lunedì 26 dicembre 2022

Riconoscenza e reciproco interesse

 

Di tanto in tanto mi viene voglia di scrivere qualcosa su temi che non hanno un granché a vedere (ma forse un po’ sì ?) con la macroeconomia.

Dice un proverbio: “non fare mai del bene al prossimo se non pensi di poter sopportare il peso della sua ingratitudine”. Un pochino cinico forse, ma spesso e volentieri vero.

Il prossimo non è necessariamente riconoscente per quanto di buono hai fatto per lui in passato. O magari lo è a chiacchiere, ma non va oltre quelle.

A volte è addirittura irritato nei confronti del benefattore, perché fa fatica a riconoscere di dovere a qualcuno certe condizioni favorevoli da cui ha tratto profitto.

La maniera migliore per trarre beneficio dalla conoscenza di qualcuno a cui hai fatto del bene in passato, e da cui oggi hai bisogno di qualcosa, è forse la seguente.

Cerca di proporgli la cosa di cui hai bisogno proponendola in termini – e se appena possibile non solo a parole, ma nella sostanza – che diventi un progetto interessante anche per lui / lei.

Naturalmente questo è vero in generale. Allora, che vantaggio c’è nel parlarne a chi ti deve (ti dovrebbe) riconoscenza ?

Il vantaggio – non decisivo ma importante – è che quanto meno ti darà ascolto. Il che non sarebbe scontato se la tua proposta cercassi, tu, di formularla a qualcuno che non ti deve nulla (e magari neanche ti conosce, quindi c’è pure il problema di riuscire a parlargli).

Non è molto, ma è un punto di partenza. Che non garantisce il risultato, ma quantomeno crea una possibilità.

 

mercoledì 21 dicembre 2022

Anche quest’anno lo yen collassa l’anno prossimo

 

Ve li ricordate, i profeti di sventura che vaticinavano il crollo dello yen a causa dell’ostinazione nipponica a mantenere bassissimi i tassi d’interesse ?

Beh la Bank of Japan ha preso tutti di sorpresa annunciando la decisione di comprare i titoli decennali non più al rendimento massimo dello 0,25%, ma a un mirabolante 0,5%.

Invariati (a zero) invece i tassi sulle scadenze brevi e medie.

Il quarto di punto in più sui tassi decennali è stato sufficiente a produrre un rafforzamento del cambio di oltre il 3%. Un dollaro scambia attualmente a 132 yen (aveva raggiunto un picco di 152 l’ottobre scorso).

Una azione monetaria restrittiva di entità modestissima è bastata a ottenere questo risultato. Nel frattempo USA e soprattutto Eurozona continuano a lottare con un’inflazione (sia pure in discesa, almeno negli USA) molto più alta di quella nipponica (7%, 11% contro 3%) nonostante incrementi di tassi molto sostenuti e la minaccia di farne seguire altri, anzi “molti” altri (quantomeno nell’Eurozona).

Ne derivano due indicazioni molto chiare:

PRIMO, non c’è alcuna necessità, né tantomeno utilità, di alzare i tassi per contrastare efficacemente un’inflazione che nasce da problemi non di domanda ma di approvvigionamenti e materie prime.

SECONDO, le differenze di tassi impattano sul cambio ma (fatto salvo che l’indebolimento del cambio NON RETROAGISCE sull’inflazione interna, se non in misura del tutto marginale) contrastare questa tendenza è possibile con interventi assolutamente modesti, quindi non tali da influire sulla domanda interna né sulle prospettive di crescita dell’economia.

 

lunedì 19 dicembre 2022

La riforma del MES (ancora…)

 

Adesso che la Corte Costituzionale tedesca ha respinto i ricorsi presentati contro la riforma del MES, presumibilmente il Bundestag la approverà in tempi rapidi. La Germania sarà quindi il penultimo paese a ratificarla.

Dopodiché rimane solo l’Italia, e quindi stanno riprendendo fiato gli esponenti politici che ci sollecitano ad “adeguarci”.

Rimando a quanto ho scritto ormai tre anni fa per spiegare che questa riforma è un peggioramento di uno strumento già di per sé orribile. La riforma va bocciata, anche se è opportuna la precisazione che non ratificare non significa risolvere un problema ma solo evitare di peggiorarlo. Perché il MES comunque è in essere, ed è pessimo anche così com’è oggi.

Respingere la riforma, in altri termini, equivale a giocare in difesa. Per segnare i gol, bisogna far passare il vero strumento risolutivo: i CCF / Moneta Fiscale.

Aggiungo comunque due parole di commento all’affermazione, sentita varie volte allora e oggi, che l’Italia deve ratificare “perché il governo si è impegnato”.

Il governo DI ALLORA (c’era Conte) ha firmato il trattato, certo. Ma il trattato è operativo solo se il parlamento ratifica. E Conte ovviamente non poteva impegnarsi per conto del parlamento. Il massimo dell’impegno che poteva prendere era di PRESENTARLO alle camere per la ratifica. 

Certo, in condizioni normali un governo dovrebbe sapere che cosa il parlamento sarà disposto ad accettare: governa appunto perché ne ha ottenuto la fiducia, giusto ?

Ma in questo caso ci sono un paio di cose da ricordare.

La prima è che Conte si è mosso, ai tempi, in modo estremamente improprio: è andato avanti a negoziare (ancora durante il Conte I) nonostante la maggioranza di allora (M5S + Lega) gli avesse chiaramente espresso fortissime riserve.

La seconda è che da allora sono cambiati tre governi nonché la composizione del parlamento, a seguito delle elezioni politiche del settembre 2022.

E ratificare, o meno, ovviamente è una decisione che spetta al parlamento in carica, non a quelli passati.

Se l’Italia non ratifica questa riforma, cosa che mi auguro fortissimamente, non viene meno a nessunissimo impegno. Sostenere il contrario è una bestialità, in termini di diritto e in termini di fatto.

 

sabato 17 dicembre 2022

I “depositi congelati”, ovvero come perdere tempo su un problema inesistente

 

Ho già spiegato in vari post, il più recente dei quali è questo, quale sia lo sfondone logico e concettuale di chi insiste a dire che i soldi depositati sui conti correnti bancari sono risorse ferme, inattive, congelate. Quindi non mi ripeto e vi rimando a quella lettura.

