mercoledì 26 dicembre 2018

Debito: la soluzione che non si vuole vedere


Un articolo uscito pochi giorni fa (di Satyajit Das, ex banchiere ed economista indiano emigrato in Australia) è un esempio tra i tanti di come l’establishment finanziario internazionale vede, generalmente, il problema del debito.

Già il titolo è indicativo: “The World Will Pay for Not Dealing With Debt”. Il contenuto si riassume grosso modo come segue: la crisi finanziaria del 2007-2009 è stata una conseguenza dell’”eccesso di debito”. E le soluzioni messe in atto successivamente hanno solo posposto, non risolto il problema.

Anzi, i tassi di interesse a zero, il Quantitative Easing, la corsa di tanti paesi a indebolire la propria moneta hanno peggiorato la situazione, inducendo a coprire con nuovo debito i problemi nati dal vecchio, e spingendo a impiegare le risorse finanziarie con poca o nessuna considerazione per le ricadute in termini di crescita e di produttività.

Prima o poi tutto questo darà luogo a una catena di deleveraging tramite default o ristrutturazioni, con conseguenze inquietanti per l’economia reale.

Tra tutte queste considerazioni, spicca per la sua assenza quella che a mio modesto avviso dovrebbe essere la più semplice e ovvia. Se c’è “troppo debito” – non è chiaro “troppo” rispetto a quali parametri, ma comunque se ce n’è “molto” in circolazione – ma nello stesso tempo l’unico problema che il mondo in questi anni non ha avuto è l’inflazione, qual è il motivo tecnico o teorico per cui nella misura necessaria questo debito non possa essere sostituito da qualcosa che debito non è – la moneta ?

L’articolo non considera e non cita minimamente questa eventualità. Sembra essere un dogma: si può fare e si può prendere in considerazione di tutto, ma immettere moneta per sostenere i redditi (specialmente a favore delle classi sociali disagiate), per ridurre le tasse, per rilanciare gli investimenti pubblici – no, tutto questo no.

Invece dovrebbe essere la strada ovvia e naturale, specialmente se le ipotesi alternative comportano rischi così drammatici come quelli descritti nell’articolo.

Eppure di Helicopter Money aveva ampiamente parlato, decine d’anni fa, un liberista puro del calibro di Milton Friedman (non solo economisti ultrapostkeynesiani, quindi).

Eppure anche dove gli assetti istituzionali hanno portato al massimo grado il principio dell’indipendenza della Banca Centrale rispetto ai governi, sono concepibili e attuabili meccanismi che raggiungono gli stessi risultati – come la Moneta Fiscale, ben nota a chi segue questo blog.

Se il debito spaventa perché ne esiste “molto” rispetto a redditi e produzione, se l’inflazione non è il problema (anzi lo è perché, in particolare nell’Eurozona, è troppo bassa, non viceversa), se molti paesi (tra cui in primo luogo l'Italia) hanno un'enorme quantità di disoccupazione e di sottoccupazione, le strade da percorrere sono molto chiare.

Rilancio dell’economia con un’azione governativa basata su strumenti monetari e non su emissione di debito. E ripristino di migliori livelli di produzione e soprattutto di occupazione, con tutti i benefici che ne seguono non solo in termini di stabilità finanziaria, ma anche e soprattutto di equilibrio e di coesione sociale.

Problemi, questi ultimi, che dovrebbero essere ben chiari nella testa dei policymakers, che invece dedicano molto tempo a interrogarsi sulla “crescente ondata populista” e molto meno a identificarne e a rimuoverne le cause – anche quando sono ovvie ed evidenti.

L’establishment finanziario (che influenza fortemente quello politico) tutto ciò si ostina, salvo eccezioni purtroppo minoritarie, a non volerlo vedere e capire. Il problema è questo, non certo la mancanza di soluzioni tecniche.


sabato 22 dicembre 2018

I curiosi tentativi di smontare la Moneta Fiscale sul piano giuridico


Sono curiose le dissertazioni di alcuni commentatori secondo i quali il progetto Moneta Fiscale (MF / CCF, come lo chiamo abitualmente) non sarebbe giuridicamente sostenibile in quanto violerebbe i trattati e regolamenti che governano l’Eurosistema.

Un esempio molto recente è questo. Ma le violazioni non sussistono, come in sintesi è illustrato, per esempio, alle pagine 6, 7 e 9 di questa presentazione.

L’aspetto che mi spinge a definire “curiosa” la posizione di chi argomenta il contrario però è un altro. Qual è l’alternativa proposta ? il breakup, la rottura secca dell’euro.

Detto in altri termini: siccome abbiamo il sospetto che il progetto MF / CCF non sia conforme ai trattati… andiamo alla rottura, che CERTAMENTE NON LO E’.

