differenza di 5 che rimane in tasca a qualcuno: è moneta che circola nell'economia, che passa di mano in mano ma alla fine rimane nelle tasche di qualche soggetto privato, cittadini o aziende.

E questi soggetti privati gradiscono l’offerta di un servizio di impiego, che non dovrebbe essere speculativo, che offre protezione, che offre un piccolo rendimento, e il debito pubblico ha sempre svolto questa funzione.

Quindi se si parte dal presupposto che il debito pubblico sia il nemico, che sia l'anatema, che sia una bestia feroce da combattere si parte nella direzione sbagliata. Purtroppo tutto il sistema dell'eurozona è stato concepito a partire da questo presupposto. Da quando l'Italia è nell'euro fa politiche, l'abbiamo vista anche in precedenza, costantemente orientate a ridurre il deficit nel tentativo di ridurre il debito pubblico.

L'unico risultato che si è ottenuto è un'economia italiana che ha sostanzialmente smesso di crescere: quindi PIL reale, retribuzioni eccetera sono rimaste praticamente piatte dall'introduzione dell'euro - in effetti si parla del 2002 come anno di partenza ma è stato realmente il 1999, le banconote hanno cominciato a circolare tre anni dopo ma la moneta unica è partita ormai quasi 25 anni fa, 25 anni il primo gennaio del 2024: un quarto di secolo senza crescita economica

Quindi abbiamo demonizzato il debito pubblico, abbiamo demonizzato il deficit di bilancio, senza renderci conto che i deficit di bilancio sono necessari per ottenere una crescita armonica e sostenibile dell'economia. Anche perché se blocchiamo l'introduzione di moneta dell'economia mediante l'azzeramento dei deficit pubblici, l'unico canale di creazione di mezzi finanziari che rimane è il credito privato, i finanziamenti del sistema privato.

Il sistema finanziario privato per sua natura è prociclico e destabilizzante. Le banche erogano facilmente credito quando l'economia va bene e accelerano in questo modo l'espansione; quando ci sono problemi chiedono di rientrare. Per citare la famosa battuta attribuita a Mark Twain, il banchiere è un signore che ti presta l'ombrello quando c'è il sole e te lo chiede indietro quando si mette a piovere.

Questa è la realtà dei fatti. Abbiamo un sistema che è stato concepito nella maniera sbagliata, abbiamo un'economia italiana che siccome “soffriva” (tra virgolette) il “problema” originale di un debito pubblico, in proporzione al PIL, più alto degli altri paesi dell’eurozona, ha visto applicare dei principi di gestione che hanno condotto il paese in un periodo di mancata crescita e di maggiore instabilità economica.

Qui sta il problema fondamentale dell'Italia nell'euro o per essere precisi dell'Italia all'interno delle regole che governano l'eurosistema.

Un problema che può sembrare apparentemente staccato ma si ricollega è il ruolo della banca centrale. Le banche centrali hanno assunto un'importanza enorme perché si pretende che siano i mercati dei capitali, i mercati finanziari, a decidere se un paese è affidabile dal punto di vista della sua gestione della finanza pubblica. Quindi teoricamente la tesi è che ci si va a finanziare sul mercato emettendo titoli di Stato, e questi titoli di Stato non vengono garantiti da chi emette la moneta.

Questo è estremamente pericoloso perché i mercati finanziari possono per motivi anche irrazionali, anche speculativi, comportarsi in maniera illogica o comunque impedire a un paese di rifinanziarsi nel periodo in cui ne hanno più bisogno.

Tutto questo si evita se l'istituto di emissione lavora in stretto coordinamento con il governo, arrivo a dire se non è più un organismo indipendente ma lavora alle strette dipendenze del governo, se di fatto è un'agenzia che fa parte del governo.