Però sull’argomento ci ritorno, perché di fronte alle mie spiegazioni, qualcuno ribatte che “sì OK ho capito, i soldi sui conti si muovono da un detentore all’altro, il livello non ci dice proprio nulla in merito alla movimentazione. Però i soldi depositati in banca dai risparmiatori italiani sono una quantità molto più elevata, in proporzione al PIL, rispetto agli altri paesi. Questa è un’inefficienza, perché quella moneta va canalizzata verso l’economia produttiva”.

Questa argomentazione l’ho sentita senza che fosse fornito alcun dato a supporto. Per cui mi sono messo a cercarli io (i dati).

E ho trovato questi, elaborati da Trading Economics sulla base di informazioni raccolte dalla Banca Mondiale. Stranamente non è citato l’anno di riferimento ma c’è da supporre che siano i più recenti disponibili, probabilmente relativi al 2021.

La prima cosa che si nota è che livelli molto bassi del rapporto depositi bancari / PIL si riscontrano in alcune economie poco sviluppate, presumibilmente con un sistema bancario ancora, almeno in parte, embrionale.

La seconda cosa che vale la pena di mettere in evidenza è il confronto tra l’Italia e le altre principali economie. Mi limito qui ai principali paesi dell’Eurozona, più gli USA e il Giappone.

Italia                     103%

Germania             95%

Francia                 107%

Spagna                 120%

Paesi Bassi           104%

USA                     101%

Giappone             260%

Ma guarda un po’, l’Italia non è assolutamente disallineata. Stanno tutti intorno al 100%.

L’unico outlier è il Giappone, e la ragione è molto semplice. Il Giappone ha un debito pubblico elevatissimo (260% sul PIL, casualmente la stessa percentuale dei depositi) che però per il 100% circa è stato acquistato dalla banca centrale. Ciò equivale a dire che un ammontare di debito pubblico pari al PIL è stato finanziato tramite emissione monetaria. E questa moneta è finita nei depositi bancari della popolazione.

Giappone a parte, la situazione italiana,  confrontata con le altre grandi economie occidentali, è NORMALISSIMA. A quanto pare, depositi bancari pari all’incirca al PIL sono quanto serve a famiglie, imprese e amministrazioni pubbliche per gestire le proprie transazioni (non posso smobilizzare un titolo ogni volta che effettuo un pagamento. Devo avere soldi in banca prontamente utilizzabili).

Perché insisto su questo tema ? perché non ne posso più di sentire giornalisti, politici, ma anche economisti, discettare con aria pensosa sulla necessità di “mobilitare e mettere al lavoro il risparmio congelato degli italiani”, ventilando soluzioni più o meno fantasiose.

A giudicare dalla frequenza con cui l’argomento viene citato e discusso, sembrerebbe che occupi una frazione non irrilevante degli sforzi e del “pensiero economico” di vari parlamentari ed esponenti governativi, magari “illuminati” sul tema da professori universitari e alti burocrati assortiti.

Che questi signori perdano una quantità di tempo non risibile a baloccarsi con un “problema” completamente immaginario, a me preoccupa. Anche perché non ci ravviso secondi fini, ma la semplice incapacità di fare un passettino in più nel riflettere su un tema francamente banale.

Il che è anche peggio.

 

giovedì 15 dicembre 2022

Indipendenza delle banche centrali: perché non va

 

Il mio amico Paolo Canziani è tutt’altro che un euroausterico: anzi, come me, critica l’euro da prima che esistesse, da quando era ancora solo un progetto. Tuttavia è perplesso in merito alle conclusioni che si traggono dal mio recente post riguardante l’(inopportunità della) indipendenza delle banche centrali.

Se è vero, come è vero, che una banca centrale indipendente rende il governo dipendente da lei stessa, e se crediamo nella democrazia, la conclusione che se ne deriva è che la banca centrale debba essere DIPENDENTE dal governo. Perché altrimenti la banca centrale DIVENTA il governo. Un governo non eletto dalla popolazione.

E in effetti, se la banca centrale deve dipendere dal governo, tanto vale fare del tutto a meno della BC, e affidare le funzioni di emissione monetaria direttamente al Ministero dell’Economia. Ne avevo parlato tempo addietro.

Su questo punto, Paolo esprime il timore che si ritorni alla situazione di certi periodi dell’impero romano, quando alcuni imperatori “tosavano” le monete d’oro pretendendo che mantenessero lo stesso valore.

In merito a questa obiezione, ci sono varie risposte.

La prima, è che se devo scegliere tra due rischi, preferisco una (presunta) tendenza inflattiva di governi che devono conquistarsi il mandato passando dalle consultazioni elettorali, rispetto alla tendenza deflattiva e predatoria di un establishment finanziario che non deve rendere conto alla popolazione.

La seconda, è che in regime di fiat money il mondo lo è dal 1971. Siamo sprofondati nell’iperinflazione ? no, eccessi d’inflazione in effetti li abbiamo visti solo negli anni 70-80, e poi oggi: ma in connessione a problemi di approvvigionamento e forniture di materie prime (il petrolio allora, il gas oggi), non di comportamenti irresponsabili dei governi (quantomeno nelle economie avanzate).

La terza, è che il paese meno inflattivo, in particolare oggi, è stato ed è proprio quello in cui la banca centrale è più dipendente dal governo, che tiene i tassi a zero, che compra enormi quantità di titoli di Stato emettendo moneta: il Giappone.

La quarta, è che l’establishment finanziario è enormemente potente e influente. Proprio per questo richiede un contrappeso. E l’unico possibile è un assetto politico-istituzionale che renda l’emissione monetaria dipendente dal governo. Questo non eliminerà l’influenza della grande finanza, ma creerà  necessarissimi argini e calmieri.

Il problema, nel mondo odierno, non è una grande finanza troppo debole, ma TROPPO FORTE, nei confronti della politica. Dare in mano a quel sistema anche l’emissione monetaria è la strada per cancellare la democrazia. Il che sarebbe inaccettabile anche se fosse premiante in termini di efficienza economica – e la storia di questi ultimi decenni mostra che non lo è.