Non so a voi, ma a me la contraddizione appare evidente.

L’articolo di cui al link elenca poi una serie di possibilità tramite cui i “poteri forti”, variamente definiti, potrebbero ostacolare il progetto MF / CCF.

Ma queste non sono analisi giuridiche, sono valutazioni dei rapporti di forza. Possono rivelarsi corrette o meno, l’unico modo di averne certezza è avviare il progetto. Di sicuro, però, con i temi giuridici non hanno nulla a che vedere.

Mentre è sicuro che i temi giuridici sarebbero un grosso impedimento quanto allo scenario di breakup. Che per di più (cosa a mio giudizio senz’altro più importante) è molto, ma molto più complesso sul piano operativo.

In sintesi: tra una strada (relativamente più) semplice e una (molto più) complicata, dove la più complicata è peraltro quella SENZ’ALTRO non conforme ai trattati, a me pare che non ci sia da discutere su quale sia la strada più plausibile: la prima, quindi il progetto MF / CCF.

Certo, serve un governo con idee chiare, determinazione e forte volontà politica. Ma se questi presupposti non esistessero per il progetto MF / CCF, non è minimamente pensabile che sussistano per il breakup.

Mi pare che la scelta tra la due alternative sia chiara, e la valutazione giuridica del problema, lungi dallo smentirlo, lo conferma.


mercoledì 19 dicembre 2018

Mario Draghi che scende in politica ?


L’ipotesi di Mario Draghi presidente del consiglio italiano al termine del suo mandato in BCE – termine ormai non molto distante: la scadenza è novembre 2019 – riaffiora con regolarità.

Quanto è plausibile, questa ipotesi ? servirebbe, in primo luogo, una maggioranza parlamentare disposta a votargli la fiducia. Che non si vede, data l’attuale composizione del parlamento, e ancor meno in caso di ipotetiche elezioni anticipate: almeno stando ai sondaggi che continuano ad attribuire a Lega + M5S il 60% dei suffragi.

A prescindere dalle maggioranze parlamentari, comunque, che possono sempre evolversi (magari anche in modo oggi inaspettato), l’ipotesi di Mario Draghi premier mi lascia perplesso per un’altra ragione.

Draghi gode di un’altissima reputazione presso l’establishment, italiano e ancora di più internazionale. E’ l’uomo che ha tenuto insieme l’euro quando stava per rompersi, che ha introdotto il QE contro le resistenze tedesche. Certo, non ha risolto l’eurocrisi. Ma è un eroe per chi voleva e vuole la sopravvivenza del sistema attuale.

Ora, vi immaginate Draghi nei panni di un Mario Monti 2, o peggio ancora di un Enrico Letta 2 ? intento a eseguire pedissequamente le istruzioni che arrivano da Bruxelles ?

Io no, anche perché significherebbe essere al governo di un paese in perenne depressione economica e a costante rischio di tracollo finanziario. Monti e Letta hanno fatto quello che gli veniva richiesto (dai loro mandanti esterni) ma non ne sono certo usciti con un’immagine vincente.

A Draghi interessa seguirli su questa strada ? io non credo.

Altro discorso è un Draghi che arriva, risolve i problemi dell’economia italiana e attua una forte azione di rilancio – senza rompere l’euro.

E la strada per ottenere tutto questo esiste. E’ il progetto CCF / Moneta Fiscale. A favore del quale Draghi non spenderà mai una parola… fino al momento in cui gli facesse gioco metterlo in atto.

Oh, se mai tutto questo avverrà, il progetto cambierà senz’altro nome, e con ogni probabilità anche vari dettagli operativi. Perchè dovrà essere il “progetto Draghi”. Il che comunque è possibile, senza che venga meno la sostanza.

Prendetelo come un esercizio di totale fantaeconomia politica. Le probabilità di questo scenario non provo neanche a stimarle. Una su cento, una su un milione, meno ancora ?

Però rifletteteci. Magari è uno scenario meno assurdo di altri.


domenica 16 dicembre 2018

Una soddisfazione me la voglio togliere


Sarà una soddisfazione da poco. Sarà “una gloria da stronzi” (cit. Francesco Guccini, “L’avvelenata”).

Però mi tolgo il gusto di farlo notare. Per anni un discreto numero di eurocritici mi hanno dato del “criptoeurista” perché non mi allineavo alla parola d’ordine “breakup o niente, è l’unica strada”.

Al punto da essere escluso dalla partecipazione ad alcuni convegni (niente che avrebbe cambiato la vita di nessuno, beninteso…) appunto perché proponevo una via “morbida” e non dirompente.