Quindi la tesi dell'indipendenza delle banche centrali dal governo in realtà è molto pericolosa. Eppure è una tesi che si è diffusa negli ultimi decenni in maniera sempre più forte, sempre più assertiva, e si è sostanzialmente preteso che le banche centrali dovessero completamente svincolarsi dalla finanza pubblica degli stati. Altrimenti detto, gli stati devono essere “virtuosi”, devono essere una politica fiscale tendenzialmente sempre restrittiva, devono ridurre il debito pubblico o comunque non devono essere sostenute dalle banche centrali nel momento in cui ci sono dei problemi sul rifinanziamento del debito.

Questo è un problema che non nasce con l'euro ma che con l'euro diventa molto ma molto più serio perché anche banche centrali autonome, più o meno indipendenti rispetto al governo, sono però inserite nello stesso sistema nazionale, alla fine in qualche modo devono coordinarsi.

Con l'euro si è invece creata una banca centrale comune, staccata e non più nessun modo sostanzialmente collegata con i governi nazionali, e ne abbiamo visto l'assurdità appunto quando nel 2011 la BCE ha inviato una lettera a firma Trichet – Draghi, ha mandato una lettera al governo italiano praticamente dettandogli le linee di politica economica.

Allora non so se vi rendete conto che questo è un problema gravissimo per la democrazia. Ai tempi c'era il governo Berlusconi: era un governo buono ? era un governo cattivo ? ognuno può avere la sua opinione ma era un governo che era stato eletto dai cittadini italiani, aveva la maggioranza in Parlamento. E’ caduto perché la Banca Centrale ha minacciato sostanzialmente di non sostenere, di non garantire il debito pubblico italiano se non fossero state effettuate una serie di riforme che poi, come spiegava Stefano precedentemente, sono state negli anni successivi in realtà attuate senza risolvere nessun problema di finanza pubblica e per contro peggiorando la situazione del paese, la situazione dell'occupazione.

Altro tema: si sostiene che solo le banche centrali debbono preoccuparsi dell'inflazione, di combatterla. Non solo è il loro obiettivo primario ma – si dice - sono l'unico soggetto che è in grado di gestirla.

In realtà si è constatato che questo non è vero, abbiamo avuto per parecchi anni un’inflazione troppo bassa. Sembra un ricordo lontano nel tempo ma ancora nel 2020 il problema era l’inflazione troppo bassa: si sono fatte politiche di Quantitative Easing, si sono comprati titoli di Stato ma l'inflazione rimaneva comunque inchiodata vicino a zero, non raggiungeva l’obiettivo del 2%.

Ma non lo raggiungeva perché perché la Banca Centrale immetteva moneta nell'economia senza però che il governo fosse autorizzato a fare più spesa pubblica con quella moneta, rimanevano in essere i vincoli di deficit e di debito pubblico, quindi non si è risolto nulla.

Oggi a causa di fenomeni come il Covid, le rotture delle catene di fornitura alle aziende provocate dai lockdown, poi la guerra in Ucraina, la crescita del petrolio, la crescita del gas, abbiamo un problema di inflazione troppo alta. L'unico modo con cui le banche centrali la combattono è alzare i tassi di interesse, quindi stringere il credito, perché è in realtà è l'unica arma che hanno a disposizione.

Allora la mia domanda è: ma perché invece di continuare ad aumentare i tassi, che sull'inflazione può avere degli effetti ma solo perché produce o aggrava una recessione economica, non si fanno altre cose tipo ridurre l'IVA, tipo ridurre le accise sui carburanti, tipo ridurre le imposte indirette sui generi di prima necessità ?

E la risposta è sempre: perché aumenta il deficit pubblico e aumenta il debito pubblico. Torniamo al discorso precedente, si cerca di rispettare dei parametri di deficit e di debito pubblico che in realtà non hanno un senso logico.

Se vogliamo avere un'economia che cresce in maniera armonica, che cerca di raggiungere i migliori obiettivi in termini di crescita economica e di stabilità monetaria, non possiamo ragionare come se esistesse una politica monetaria staccata dalla politica fiscale e che per di più è anche in grado di condizionare la politica fiscale. Dobbiamo vedere la politica economica come un tutt’uno.