 

lunedì 12 dicembre 2022

Banca centrale, indipendenza e dipendenze

 

Ogni volta che mi confronto in pubblico sul tema dell’indipendenza delle banche centrali dal governo, qualche interlocutore commenta che è un’assoluta necessità, perché “prova a immaginarti [nome di un politico che riesce antipatico al commentatore] dare istruzioni al governatore: sarebbe la ricetta sicura per il disastro”.

Un’argomentazione rispettabile come qualsiasi altra, che però trascura un dato di fatto.

Il potere di emettere e gestire la moneta è così importante, così vitale per la conduzione dell’economia, che se la banca centrale è indipendente dal governo, il governo diventa FORTEMENTE DIPENDENTE dalla banca centrale.

Questo dovrebbe essere perfettamente chiaro soprattutto a noi italiani, che abbiamo constatato come la lettera Trichet – Draghi inviata al governo Berlusconi nell’agosto 2011 abbia pesantemente condizionato la politica economica italiana negli anni successivi.

Magari non avete mai votato per Berlusconi e magari lo detestate. Ma vi rendete conto che una banca centrale che dà ordini a un governo è la negazione della democrazia ?

E questo l’abbiamo visto, appunto, verificarsi nel contesto dell’eurozona, dove il progetto moneta unica ha portato l’indipendenza della banca centrale alla sua più completa attuazione.

Poi magari non siete estimatori della democrazia rappresentativa parlamentare, e gli preferite, appunto, il governo dei banchieri centrali.

Però allora ditelo chiaramente.

E poi domandatevi anche quali risultati l’applicazione di questo principio, la banca centrale che comanda sul governo, abbia prodotto. A me, e mi permetto di dire a qualsiasi osservatore in buona fede, pare che gli effetti siano stati pessimi, per non dire catastrofici.

La domanda “volete una banca centrale indipendente dal governo ?” la trovo mal posta, anzi fuorviante.

La domanda corretta è: cosa preferite, la banca centrale dipendente dal governo, o il governo dipendente dalla banca centrale ?

sabato 10 dicembre 2022

Surplus, deficit e arricchimento del paese

 

Alcuni mesi fa, in questo post spiegavo perché – come dice il titolo stesso – “i surplus di bilancio pubblico non arricchiscono il paese”. E alcuni lettori hanno commentato che di sicuro non stavo parlando dell’Italia, che surplus nei conti pubblici non ne ha mai registrati (e per trovare un bilancio in pareggio bisogna risalire all’Ottocento: stavo per dire al secolo scorso, ma è quello prima ancora).

Vero. In Italia un bilancio in surplus non s’è mai visto. Però è anche vero che si ragiona come se fosse un dato di fatto che i surplus arricchiscono, e di conseguenza che i deficit impoveriscono.

E allora tutta la politica economica del paese è condizionata dal principio che il deficit sia un male; forse necessario, ma comunque un male. Bisognerebbe che non ci fosse, e non riuscendoci bisogna sentirsi in colpa se aumenta, e fare invece di tutto per contenerlo, per diminuirlo. Partendo dal presupposto implicito che diminuendo il deficit quantomeno ci si impoverisce di meno.

Tutto sbagliato.

Il deficit pubblico è uno strumento con il quale lo Stato, immettendo soldi nell’economia in eccesso rispetto alla tassazione, permette ai mezzi di pagamento in circolazione di espandersi. E un’economia in crescita HA NECESSITA’ di questa espansione. Razionando la moneta, nessun paese diventa ricco.

Naturalmente l’espansione dei mezzi di pagamento non può e non deve essere infinita. Ci sono limiti, ma non corrispondono a un livello numerico predeterminato. Non è il 3% di Maastricht. Tantomeno è lo zero a cui punta (senza che sia mai stato raggiunto, in realtà) l’articolo 81 della Costituzione così come riformato nel 2012.

Il livello corretto è quello che garantisce la massima occupazione delle risorse produttive – lavoro e aziende – compatibilmente con moderati e stabili livelli di inflazione, e tenendo anche d’occhio i saldi commerciali esteri (per evitare l’accumulo di passività nette in moneta straniera).

E va ricordato che un’inflazione troppo alta si può contrastare anche con manovre fiscali espansive, quali la riduzione di tasse e oneri accessori su beni di consumo, specialmente se di prima necessità e specialmente se a domanda rigida (sbagliatissimo l’aumento di 12 centesimi applicato da questo mese alle accise sui carburanti).

Ma non è razionando artificialmente la moneta che un paese si arricchisce. Se no l’ideale per promuovere la crescita economica sarebbe eliminare i mezzi di pagamento e tornare a un’economia di autoproduzione, autoconsumo e baratto…

mercoledì 7 dicembre 2022

Il pensiero unico BCE porta fuori strada

 

Spesso si afferma che un problema della governance BCE è l’assenza di un mandato duale stile Federal Reserve. L’obbiettivo di stabilità monetaria, al contrario che negli USA, non è per la BCE sullo stesso piano rispetto alla massimizzazione dell’occupazione: è, al contrario, nettamente predominante.

Però adottare un mandato stile Fed (parlo in linea teorica perché comunque non c’è assolutamente il consenso politico necessario per un passaggio del genere) sarebbe comunque insufficiente.

Il problema della BCE sta nella sua visione della macroeconomia e delle condizioni necessarie per il raggiungimento della stabilità monetaria.

In buona sostanza – ne parlavo qualche post fa – la BCE è convinta che la leva di tassi, moneta e credito sia tutto quanto serve sia per abbassare l’inflazione che per alzarla.

Altre leve a disposizione, in effetti, non ne ha. Ma il risultato è essersi imbarcati in anni di quantitative easing, tra il 2014 e il 2019, stampando moneta senza che i vincoli fiscali venissero ammorbiditi. Con il risultato che l’inflazione è rimasta troppo bassa e l’economia dell’eurozona ha perso terreno rispetto agli altri grandi blocchi economici mondiali – USA e Cina in primo luogo.