Adesso i “duri e puri” stanno assistendo (anzi alcuni di loro che hanno posizioni parlamentari o governative ne sono parte) al balletto di decimali sul deficit / PIL 2019, e nel frattempo l’eventualità di un breakup viene vigorosamente negata.

Il pregio della coerenza penso che mi debba essere riconosciuto. Io ho proposto fin dal 2012 il progetto CCF e non il breakup non perché quest’ultimo sia impossibile (non lo è).

E neanche perché l’opinione pubblica sarebbe contraria. Non ho idea se effettivamente, in maggioranza, lo sarebbe o no: ma comunque, i cambiamenti di regime monetario non avvengono a causa di quello che pensa la maggioranza della popolazione. Non si è fatto un referendum per decidere la rottura dello SME nel 1992. E i sondaggi di opinione tra la popolazione argentina davano un 70% a favore di mantenere la convertibilidad, il cambio 1:1 peso – dollaro.

E del resto, immaginate di fermare una persona per la strada chiedendogli “tu hai pesos in banca, e valgono come dollari. Ti va bene se questo non è più vero, con la conseguenza che i tuoi pesos perderanno due terzi del loro valore ?” (del loro valore esterno, quantomeno). E' poi così strano che molti rispondano no ?

I cambiamenti di regime monetario avvengono perché le circostanze li rendono inevitabili. La convertibilidad finì perché l’Argentina non aveva più dollari per convertire i pesos. Lo SME si ruppe perché l’Italia (ma anche il Regno Unito, la Svezia e la Spagna) terminarono le riserve valutarie disponibili per sostenere il cambio.

L’Eurosistema è pesantemente, enormemente disfunzionale. Ma un meccanismo che faccia scattare un evento tipo SME 1992 o Argentina 2001 non esiste.

Mentre rimangono tutti i problemi tecnici e legali connessi alla ridenominazione dei contratti in essere, e alle turbolenze di mercato nell’imminenza della possibile rottura.

Non sono problemi insormontabili, ma rendono veramente difficile percorrere la strada del breakup in presenza di una volontà politica che oggi (ma penso nemmeno in futuro) non è coesa e unanime al 100%. Su temi come questo, in effetti, non lo è mai.

E allora, dicevo, lasciatemi la mia irrilevante soddisfazione. I duri e puri oggi dicono tutt’altro rispetto a qualche anno fa.

Io dico la stessa identica cosa. CCF / Moneta Fiscale.


venerdì 14 dicembre 2018

Quello che preoccupa è l'assenza di strategia


Almeno, sulla base di quanto si vede.

Mi riferisco al processo di definizione della legge di bilancio 2018 e alle interazioni con la commissione UE.

Il problema va al di là di un deficit / PIL al 2,4% o al 2,04% o a chissà quale numero.

Il problema è che il tira e molla sui decimali avviene su livelli che non hanno nulla a che vedere con quanto servirebbe per dare il necessario colpo di reni all’economia italiana, specialmente in un contesto di rallentamento internazionale (e, soprattutto, europeo).

I partiti di governo e parecchi loro economisti di riferimento hanno creato grande interesse mediatico, in passato, criticando (con motivi fondatissimi, beninteso) l’euro e i meccanismi di funzionamento dell’Eurosistema.

Tanto è vero che, personalmente, mi sono spesso sentito dare del “criptoeurista” perché proponevo una strada diversa, sulla base di una semplice considerazione tecnica (molto più e molto prima che politica): rompere l’euro è, semplicemente, molto complicato.

Non impossibile, beninteso: le cose impossibili sono altre (buttarsi dalla finestra dall’ottavo piano e volare agitando le braccia, tipo). Ma veramente molto complesso.

Se rompere l’euro è tecnicamente così difficile, se la ridenominazione di attivi e passivi è un processo irto di potenziali problemi sul piano tecnico e legale, c’è un’altra possibilità da prendere seriamente in considerazione: il progetto Moneta Fiscale / CCF.

Sono di parte perché è la mia proposta da, ormai, più di sei anni: ma continuo a non vedere alternative percorribili – in pratica se non in teoria.

Era la strada da percorrere fin dall’inizio. Ma comunque è una via tuttora aperta. Raggiungiamo un qualche tipo d’accordo sulle soglie di deficit, e utilizziamo in aggiunta i CCF nella quantità necessaria a invertire decisamente il trend dell’economia italiana.

Con poco rumore, poco battage mediatico, ma con fatti concreti.


martedì 11 dicembre 2018

Il disonore e la guerra


Andunedhel scrive oggi su Twitter: “Io mi domando cosa possa pensare lo spirito di Churchill nel vedere il primo ministro di Sua Maestà andare a Berlino, e poi a Bruxelles, con il cappellino in mano come un cazzabubbolo qualsiasi. Poi dice che la Brexit non ha senso”.