Il motivo per cui noi insistiamo a proporre lo strumento della moneta fiscale è che si tratta di un titolo emesso dallo stato e che ha valore in quanto serve a pagare tasse in futuro. E’ proprio questo che unisce la politica fiscale e la politica monetaria, che mette lo Stato, il governo, nella condizione di poter gestire la propria politica economica immettendo moneta quando serve. Tenuto conto di vincoli che esistono, non è che può farlo all’infinito, ma i vincoli sono il pieno impiego, l'occupazione, lo sviluppo armonico dell'economia, la stabilità dei prezzi, aggiungo anche evitare deficit commerciali che creino debito estero in moneta straniera.

Quest’ultimo è un potenziale problema nel momento in cui una crescita eccessiva dell'economia alimenta importazioni che a loro volta creano debito (privato stavolta) in moneta straniera: che può anch’esso diventare destabilizzante. Poi ci sono paesi come gli Stati Uniti che hanno enormi deficit commerciali in dollari e quindi il problema è molto inferiore anche se non proprio inesistente. Comunque è un debito in dollari e i dollari loro li stampano.

In conclusione: io ero contrario all'introduzione dell'euro nel momento in cui si è deciso di lanciarlo. Però ho sempre pensato, da quando la crisi dell'euro è partita, che fosse troppo complicato operativamente e anche politicamente romperlo. Non è impossibile ma il grado di complessità è molto alto. Quello che invece si può fare e per cui noi ci battiamo è tenere l'euro ma introdurre uno strumento monetario autonomamente gestito dallo Stato nazionale, per quanto ci riguarda in particolare dallo Stato italiano. Questo serve in particolare agli stati che sono nell’euro. In che misura servirebbe all'Ungheria dipende da quanto la banca centrale è completamente indipendente o si coordina e si collega col Governo Nazionale.

In Italia però è uno strumento che ci porrebbe in grado di ottenere obiettivi veramente molto significativi in termini di crescita armonica dell'economia e in termini di stabilità del sistema finanziario. Viene purtroppo osteggiato a livello politico perché ridà autonomia al paese: chi punta invece alla cessione di sovranità, chi punta a centralizzare le decisioni politiche e in particolare di politica economica vede con ostilità questa innovazione. Per capire, però, la situazione dell'economia e del sistema politico italiano è molto importante avere chiari e riflettere su questi temi. Grazie.

 


martedì 10 ottobre 2023

La politica monetaria è “troppo tecnica” ?

 

Una tipica giustificazione a favore dell’indipendenza della banca centrale è che la politica monetaria richiede, per essere gestita, competenze tecniche così elevate e raffinate che “non la si può lasciare in mano al politico di turno”.

Espressione tipica di questo concetto è “ti immagini se la banca centrale cadesse nelle mani di” (segue nome di un politico che sta antipatico al commentatore).

Un aspetto curioso di questa linea di pensiero è che viene applicata alla politica monetaria, come se competenze tecniche elevate (magari anche più elevate) non fossero necessarie per gestire

la politica estera

la sanità

la pubblica istruzione

la difesa nazionale

la gestione dell’ordine pubblico

gli investimenti in infrastrutture

il sistema pensionistico

e tante altre cose.

In realtà gestire la politica monetaria è semplicemente una delle molte cose che ricadono nelle responsabilità di un governo.

Per cui se non credete alla democrazia, ditelo pure, è un’opinione come un’altra. Credo un’opinione alquanto pericolosa, ma questo è un parere mio.