Oggi, la BCE sta alzando i tassi e stringendo il credito per contrastare un’inflazione che non nasce da un eccesso di domanda ma da problemi dal lato di energia e approvvigionamenti. Con il rischio molto fondato di produrre una recessione devastante e/o di non risolvere il problema inflazione.

Il tema è concettuale. Una corretta politica macroeconomica può nascere solo dal coordinamento tra politiche fiscali e politiche monetarie. Ma le politiche fiscali sono condizionate da vincoli privi di senso, e le politiche monetarie da sole sono insufficienti ad affrontare molte situazioni in cui i target di inflazione risultano sforati, in alto o in basso.

La visione UE / BCE delle leve d’intervento macroeconomiche e della loro efficacia è tutta sbagliata. Non è un problema (solo) di mandati e di trattati. Sono sbagliate le idee di fondo dei decisori politici (dove i decisori politici includono anche, e forse soprattutto, i banchieri centrali europei).

Ma non si vedono cambiamenti all’orizzonte.

domenica 4 dicembre 2022

L’assurdità dei vincoli di bilancio UE

 

L’impalcatura della governance macroeconomica UE, e in particolare dell’eurozona, è fondata su un insieme di assurdità concettuali che ne rendono impossibile il funzionamento.

Per svariati anni, sono stati attuati deficit di bilancio troppo bassi, il che equivale a dire che gli Stati non hanno immesso sufficiente potere d’acquisto nell’economia, nonostante l’inflazione fosse decisamente inferiore agli obiettivi BCE – che infatti se ne lamentava in continuazione e cercava di aumentarla, senza alcun successo, con massicci interventi di quantitative easing.

Oggi c’è invece un eccesso d’inflazione, causato dalla rottura delle catene di approvvigionamento causata dai lockdown durante il periodo del Covid, e dal conflitto ucraino. C'è la possibilità di attuare interventi fiscali espansivi in chiave antiinflazionistica: possibilità che però si scontra con i sempiterni, insensati vincoli di bilancio.

Così ad esempio in Italia ci troviamo, da inizio dicembre, 12 centesimi di maggiori accise e quindi di incremento del prezzo dei carburanti, che vanificano il calo del petrolio verificatosi nelle ultime settimane. Esattamente il contrario di quanto sarebbe stato utile per mitigare la dinamica dei prezzi al consumo.

Occorre una classe politica che sappia rapportarsi alla UE e alla BCE con competenza e autorevolezza e spiegare che solo una corretta interazione tra politica fiscale e politica monetaria può creare condizioni di crescita economica, piena occupazione e stabilità monetaria. E che l’austerità in condizioni di inflazione troppo bassa è un non senso. E che l’espansione fiscale può essere utilizzata anche per contrastare l’inflazione quando invece è sopra i target.

Ma dove sono, nel governo e nel parlamento, le competenze e le autorevolezze di cui sto parlando ? o non esistono o sono state lasciate sullo sfondo del dibattito, anzi non ne sono proprio state coinvolte.

 

venerdì 2 dicembre 2022

Che cosa penso di questo governo

 

Mi chiedono che cosa penso del comportamento, fin qui, del governo Meloni, in particolare riguardo all’economia.

Beh penso, in sintesi, che manchi di coraggio. Esponenti di rilievo della maggioranza parlamentare, a partire da Andrea de Bertoldi, sono perfettamente al corrente del potenziale della moneta fiscale, in funzione non solo del rilancio di domanda, redditi, investimenti e occupazione, ma anche della mitigazione dei fenomeni inflattivi.

Però nulla di tutto questo traspare dai provvedimenti presi e dalle dichiarazioni dei ministri. La gestione del Superbonus e dei problemi creati da Draghi con i suoi ennemila cambiamenti normativi rimane un mistero. Le recenti affermazioni di Giorgetti (“dobbiamo evitare di dire che questi crediti fiscali devono circolare liberamente… anzi non dobbiamo proprio dirlo… è meglio per tutti… per lo Stato italiano in particolare”) suonano MOLTO strane in bocca al ministro di un paese indipendente e sovrano.

Riesce così difficile spiegare alla UE e ai mercati finanziari che la moneta fiscale risolve le disfunzioni dell’eurosistema senza romperlo ? oppure il problema è quello che sospettano in molti, che ridare autonomia agli stati è intollerabile per Bruxelles e per i potentati che le stanno alle spalle ? e che questi potentati sono impossibili da sfidare ?

Così però le cose continueranno a non funzionare. Per l’Italia ma anche per la UE. Dando quindi ragione a quanto scriveva Wolfgang Munchau pochi giorni fa: “i peggiori nemici della UE sono i suoi più grandi sostenitori. La difendano qualsiasi cosa faccia”.

Se è così, e molti lo pensano da parecchio tempo, con la UE non si può ragionare, perché ogni proposta di modifica degli assetti e delle linee di conduzione della politica economica (e non) viene considerata una critica inaccettabile.

Queste sono le mie considerazioni al momento. Poi, può essere che il governo Meloni abbia scelto una linea guardinga nelle prime fasi, e che si muoverà con più determinazione poi.

Può essere. Ma per ora, qui siamo.

domenica 27 novembre 2022

Meritocrazia ?

 

Si parla tanto di merito e di meritocrazia, di come sia giusto e bello promuoverlo, riconoscerlo, valorizzarlo, secondo alcuni anzi parecchi l’Italia funzionerebbe meglio se ci fosse più meritocrazia. Eccetera.

Considerazioni che sembrano vere al punto da potersi considerare dei luoghi comuni, delle ovvietà.

Ma sono poi così ovvie ?

Una cosa che si trascura è che, specialmente nelle organizzazioni da una certa dimensione in su, il “merito”, o quello che si considera tale, spesso non è qualcosa di oggettivo, ma la conseguenza di una valutazione discrezionale, non necessariamente in buona fede, di chi sta intorno al “valutato”.

A volte nelle organizzazioni hanno difficoltà a far carriera proprio i competenti, perché non vengono capiti, perché sono giudicati da qualcuno che non è allo loro altezza, perché rischiano di mettere in ombra che sta sopra di loro o al loro fianco nelle gerarchie.