In realtà, tuttavia, quanto sta accadendo non è nulla di nuovo, men che meno per Churchill: che vide il suo predecessore Neville Chamberlain fare - mutatis mutandis - qualcosa di molto simile quando firmò il patto di Monaco.

Il commento del buon Winston ai tempi rimase celebre: “Avevano da scegliere tra il disonore e la guerra. Hanno scelto il disonore, e avranno la guerra”.

Perlomeno Chamberlain ai tempi era motivato dalla sincera volontà di evitare un conflitto mondiale. Era un illuso, ma almeno non si può dubitare (almeno, io non ne vedo il motivo) della sincerità delle sue intenzioni.

Theresa May invece mi suscita più di un dubbio. Quali argomentazioni, e provenienti da chi, hanno potuto indurla a negoziare un accordo privo di qualsiasi senso per il suo paese – e che, prevedibilmente, il parlamento britannico ha rigettato ?

Qui non si tratta di evitare una guerra mondiale, ma semplicemente l’hard Brexit. Che a questo punto mi sembra uno scenario con un significativo grado di probabilità.

Ma non preoccupatevi (più di tanto). Non è una guerra.


domenica 9 dicembre 2018

Ancora sulle pensioni, in sintesi


Riprendo qui e metto in evidenza il commento di un lettore al precedente articolo, per inquadrare il nocciolo della questione: gli effetti espansivi degli interventi sulle pensioni (e sui trasferimenti in genere).

“Credo derivi dalla solita confusione tra PIL effettivo e PIL potenziale, per cui se paghi la pensione al pensionato o il reddito di cittadinanza a uno che sta a casa non produci niente. Non si rendono conto che il PIL effettivo è ben al di sotto del PIL potenziale e che l’importante è che girino più soldi, detto brutalmente”.

La chiave è proprio questa. Ed è un’assurdità sostenere che non esista un fortissimo sottoutilizzo di risorse produttive nell’ambito del sistema economico. Sono del tutto cervellotici i tentativi di UE, FMI, OCSE di negare o minimizzare il fenomeno: basta ragionare brevissimamente sui dati.

Altrettanto assurdo è affermare che i trasferimenti (non solo le pensioni ma appunto anche, per esempio, il reddito di cittadinanza) verrebbe “risparmiato e non speso” nel momento in cui la propensione al consumo della popolazione italiana è vicina al 100%, com’è tipico delle fasi di depressione economica.

Esiste naturalmente una gerarchia di efficacia degli interventi di politica economica, ed è possibile e anche plausibile sostenere che il mix di azioni sarebbe ancora più proficuo se maggiormente rivolto a investimenti, spesa diretta o riduzione del cuneo fiscale a vantaggio delle imprese. Se ne era parlato qui.

Ma questo è un tema che riguarda la composizione degli interventi, non il principio generale che il miglioramento dell’economia italiana richiede un’azione espansiva su domanda e capacità di spesa.


venerdì 7 dicembre 2018

Pensioni e dintorni


Tra i provvedimenti inclusi nella manovra economica 2019, uno dei più rilevanti – e anche dei più discussi – è la modifica del sistema pensionistico con l’introduzione di “quota 100” (la possibilità, in altri termini, di andare in pensione se la somma dell’età e degli anni di contributi pagati da parte del lavoratore è almeno pari a 100).

Al di là dei dettagli, il dibattito è su una questione di base, in quanto molti commentatori sostengono che l’anticipo dell’età pensionabile non ha effetti espansivi per l’economia, non produrrà maggiore occupazione e provocherà, anzi, conseguenze negative sui conti dell’INPS.

Come in altre occasioni, mi pare che ricondurre il tema ai suoi effetti macroeconomici essenziali sia il modo migliore per chiarirlo.

Un incremento dei benefici pensionistici non compensato da altre azioni di segno opposto produce l’immissione di maggior potere d’acquisto nell’economia.

L’economia italiana soffre di un'enorme carenza di potere d'acquisto rispetto alla capacità produttiva del sistema: un’azione che mette in circolazione più potere d’acquisto va quindi (a parità di altre condizioni) nella direzione giusta.

Se la domanda aumenta, le aziende avranno bisogno di accrescere la produzione, e quindi di assumere, in proporzione anche superiore al numero di dipendenti che lasceranno il posto di lavoro per accedere alla pensione.

Al contrario, se si pretende di effettuare manovre “a saldo zero”, senza che si crei un impulso fiscale netto positivo – se a fronte di maggiori benefici pensionistici si tagliano o si tassano altre cose, in altri termini – l’immissione netta di potere d’acquisto non si verifica.

