sabato 19 settembre 2020

San Marino: dubbi e chiarimenti

 

Trovate qui un breve resoconto dell’incontro tenuto a San Marino, lo scorso giovedì 17 settembre, in merito al progetto di legge “Certificati di Compensazione Fiscali Sammarinesi”, altrimenti detti “Titani”. 

In questo post ritengo opportuno sviluppare in modo più approfondito la risposta a un’obiezione specifica che è stato sollevata durante l’incontro. Risposta che ho già fornito in sede di discussione, ma il tema è tecnico e ci tengo a chiarirlo nel modo più preciso possibile (cosa che in un dibattito non è facilissima). 

L’obiezione si collega a un tema menzionato anche nell’articolo: un progetto CCF non rischia di risultare inefficace se applicato a un territorio e a un’economia di piccole dimensioni, come quelli sammarinesi ?

Nello specifico: un commerciante presente al dibattito ha formulato la domanda che segue. Io compro prodotti che a San Marino non si producono – li compro in Italia, pagandoli in euro – e li vendo all’interno della Repubblica del Titano.

Se accetto di essere pagato in CCFS, non rischio di trovarmi titoli che non so come utilizzare, e di non essere invece in grado di pagare gli acquisti che devo effettuare in euro ?

Risposta.

Il PIL di San Marino è pari a circa 1.400 milioni di euro, e il gettito fiscale annuo a 400.

Dei 1.400 milioni di PIL, semplificando possiamo ipotizzare che 200 siano retribuzioni dei lavoratori pubblici, 600 redditi di attività commerciali (inclusi gli stipendi dei loro dipendenti), e 600 redditi di attività produttive (anche qui, inclusi gli stipendi dei dipendenti).

Immaginiamo di emettere CCFS per un importo pari al 10% del gettito fiscale, quindi per 40 milioni.

Che cosa ne consegue ? il settore commerciale avrebbe una situazione di questo tipo:


Settore commerciale

Vendite 2.000

Acquisti 1.400

Costi di lavoro 180

Margine 420

Tasse 140

Reddito del settore commerciale 280

Contributo al PIL (margine + costi di lavoro) 600

 

Nel caso limite in cui tutti i CCFS emessi (40, come detto) vengano utilizzati per comprare beni e servizi presso il settore commerciale, il settore commerciale avrà appunto 40 di incassi sotto forma di CCFS, a fronte di 140 di tasse da pagare che potranno indifferentemente essere onorate in euro o in CCFS. 

Il settore produttivo avrà una situazione simile, con la differenza che tutti i ricavi e tutti i costi saranno pagati in euro, perché si sta facendo l’ipotesi-limite che tutti i CCFS vengano utilizzati presso il settore commerciale:


Settore produttivo

Vendite 2.000

Acquisti 1.400

Costi di lavoro 180

Margine 420

Tasse 140

Reddito del settore produttivo 280

Contributo al PIL (margine + costi di lavoro) 600

 

Da tutto questo deriva che: 

Il settore commerciale incassa 40 CCFS e ha tasse da pagare per 140, quindi al suo interno ha spazio in abbondanza per utilizzare tutti i CCFS.

Questa è la situazione complessiva: alcuni esercizi commerciali potrebbero avere invece più CCFS che tasse da pagare. Ma allora ce ne saranno altri interessati a comprare CCFS con un piccolo sconto, per pagare le loro tasse con quelli invece che con gli euro, conseguendo un beneficio sicuro (pari allo sconto).

A maggior ragione sarà interessato il settore produttivo, che ha tasse da pagare e non incassa nessun CCFS.

E saranno inoltre interessati tutti i dipendenti sia del settore commerciale, sia del settore produttivo, sia anche del settore pubblico – perché tutti devono pagare tasse.

Tutto ciò che serve è un meccanismo di intermediazione che consenta a chi detiene CCFS in eccesso, di venderli a chi è interessato a risparmiare sul pagamento delle sue tasse.

Ma dato che l’idea è di emettere CCFS per un importo pari al 3% del PIL e al 10% del gettito fiscale, e che solo una parte – probabilmente minore – dei CCFS emessi ha bisogno di essere intermediata, il problema (che tale non è) risulta gestibile con grande facilità.

Va notato che non si sta neanche ipotizzando che le aziende – commerciali o produttive che siano – propongano e ottengano dai loro fornitori e dai loro dipendenti di essere pagati in CCFS. Cosa che in qualche misura, più o meno accentuata si vedrà, è invece senz’altro plausibile.

Un’altra cosa da sottolineare: non è nemmeno necessario che le banche siano compratori finali dei CCFS, come alcuni partecipanti al dibattito dell’altra sera hanno ipotizzato. Le banche sammarinesi potrebbero avere scarso interesse ad essere detentori di CCFS perché hanno grossi crediti d’imposta dovuti alle perdite realizzate negli anni scorsi e quindi hanno poco spazio di utilizzo. 

Ma la funzione delle banche è di essere un tramite, generando commissioni d’intermediazione. Non c’è alcun bisogno che siano uno dei settori utilizzatori: aziende e  cittadini hanno già spazi di utilizzo enormemente superiori rispetto ai CCFS da emettere.

2 commenti:

  1. 'Tutto ciò che serve è un meccanismo di intermediazione che consenta a chi detiene CCFS in eccesso, di venderli a chi è interessato a risparmiare sul pagamento delle sue tasse.'
    Quel meccanismo può essere un Blockchain wallet Exchange.

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    1. Utilissimo per evitare che le banche lucrino troppo sulle commissioni (o se decidono di non cooperare...).

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