Ho spesso pensato che una delle ragioni per cui il pubblico ama gli spettacoli sportivi è che tutto è molto più alla luce del sole. Chi corre più veloce o salta più in lungo si mette in evidenza non per una valutazione di merito, ma per un fatto oggettivo.

Certo, si può scoprire che il vincitore della gara è dopato. Certo, ci può essere l’errore arbitrale dove non si prevale per una misurazione ma per il successo in una competizione con regole, a volte interpretate discrezionalmente (una partita di calcio, un incontro di boxe).

Certo, si può discutere sul ruolo e sull’incidenza di un giocatore in uno sport di squadra e dire “segna molto ma è scarso in difesa”. Però che Michael Jordan giocasse bene a basket o Maradona a calcio chi mai l’ha potuto mettere in questione ?

Non è così anche nelle aziende ? no. Jack Welch della General Electric è stato considerato per decenni il miglior CEO del mondo, poi si è scoperto che il posizionamento strategico dei suoi business non era poi sempre così solido, che spesso l’alta direzione, a partire da lui, badava più a stiracchiare i risultati contabili per centrare le aspettative di Wall Street che a produrre valore permanente. A distanza di tempo, il giudizio su di lui come manager è molto più sfaccettato.

Quindi, è giusto “valorizzare il merito” ? in astratto sì, in concreto chiediamoci chi lo valuta, su quali parametri, con quale oggettività.

 

martedì 22 novembre 2022

Accise e IVA, così non ci siamo

 

Ho scritto numerose volte, su questo blog e altrove, che la via migliore per mitigare l’attuale inflazione è ridurre imposte indirette e oneri accessori sui beni di prima necessità. In particolare, su quelli a domanda rigida, che incidono più che proporzionalmente sui consumatori dotati di scarsi mezzi finanziari.

Leggo questa mattina che il governo per la legge di bilancio 2023 sembra orientato verso alcune decisioni che vanno nella direzione sbagliata.

Da un lato, ridurre da 30 a 18 centesimi (lordo IVA) lo sconto sulle accise applicate ai carburanti, introdotto da Draghi subito dopo l’inizio del conflitto ucraino. Il prezzo della benzina a parità di condizioni passerebbe quindi da 1,68 euro al litro (prezzo del distributore sotto casa mia…) a 1,80. Un +7% abbondante. Mica male come strategia antiinflazionistica.

Dall’altro, si lascia cadere la proposta di azzerare, o quantomeno ridurre, l’IVA su pane e latte.

Una correzione di tiro sbagliata su un provvedimento corretto, la rinuncia a un altro che oggi sarebbe utilissimo.

Se è così, tanto valeva tenersi Draghi.

domenica 20 novembre 2022

Superbonus e Moneta Fiscale

 

Leggo sempre con interesse i commenti economici di Giuseppe Liturri e in genere mi trovo largamente in sintonia con le sue analisi. Nel caso di questo articolo sul tema superbonus 110%, però, un po’ meno del solito.

A parere di Giuseppe, l’ostilità, più che evidente, della UE nei confronti del superbonus deriva principalmente da due fattori.

Il primo è il livello degli incentivi: il 110% è addirittura superiore al costo dei lavori da effettuarsi. Il che fa venir meno l’interesse al contenimento del valore monetario degli investimenti: se ho a disposizione una quantità di incentivi più alta dell’esborso, non sono spinto a negoziare con chi effettuerà i lavori per contenere l’esborso medesimo. Anzi, committente e aziende appaltatrice avrebbero addirittura interesse a gonfiare le cifre.

Il secondo è la cedibilità illimitata: incentivi fiscali non cedibili finiranno per non essere tutti utilizzati per intero, perché alcuni beneficiari in pratica non avranno la necessaria capienza fiscale, cioè non avranno sufficiente materiale imponibile. Se invece gli incentivi, cioè i crediti fiscali, sono liberamente cedibili con ogni probabilità si troverà sempre un compratore dotato della suddetta capienza, e l’utilizzo degli incentivi sarà totale, o pressoché tale.

Sul primo punto, Liturri stesso però nota che l’inconveniente viene meno riducendo l’aliquota e riportandola sotto il 100%, per esempio al 90%.

Sul secondo punto, il difetto del superbonus non è la cedibilità illimitata, ma l’aver introdotto l’incentivo senza prevedere un livello massimo di erogazione di crediti, per esempio su base annua.

Del resto, come questo blog ha chiarito fin dall’inizio, il superbonus è un’applicazione del concetto di Moneta Fiscale, qui proposto sulla base del modello CCF (Certificati di Compensazione Fiscale: titoli utilizzabili come sconti fiscali, liberamente cedibili e assolutamente destinati a circolare ILLIMITATAMENTE).

Ma fin dalle proposte originarie, ho sempre affermato che i CCF devono essere attribuiti per una varietà di applicazioni e per DETERMINATI IMPORTI MASSIMI SU BASE ANNUA.

Per il superbonus, così come per qualsiasi altra applicazione, si sarebbe dovuto dire – ma siamo ovviamente del tutto in tempo per correggere il tiro nel futuro – che le erogazioni avevano un limite annuo: per esempio, i primi 20 miliardi che fanno regolare richiesta ottengono il credito, gli altri slittano all’anno successivo.

Il limite annuo è necessario anche e soprattutto perché diversamente si rischia di far partire più interventi di quelli che la capacità produttiva del settore riesce poi effettivamente a effettuare: e questa sicuramente è una distorsione, con effetti inflazionistici.

Quello che il governo deve fare è contenere l’aliquota e fissare un tetto annuo. Ma NON limitare la cedibilità.

Tra l’altro la cedibilità illimitata consente anche di introdurre un’altra variante che in questo blog è stata spesso proposta e analizzata: attribuire ai crediti un tasso d’interesse (una maggiorazione di valore se l’utilizzo viene volontariamente differito). 

Il tasso d’interesse spingerebbe parecchi percettori a ritardare l’impiego dei crediti per scontare tasse, appunto perché il valore del credito cresce nel tempo e lo può quindi rendere un investimento interessante.

Parecchi crediti fiscali circolerebbero senza essere utilizzati per molti anni, e in qualche misura, forse, mai.