A quel punto, occorre prendere in esame gli impatti effettivi dei singoli provvedimenti. I maggiori benefici pensionistici sono un trasferimento, che si traduce in maggiore domanda al netto della quota che viene risparmiata e non spesa, nonché (se non si interviene sulla competitività delle aziende, per esempio con azioni sul cuneo fiscale) del peggioramento dei saldi commerciali esteri.

Questo però non significa che i trasferimenti non abbiano effetto espansivo sulla domanda, come a volte si legge. Significa che un’azione di incremento degli investimenti pubblici (mettendo al lavoro risorse produttive al momento non occupate o sottoccupate) o un potenziamento del pubblico impiego (e ci sono molti settori di attività dove se ne sente il bisogno: sanità, istruzione, tutela del territorio e molti altri) hanno probabilmente un impatto (un effetto espansivo) maggiore, perché si traducono direttamente in maggior domanda e in maggior PIL, senza l’erosione dovuta alla quota risparmiata e non spesa.

Va anche detto che, in un contesto economico depresso come quello italiano di oggi, la propensione marginale a risparmiare è bassa, quindi il moltiplicatore dei trasferimenti è sì, con ogni probabilità, inferiore a quello della spesa diretta, ma solo in misura modesta.

In ogni caso, si sta parlando qui del mix più appropriato di interventi da effettuare: non è in dubbio che - in un contesto di domanda depressa - maggiori pensioni abbiano di per sé un effetto espansivo sulla domanda.

E come detto, se c’è maggior domanda, le aziende dovranno assumere, in misura anche superiore al numero di dipendenti che lasciano il posto di lavoro per pensionarsi. Il che non crea problemi all’equilibrio del sistema pensionistico: anzi, buoni livelli di occupazione sono l’unico sistema per garantirlo.

mercoledì 5 dicembre 2018

Non sono un politico - ma...


A volte me lo rimproverano. Non sono un politico, sono un tecnico dell’economia e della finanza. Ragionare in termini politici non è la cosa che mi riesce più spontanea. E gestire la complessa situazione dell’Italia nell’ambito dell’Eurozona è sicuramente un tema che richiede forti doti di comunicazione, persuasione, tattica negoziale. Doti politiche, in altri termini.

Però qualcuno mi dovrebbe spiegare perché l’Italia è partita impostando una legge di bilancio con una previsione di deficit / PIL al 2,4% e nello stesso tempo riconoscendo che gli eurorequisiti ne risultavano non rispettati.

Naturalmente venivano anche addotte argomentazioni logiche, solide, fondate, condivisibili in base alle quali questo mancato rispetto era necessario, per dare all’Italia possibilità di recupero dall’attuale, del tutto insoddisfacente, contesto economico, nonché per condurre il debito / PIL su una traiettoria di riduzione. Perché la riduzione si ottiene solo riportando l’economia italiana ad esprimere il suo potenziale produttivo: incrementando il denominatore, in altri termini.

Problema: era totalmente noto, in partenza, che la UE su questo argomento avrebbe avuto una differente opinione.

Non era più coerente invece approfondire il progetto CCF / Moneta Fiscale, comprendere che non viola nessun trattato e nessun regolamento, e utilizzare quello per attuare le azioni espansive di cui l’economia italiana ha bisogno ?

E impostare fin da subito una legge di bilancio dichiarando che era totalmente in regola con gli eurorequisiti, in quanto l’immissione del necessario potere d’acquisto nell’economia italiana è garantita via CCF / MF ?

La UE sarebbe comunque stata in disaccordo ? sul pieno dei trattati e dei regolamenti, il disaccordo è infondato. E comunque non c’era nulla da guadagnare affermando “emettiamo più debito del consentito ma ci serve”. Molto, ma molto meglio: otteniamo quanto ci serve senza emettere maggior debito.

Dove per debito si intende il Maastricht Debt, quello da rimborsare in euro, quello che ti rende dipendente dai mercati finanziari. Dipendenza da cui, invece, i CCF ti svincolano.

Si poteva fare, e non si è fatto. Approccio politico sbagliato ? credo, invece, mancanza di conoscenza e di approfondimento dello strumento tecnico.

Adesso bisogna correggere la rotta. Era meglio farlo prima, ma comunque si può. E si deve.


sabato 1 dicembre 2018

Convegno Associazione Moneta Positiva: il video

Tre ore filate, ma ne vale la pena. E' il convegno tenuto a Roma lo scorso 23 novembre.

Ecco qui il video.. Il mio intervento è giusto a metà, parte da 1 ora 28 minuti circa, fino a 1 ora 49 minuti.

mercoledì 28 novembre 2018

Sterili atteggiamenti di sfida


Mi era sfuggito un commento apparso pochi giorni fa (22.11.2018) nel sito Eurointelligence.com, gestito da Wolfgang Munchau (editorialista del Financial Times e, di tanto in tanto, anche del Corriere della Sera).