Se invece concordate con Winston Churchill che la democrazia è la peggior forma di governo, fatta eccezione per tutte le altre, ma nello stesso tempo difendete l’indipendenza della banca centrale, dovreste spiegare perché l’indipendenza dal governo si dovrebbe applicare alla politica monetaria, quando invece non si applica alle funzioni sopra elencate.

sabato 7 ottobre 2023

Due importantissimi problemi nella formulazione delle politiche economiche e il ruolo della moneta fiscale per risolverli

 

Il debito pubblico è un problema inventato e strumentalizzato

E’ perfettamente normale che uno Stato immetta risorse finanziarie nell’economia, perché le risorse devono aumentare via via che l’economia si sviluppa.

La condizione normale dell’economia è quindi un bilancio pubblico IN DEFICIT.

Altrimenti si dovrebbe fare affidamento solo sulla (potenzialmente destabilizzante) espansione del credito PRIVATO.

Inoltre ogni centesimo di deficit pubblico crea un centesimo di risparmio PRIVATO.

Il debito pubblico è semplicemente un servizio posto a disposizione della collettività per impiegare il risparmio che si genera per effetto dei deficit pubblici.

E’ una menzogna che sia un “fardello” per le future generazioni e che sia “virtuoso” contenerlo.

 

Crescita e stabilità dei prezzi richiedono un coordinamento tra politiche monetarie e politiche fiscali

Il pensiero economico mainstream separa l’elaborazione della politica fiscale da quella della politica monetaria.

Riserva l’elaborazione della politica monetaria a una banca centrale indipendente.

Pretende che la politica monetaria sia “il” sistema per garantire la stabilità dei prezzi.

In realtà la via per garantire sia il pieno impiego che la stabilità monetaria richiede il coordinamento tra politiche fiscali e monetarie.

I due obiettivi possono essere CONTEMPORANEAMENTE raggiunti da un governo democraticamente eletto che gestisca il complesso delle politiche economiche in funzione dell’interesse collettivo.

 

La moneta fiscale come strumento di politica economica

Qualsiasi moneta sovrana è moneta fiscale.

La moneta fiscale è emessa direttamente dallo Stato.

La moneta fiscale deriva il suo valore dall’accettazione, da parte dello Stato stesso, per pagare tasse e in generale qualsiasi impegno finanziario nei confronti del settore pubblico.

La sua emissione può essere regolata per raggiungere gli obiettivi di politica economica del governo.

E’ lo strumento migliore per smussare le fluttuazioni del ciclo economico, rispettando nello stesso tipo gli obbiettivi di stabilità del sistema finanziario e monetario.

In altri termini, per:

ottenere il pieno impiego

mantenere l’inflazione a livelli moderati

evitare squilibri nei saldi commerciali esteri che producano debito in valuta estera.

domenica 1 ottobre 2023

Risanare la finanza pubblica ?

 

Chi parla di “risanare la finanza pubblica” di regola non sa che cosa dice.

Il “risanamento” si dovrebbe tradurre in una riduzione del deficit pubblico e del debito pubblico, in valore assoluto oppure in rapporto al PIL.

In realtà il deficit pubblico è il canale tramite il quale il settore pubblico genera potere d’acquisto e lo immette nel settore privato.

E il debito pubblico è uno strumento messo a disposizione del settore privato per impiegare il risparmio che AUTOMATICAMENTE si genera nel settore privato stesso per effetto del deficit pubblico. Perché i soldi, una volta immessi nell’economia, finiscono in tasca a qualcuno. Anche se chi li riceve li spende: la spesa di qualcuno è reddito di qualcun altro.

Naturalmente il deficit pubblico può, in determinati contesti, essere eccessivo. Per esempio quando l’eccesso di domanda per beni e servizi produce inflazione. Oppure scompensi nei conti esteri.

Ma allora il termine da usare è regolazione della domanda, NON risanamento della finanza pubblica.

La frase “risanamento della finanza pubblica” andrebbe bandita dal gergo degli economisti e dei commentatori economici. Di per sé il “risanamento della finanza pubblica” è AMMALORAMENTO DELLA FINANZA PRIVATA. Meno deficit e meno debito pubblico vuol dire meno reddito e meno risparmio privato.