L’erogazione di crediti sarebbe quindi compensata non solo dalla retroazione fiscale (il maggior gettito consentito dalla crescita di PIL prodotta dall’incentivo, che va messo in conto, come non si stanca di ripetere l’onorevole Andrea de Bertoldi – e come ovviamente questo blog ha sempre affermato) ma anche dal differimento di utilizzo.

Le soluzioni tecniche, in altri termini, esistono e sono portata di mano. Se la UE è ostile alla Moneta Fiscale la ragione è tutta un’altra: è ostile perché la Moneta Fiscale FUNZIONA BENISSIMO ma ha il “difettuccio” (dal punto di vista di chi vorrebbe centralizzare tutte le decisioni di politica economica) di ridare autonomia agli Stati che la introducono.

 

giovedì 17 novembre 2022

I “soldi fermi sui conti correnti”… di nuovo

 

Il simpatico Marco Montemagno, che sicuramente molti di voi seguono, in questo breve video ci porta a conoscenza delle affermazioni di un professore universitario. Il quale si lamenta di come gli italiani lascino fermi, inattivi, la bellezza di 1.800 miliardi su conti correnti bancari a rendimento zero.

Il che, dice, è sempre stato un problema, ma adesso diventa molto più grave perché l’inflazione è alta e si verifica quindi una pesante erosione del potere d’acquisto.

All’inizio ero convinto che in questo equivoco cadessero “solo” giornalisti e politici. Ma avevo poi in effetti scoperto che ci cascano con tutte le scarpe anche parecchi economisti, non esclusi alcuni con un CV di vaglia (almeno sulla carta).

MA CHI HA DETTO CHE I SOLDI SUI CONTI CORRENTI SONO FERMI ?

I soldi sui conti correnti si muovono, costantemente. Ma questo movimento di per sé non influenza i saldi totali all’interno del sistema economico. Immaginate che non siano 1.800 miliardi di euro, ma 1.800 conchiglie, utilizzate come moneta.

Le 1.800 conchiglie vengono utilizzate e passano da una mano all’altra. Magari ciascuna anche cinque, dieci, venti volte all’anno. Ma PASSANO DI MANO. Non scompaiono.

Quindi constatare che le conchiglie sono sempre 1.800 e desumere che “stanno ferme” è, scusate la franchezza, una SCEMENZA. Gli undici giocatori di una squadra di calcio si muovono costantemente, ma sono sempre undici (salvo espulsioni…).

Ma le conchiglie, cioè i soldi, che vengono investiti, per farli rendere e proteggerli dall’inflazione ? quelli non diminuiscono i saldi bancari ?

Se compro un’azione o un’obbligazione già esistente, il mio saldo di conto corrente diminuisce, ma aumenta quello del venditore. Se compro titoli emessi da un’azienda, o titoli di Stato, il mio saldo diminuisce ma aumenta quello dell’emittente. Che poi li usa (se no perché avrebbe emesso titoli ?), quindi li fa circolare.

Vogliamo vedere diminuire i 1.800 miliardi ?

Salvo che mi sfugga qualcosa, il risultato si ottiene per quattro possibili vie.

Qualcuno ritira i soldi che ha in banca e mette le banconote sotto il materasso. Non esattamente il comportamento tipico in un’economia dinamica, e non esattamente una protezione dall’inflazione.

Qualcuno usa i soldi sul conto corrente per rimborsare un debito bancario. Cioè, il credito bancario totale nell’ambito del sistema cala. Abbiamo bisogno di questo in un’economia che sta cadendo in recessione ? non mi pare.

Qualcuno compra beni e servizi all’estero. Il conto corrente dell’italiano compratore cala perché aumenta il conto corrente dello straniero venditore. E peggiorano i saldi commerciali (già in tensione per il decollo dei costi di gas ed energia). C’è da augurarselo ? non mi pare.

Qualcuno compra attività finanziarie all’estero. Ma non ci si lamenta costantemente che troppo risparmio fuoriesce dall’Italia, e bisogna invece riportarlo in patria ?

Per cui, due conclusioni.

Parlare di economia ignorando la partita doppia non è un’idea brillante.

E

L’economia italiana ha tanti problemi, ma il livello dei conti bancari NON è uno di quelli.

 

domenica 13 novembre 2022

Ma quanto è confusa la BCE sull’inflazione

 

La scorsa settimana, secondo quanto riporta il Financial Times, il presidente della BCE Christine Lagarde ha affermato che “una blanda recessione da sola non sarebbe sufficiente ad addomesticare l’inflazione”. Recessione che peraltro non è lo “scenario base” contemplato dalla previsioni della BCE medesima. E neanche della commissione UE, che per il 2023 ha appena aggiornato le sue stime e vede un modesto ma positivo +0,3% per il PIL dell’Eurozona.

Sulla base dell’affermazione lagardiana, c’è da chiedersi quale modello macroeconomico stia nella mente (collettiva) della BCE. Se una “blanda recessione” da sola è insufficiente, che cosa sarà necessario, una recessione catastrofica ?

Semplicemente, la BCE ritiene che esista uno strumento solo utilizzabile, l’aumento dei tassi d’interesse. A prescindere dall’impatto sull’economia reale, il messaggio che trasmette è: continueremo ad alzarli finché l’inflazione, o quantomeno l’inflazione core (che esclude dal calcolo le componenti più volatili, energia e beni alimentari) avrà chiaramente superato il picco per iniziare il percorso di discesa.

La BCE ha l’aria di credere a una versione supersemplificata e semisuperstiziosa della teoria quantitativa della moneta. Recessione o no, blanda o catastrofica, la BCE continuerà ad alzare i tassi cosa che “prima o poi” farà scendere i tassi, perché l’inflazione è un “fenomeno monetario”. Stop.

Il messaggio che modestamente questo blog cerca di trasmettere (ma che si legge sempre più spesso anche altrove) è che alzare i tassi e produrre una recessione aiuta a combattere un’inflazione generata da un eccesso di circolazione di potere d’acquisto, ma è invece estremamente inefficiente se le cause sono collegate all’approvvigionamento di materie prime ed energia.