Non so se l’autore del commento sia Munchau stesso (un europeista critico, favorevole al processo di integrazione ma con forti dubbi sul modo in cui lo si sta ponendo – o non ponendo - in atto). Alcuni collaboratori del sito (gli articoli non sono firmati) hanno posizioni maggiormente pro-UE rispetto a Munchau.

Ad ogni modo, un passaggio su cui riflettere è il seguente.

“Abbiamo segnalato, in passato, che esistono strategie intelligenti per sfidare la UE e le sue troppo rigide regole fiscali. Può essere fatto alla maniera francese, oppure è possibile espandere la spesa mediante vouchers che agiscono come una moneta parallela. Quello che non si può fare è ignorare le regole, e non fare altro. Un atteggiamento di sfida puro e semplice non funziona”.

La “maniera francese”, per intenderci (ma si potrebbe chiamarla, ancora più appropriatamente, “maniera spagnola”) è presentare una previsione che rispetta le regole, sapendo in partenza che a consuntivo si sforerà. Rispetto formale e violazione sostanziale, in altri termini.

I vouchers citati come alternativa possono invece prendere la forma dei Certificati di Credito Fiscale, ben noti ai lettori di questo blog: strumenti utilizzabili per effettuare un’azione espansiva sull’economia, senza incrementare il Maastricht Debt.

Effettivamente, il governo italiano per ora non ha fatto né l’una né l’altra cosa. Ha presentato una legge di bilancio che comporta una modesta (e comunque insufficiente) azione espansiva, affermando che violava le regole ma che la violazione era necessaria e giustificata.

Quest’ultima affermazione è corretta, ma la sua correttezza non è, di per sé, d’aiuto. Il clamore mediatico e le turbolenze di mercato che si sono generate hanno, sicuramente, complicato la situazione.

Munchau (o chi per esso) ha ragione quando afferma che l’atteggiamento di sfida dal punto di vista tattico non paga (magari invece porta consensi elettorali, ma da un certo momento in poi conteranno i risultati, non le sensazioni del momento).

Naturalmente la via che preferisco è quella dei vouchers, altrimenti detto dei CCF, che tra l’altro evita le ipocrisie dell’alternativa “franco-spagnola”. E, soprattutto, consente di avviare la ripresa dell’economia riducendo – in contemporanea – la dipendenza dai mercati finanziari.

Era meglio partire fin da subito così: toni sfumati, e lanciare i CCF.

E’ andata diversamente, e il passato non si può cambiare. Da qui in poi, tuttavia, è fondamentale correggere il tiro.

Lo spiegavo qui, e ne sono sempre più convinto.


domenica 25 novembre 2018

Una vecchia slide


L’avevo predisposta per un convegno tenuto a inizio 2014, e in forma molto disadorna (come tutte le mie slides: decisamente la grafica non è il mio forte…) diceva semplicemente quanto segue


L’Italia non ha MAI perso la sua sovranità monetaria
In regime “fiat”, la moneta sovrana è un credito fiscale.
Uno stato che ha sovranità fiscale ha anche sovranità monetaria.
L’Italia oggi non la sta utilizzando, ma può riprendere quando vuole.


Né più né meno di questo.

Quando vengono capite, queste poche righe sono la chiave che porta alla soluzione dei nostri guai odierni.

L’eurosistema è disfunzionale, e il debito pubblico è (potenzialmente) un grosso guaio se è denominato (e va quindi ripagato e rifinanziato) in una moneta più forte della tua, e che comunque tu non emetti e non gestisci.

Ma un titolo emesso dallo Stato, e da quest'ultimo accettato per adempiere obbligazioni fiscali, è un equivalente della moneta. E’ una riserva di valore e può essere utilizzato come intermediario di scambio. Non è debito perché non c’è impegno di rimborso in cash.

E non essendoci impegno di rimborso, nessuno potrà mai forzare lo Stato emittente al default. Potrà al massimo crearsi un problema di inflazione, di svilimento del titolo fiscale, se ne emetto in quantità eccessiva. Come succederebbe peraltro con qualsiasi forma di moneta. E fermo restando che l'inflazione oggi in Italia è un problema in quanto è troppo bassa, non viceversa.

La via per risolvere la crisi economica italiana, nonché per liberare l’eurosistema dalle sue disfunzioni, è questa. Non il dibattito sui decimali di deficit. Non il breakup dell’euro, che è, semplicemente, troppo complesso e controverso.

E’ un’idea innovativa (ma fino a un certo punto, i precedenti storici non mancano). Attuarla richiede coerenza, competenza e determinazione.

Ma è di gran lunga più semplice, più fattibile e più efficace, di qualsiasi altra proposta.

Il mio punto di vista è naturalmente influenzato dall’aver dedicato al progetto CCF / Moneta Fiscale una frazione significativa del mio tempo, ormai da oltre sei anni.

Non l’ho fatto perché cercavo visibilità, non l’ho fatto perché immaginavo di guadagnarci qualcosa, non l’ho fatto con l’idea di diventare ministro.

L’ho fatto perché mi pareva doveroso, da cittadino italiano, farlo.

E continuo.


giovedì 22 novembre 2018

Finto europeismo e vero nazionalismo


Una riflessione di Biagio Bossone, che condivido in pieno:

“Al finto europeismo di questi decenni, non si sostituisce un europeismo autentico (non ce n’è traccia) ma un nazionalismo meno ipocrita, nell’ambito del quale il tuo alto debito mette a rischio anche me, dunque non appoggio la tua politica di deficit.

Altra cosa sarebbe una vera unione in cui i meccanismi (sovranazionali) di aggiustamento, anti-ciclici e simmetrici (alla Keynes) aiuterebbero i governi più indebitati a rientrare, evitando i danni e gli effetti prociclici dell’austerità.

Naturalmente, altro che unione ! dopo gli evidenti fallimenti di un’architettura sbagliata, e che ha funzionato solo a beneficio del paese che se le è costruita su propria misura, adesso si marcia nella direzione opposta.

Il progetto CCF / Moneta Fiscale permette di mantenere lo status quo (chiamiamola “finta unione” per evitare ipocrisie) consentendo a chi lo adotta una via autonoma alla crescita.

E’ un progetto in grado di creare una solida stampella a un sistema altrimenti perennemente zoppo. Sempre, si capisce, che non se ne abusi”.

Ma questo – aggiungo - vale per qualsiasi politica di rilancio della domanda, e significa semplicemente che occorre, oltre all’identificazione dello strumento da adottare, la definizione di un programma ben dimensionato e correttamente strutturato.


domenica 18 novembre 2018

Non ha senso aspettare le europee


Nel corso dei nostri frequenti contatti con forze politiche, parlamentari ed esponenti di governo, ci siamo spesso sentiti dire che il progetto CCF / MF va avviato, anzi lo sarà, ma probabilmente “nell’imminenza o in corrispondenza o subito dopo” le elezioni europee.

Ora, questo punto ha bisogno di essere chiarito.

Le elezioni europee, per quanto riguarda i temi dell’economia italiana, non hanno, un buona sostanza, nessun rilievo.

Le elezioni europee certificheranno una forte avanzata degli schieramenti politici euroscettici. Ma la nuova commissione UE sarà comunque presieduta da un esponente scelto da un’alleanza di forze “variamente europeiste”: PPE, verdi, ALDE, socialisti.

Gli euroscettici avanzeranno, certamente. Ma non abbastanza per essere maggioritari. E per di più sono divisi tra euroscettici di destra (Lega, Le Pen, AfD, Wilders nei Paesi Bassi, Strache in Austria, blocco Visegrad, nordeuropei) e di sinistra (Melenchon, DIEM25 di Varoufakis, sinistre portoghesi, Podemos, Syriza – se ancora lo vogliamo definire euroscettico…). A parte il M5S, non inquadrabile nella dicotomia “destra o sinistra”.

L’euroscetticismo critica la UE per ragioni diverse. Alcuni contestano l’austerità, altri le politiche migratorie. Qualcuno, ma in effetti non tantissimi, entrambe.

Quanto ai due principali paesi UE, oggi esprimono una leadership fortemente indebolita. Ma anche se un pessimo risultato alle europee inducesse Angela Merkel alle dimissioni, il nuovo cancelliere non modificherebbe certo l’atteggiamento tedesco nei confronti della governance economica dell’Eurozona.

E non è immaginabile – date le caratteristiche del sistema politico francese – che cada Macron, anche se ottenesse un pessimo risultato alle europee e venisse scavalcato dalla La Pen quanto a voti ottenuti.

“Aspettare le europee” per lanciare i CCF significa non aver capito due cose, peraltro tra loro strettamente connesse.

In primo luogo, i CCF possono essere introdotti dall’Italia perché non violano nessun trattato e nessuna regolamentazione dell’Eurozona, e non richiedono quindi di essere discussi né tantomeno autorizzati.

E in ogni caso, se ci preoccupiamo dell’atteggiamento di singoli paesi o della UE nel suo complesso, questo atteggiamento resterà esattamente lo stesso di oggi, anche dopo le elezioni del maggio prossimo.