Nella situazione odierna, servono politiche fiscali espansive per ridurre oneri accessori e imposte indirette su una serie di beni, e in particolare su quelli di prima necessità. La BCE dovrebbe raccomandare questa strategia ai governi, chiarendo che non farà mancare, se necessario, gli strumenti di supporto dei maggiori deficit pubblici che si verranno a creare.

Ma questo non avviene. D’altra parte la BCE, data la delirante conformazione dell’Eurozona, ha il controllo dell’inflazione come missione primaria, missione che non si concepisce debba essere coordinata con le azioni dei governi, cioè con la politica fiscale.

Viene in mente un modo di dire in voga, a quanto ne so, negli USA: “all’uomo con un martello, ogni cosa sembra un chiodo”. La BCE ha in mano il martello dei tassi, e picchia sul chiodo dell’inflazione.

In questo caso l’inflazione non è un chiodo ma una vite. La BCE questo però non lo sa, non lo concepisce e comunque non è in possesso di un cacciavite.

Quindi picchia.

 

venerdì 11 novembre 2022

Giorgetti affossa la Moneta Fiscale ma anche no

 

Il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti è tornato due volte a breve distanza sul tema dei crediti fiscali negoziabili.

La prima mercoledì 9 novembre scorso, in sede di audizione di fronte alle commissioni speciali congiunte Camera e Senato sulla nota di aggiornamento al NADEF.

Qui la citazione ha tutta l’aria di chiudere la porta alla Moneta Fiscale nel senso in cui la propone questo blog, senza peraltro chiarire in alcun modo con quali motivazioni:

“Dobbiamo evitare di dire che questi crediti fiscali devono circolare liberamente… anzi non dobbiamo proprio dirlo… è meglio per tutti… è meglio per lo Stato italiano in particolare”.

Il che è traducibile in “non si deve perché non si deve”. Già, ma per quale ragione ?

In precedenza Giorgetti aveva accennato, in modo un po' criptico, a "qualche osservazione da parte di soggetti esterni rispetto alla natura e alla definizione del credito d'imposta cedibile... mi fermo qui".

Oggi, venerdì 11 novembre, durante la conferenza stampa a cui ha partecipato a fianco del presidente del consiglio Giorgia Meloni, si è maggiormente dilungato:

“La cessione / cedibilità del credito d’imposta è una possibilità, non un diritto e quindi tutti coloro che in qualche modo d’ora in avanti decideranno di fare questi interventi hanno senz’altro la certezza di poterli detrarre dai loro redditi negli anni come peraltro è sempre avvenuto ma non hanno né possono avere la certezza – lo devo dire perché su questa cosa va fatta chiarezza – rispetto al fatto che possano in qualche modo trovare una banca o un’istituzione che accetti la possibilità di cedere (nota mia: in effetti, di acquistare) il credito d’imposta. Altrimenti avremmo creato una moneta, che non è stata creata”.

Notare: il secondo intervento non nega in alcun modo che il credito d’imposta possa essere ceduto. Afferma semplicemente che non c’è certezza, per chi lo detiene, di trovare una controparte che l’acquisti, in cambio di soldi o anche di beni o servizi.

Ma questa è SEMPRE stata una caratteristica del progetto CCF / MF fin dalle sue origini. Nessuno è obbligato ad accettare la cosiddetta Moneta Fiscale. La MF è utilizzabile per compensare imposte o tasse altrimenti dovute. E qui la controparte è la Pubblica Amministrazione. Per qualsiasi altro soggetto, vale il libero mercato: tu mi proponi la MF e io sono libero di accettarla o meno. Se l’accettazione fosse obbligatoria, avremmo creato moneta LEGALE, e questo violerebbe i trattati, perché nell’eurozona l’unica moneta legale è l’euro.

Si noti che il credito fiscale negoziabile non è da questo punto di vista diverso dai circuiti di compensazione multilaterale tipo Sardex. Gli aderenti al circuito utilizzano il Sardex per scambiarsi beni e servizi, ma solo perché hanno volontariamente deciso di aderirvi. A nessun non aderente può essere imposto (ci mancherebbe) di accettare Sardex.

Perché mai lo Stato italiano non dovrebbe poter effettuare (certo, su scala ben più rilevante) una forma di intervento analoga al Sardex, che è perfettamente legale ? tra l’altro nel capitale della società di gestione del progetto Sardex è entrata una finanziaria del Ministero dello Sviluppo Economico, quindi lo Stato medesimo.

 

mercoledì 9 novembre 2022

I giapponesi ? hanno l’aria di avere ragione loro

 

Perché lo yen si è svalutato così tanto quest’anno (ci si chiede) ? effettivamente dall’inizio del 2022 lo yen è passato da 131 a 146 contro euro, quindi ha perso un 11% abbondante, e da 115 a 145 contro dollaro – e qui siamo a un calo del 26%.

La risposta è semplice: perché un anno fa i tassi d’interesse erano vicini a zero (se non addirittura negativi) in tutto il mondo economicamente sviluppato. Poi, l’Occidente ha cominciato ad alzarli, e sta continuando, per contrastare l’inflazione, mentre i giapponesi li mantengono inchiodati vicino alla nullità.

Si parla quindi di “spirale di svalutazione” per lo yen. Intanto però i tassi in crescita non hanno impedito all’inflazione occidentale di aumentare al 10% (un po’ meno negli USA, un po’ più in Europa). In Giappone un minimo di incremento c’è stato, ma si parla del 3%.

E allora ? chi sbaglia ? c’è una spirale di svalutazione, rispetto alle valute occidentali, in Giappone ? o non è forse più appropriato chiamarla una rivalutazione immotivata delle valute occidentali, figlia di un aumento di tassi che NON è efficace per contrastare l’inflazione ?

Non è efficace perché, soprattutto in Europa, il problema non è l’eccesso di domanda, di capacità di spesa nel sistema economico, ma gli approvvigionamenti e le forniture di materie prime, soprattutto di gas, dall’inizio della crisi ucraina in poi.

Intanto i giapponesi si godono un pauroso aumento di competitività delle loro aziende. Costi che crescono poco, molto meno che in Occidente. Cambio molto più favorevole.

Sbagliano loro ? a me non pare.


domenica 6 novembre 2022

Inflazione e politiche per contrastarla

 

Nel dibattito tra sostenitori e oppositori della MMT, un tema rilevante è l’efficacia della politica fiscale per ridurre l’inflazione quando diventa troppo elevata.

Contrariamente alla versione caricaturale che qualcuno si ostina a far circolare, la MMT non ha mai affermato che i deficit fiscali possano crescere all’infinito. Sostiene invece che il limite c’è, ma non è un determinato livello numerico. È la disponibilità di risorse produttive (impianti e manodopera) inoperose, o comunque sottoutilizzate.

Se, tramite il deficit pubblico, mettiamo in circolazione capacità di spesa eccessiva rispetto alla capacità produttiva del sistema economico, non generiamo più produzione e più occupazione, ma solo eccessiva inflazione.

Ne segue che la maniera efficace per ridurre la domanda nel sistema economico, secondo la MMT, è ridurre i deficit quando c’è inflazione: ma in funzione appunto di quella, NON del fatto che il deficit sia del 3%, del 6%, del 10% o di qualsiasi soglia numerica prestabilita.

En passant, quanto sopra mostra come siano immotivate per non dire pretestuose le affermazioni di chi sostiene che "per la MMT lo spazio fiscale è infinito" o che "la MMT spinge sempre ad aumentare i deficit".

Tornando all'utilizzo della politica fiscale per ridurre l'inflazione, un’obiezione tipica degli MMT-critici è che questo può essere vero in teoria. In pratica però pacchetti di restrizione fiscale (tagli di spesa e aumenti di tasse) motivati da eccesso d’inflazione sono politicamente indigesti e quindi non vengono attuati.

Noi che in Italia abbiamo vissuto l’esperienza del 2011-3 la sappiamo purtroppo più lunga. Imporre austerità è risultato fin troppo facile. E il momento tra l’altro era COMPLETAMENTE sbagliato, perché non c’era, allora, nessun problema d’inflazione. C’era invece un problema di rifinanziamento del debito: derivante però SOLO dalla costruzione sbagliata dell’eurozona, che impedisce alla BCE di garantire incondizionatamente i debiti pubblici. E infatti solo il whatever it takes di Draghi, non certo l’austerità, ha tamponato questo problema.

Al di là dell’austerità eurozonica, però, sulla posizione degli MMT-critici si impone una riflessione. I tassi d’interesse redistribuiscono potere d’acquisto tra debitore e creditore. Se salgono, paga di più l’azienda indebitata, il debitore per il credito al consumo, chi deve rimborsare un mutuo, lo Stato per gli interessi sul debito pubblico. Ma percepisce di più il titolare del credito: la banca, il possessore di titoli di Stato, la società finanziaria.

Se il potere d’acquisto totale in circolazione non muta, non è quindi scontato che si crei un effetto di riduzione della domanda, e quindi indirettamente dei prezzi.

In realtà chi sostiene la restrizione monetaria fa affidamento anche su altri effetti, tipo la perdita di valore delle attività finanziarie (es. azioni), che però è di dubbio impatto, e la tendenza del sistema bancario a contrarre il credito quando i tassi salgono.

Vale la pena comunque di sottolineare che l’impatto restrittivo della politica monetaria non è così certo come viene presentato. E che, d’altra parte, la politica fiscale può esercitare un impatto anticiclico tramite stabilizzatori automatici che agiscono senza bisogno di approvazioni parlamentari e governative: la cassa integrazione, i sussidi di disoccupazione, l’imposta progressiva sul reddito e (se venissero adottati come propone la MMT) i programmi di lavoro garantito.

Tutto quanto sopra si applica a un contesto di inflazione da eccesso di domanda, a parità di offerta – cioè a pari capacità di produrre reddito da parte del sistema economico.

Ovviamente oggi stiamo vivendo un problema di inflazione che ha cause differenti. I problemi di approvvigionamento connessi alla ripresa post Covid e alle difficoltà di ripristinare le catene di fornitura prima; l’esplosione dei prezzi dell’energia causati dalla crisi ucraina poi.

E ho spiegato già da tempo che in questo caso la restrizione monetaria rischia di fare gravissimi danni senza risolvere nulla. La via è invece una politica fiscale espansiva non rivolta al sostegno della domanda ma all’abbattimento di imposte indirette e oneri accessori sui beni di prima necessità, unitamente a ragionevoli interventi di razionamento, in particolare sui consumi di gas.

 

venerdì 4 novembre 2022

Stampare moneta per ridurre i prezzi: qual è l’obiezione ?

 

Breve corollario al post precedente. Le banche centrali a quanto pare agiscono in base al principio che stampare moneta sia di per sé inflattivo.

Il che è smentito da anni, se non decenni, di Quantitative Easing, che non ha prodotto inflazione né in Giappone, né negli USA, né nell’Eurozona.

Non dando credito alle smentite dei fatti, il concetto che le banche centrali seguono (quantomeno nel mondo occidentale) è: stampa quando vuoi aumentare l’inflazione, stringi quando la vuoi diminuire.

Nel post precedente, dicevo, ho descritto un ampio ventaglio di azioni applicate alle categorie che stanno producendo la grande maggioranza dell’inflazione attuale: bollette e generi alimentari.

Se tagliamo IVA, accise, oneri indiretti vari, e calmieriamo i prezzi (compensando i produttori) fino a determinate quantità di consumi, otteniamo un effetto di riduzione dell’inflazione. Anche se queste azioni le attuiamo a deficit, anche se stampiamo moneta.

L’obiettivo primario delle banche centrali è la stabilità monetaria. Il controllo dei prezzi. Il mantenimento di livelli di inflazione moderati e stabili.

Allora, perché mai dovrebbero obiettare a questo tipo d’interventi ?

Una spiegazione logica, a stretto rigore di analisi macroeconomica, non riesco a trovarla.

Eppure le banche centrali (quantomeno, ripeto, nel mondo occidentale: l’Asia è un’altra storia) non le suggeriscono, non le ipotizzano, parlano solo di restrizione del credito e di aumento dei tassi e si muovono di conseguenza.

Se avete spiegazioni per questo comportamento, sono felice di ascoltarle.