Il progetto CCF può essere lanciato, in qualsiasi momento. Serve volontà politica, chiarezza di idee, compattezza da parte del governo italiano. La posizione dei partner UE prima e dopo le elezioni non ha rilievo ai sensi di trattati e regolamenti, e in ogni caso è un’invariante: non è destinata a mutare in alcun modo significativo – non per effetto delle elezioni, quanto meno.

L’ho detto e lo ripeto: smorzare i toni, e lanciare i CCF. Il prima possibile.


venerdì 16 novembre 2018

Smorzare i toni, e lanciare i CCF


La critica all’Eurosistema è giusta e doverosa, ma va bene a livello accademico, va bene a livello di campagna elettorale, può essere, in generale, efficace a fini di marketing politico.

Ma gli obiettivi dell’Italia e gli obiettivi della UE (quelli dichiarati, quanto meno) in realtà non sono in conflitto.

E si riducono in prima e in ultima analisi a: rilanciare la nostra economia, riducendo, nello stesso tempo, il rapporto tra Maastricht Debt e PIL.

Emettere Certificati di Credito Fiscale (CCF) raggiunge contemporaneamente entrambi gli obiettivi.

Aumentare il deficit nella modesta misura prevista dalla legge di bilancio non ne consegue, invece, nessuno. Non è sufficiente – dato il debole contesto macro internazionale – a produrre una significativa ripresa. E comunque aumenta, invece di diminuire (come invece è senz’altro necessario), la dipendenza dai mercati finanziari.

E in più si sviluppa un clima antagonistico, arroventato.

Ci sono molte, comprensibili, ragioni per cedere alla tentazione di “sfogarsi”. Il punto, però, è semplice.

Sfogarsi non è di nessun aiuto.

La reazione al progetto CCF / Moneta Fiscale sarebbe comunque ostile ? forse sì o forse no. Ma ostile per ostile, affrontiamo l’ostilità per attuare una vera svolta, non per una timida manovra espansiva che non risolve il problema.

Ci sono idee migliori ? non credo al concetto di TINA.

Ma in questo caso altre non ne vedo, non ne sento proporre, neanche ipotizzare. Da nessuno.


domenica 11 novembre 2018

Convegno a Roma, venerdì 23 novembre 2018, ore 15.30

Parteciperò come relatore, presso l'Aula dei Gruppi Parlamentari della Camera dei Deputati (via Campo di Marzio 78).

Convegno organizzato dall'Associazione Moneta Positiva dell'infaticabile Fabio Conditi.



venerdì 9 novembre 2018

Gli equivoci sulla sovranità monetaria


Un recente articolo di Frances Coppola, nota commentatrice di temi economici, ha suscitato un ampio dibattito e anche provocato una certa sorpresa, quantomeno in alcuni lettori.

La sorpresa sta già nel titolo: “The Myth of Monetary Sovereignty” ci si sarebbe aspettati di vederlo utilizzato da un sostenitore dell’eurosistema, non da questa autrice che è, al contrario, una fervente eurocritica.

La mia opinione, comunque, è che siamo in presenza di equivoci abbastanza consueti, ma in definitiva anche abbastanza facili da chiarire, in merito al ruolo e alla valenza della sovranità monetaria (definita come la potestà di uno stato di emettere una propria moneta).

Per comprendere questi equivoci, una via molto efficace è rileggere l’attacco di un famosissimo pezzo di Michal Kalecki, “Political Aspects of Full Employment”, che già nel 1943 affermava con grande chiarezza che

“A solid majority of economists is now of the opinion that, even in a capitalist system, full employment may be secured by a government spending programme, provided there is in existence adequate plan to employ all existing labour power, and provided adequate supplies of necessary foreign raw-materials may be obtained in exchange for exports”.

I benefici potenziali della sovranità monetaria emergono già chiaramente dal paragrafo sopra citato.

La sovranità monetaria consente di ottenere il pieno impiego delle risorse produttive a disposizione, purché il governo immetta nell’economia un adeguato (e correttamente allocato) livello di risorse finanziarie, e purché si rispetti il vincolo dell'equilibrio nei saldi commerciali esteri (“adeguate forniture di materie prime estere possano essere ottenute in cambio delle esportazioni”).

Che cosa si sta dicendo ? che la sovranità monetaria è lo strumento a disposizione dello Stato per ottenere il pieno impiego, ma ovviamente non è l’albero degli zecchini d’oro: non consente di produrre più di quanto le risorse fisiche del paese (in particolare, la risorsa-lavoro) permettano.

E che anche in presenza di sovranità monetaria, debbano essere mantenuti in equilibrio i saldi commerciali esteri, perché altrimenti il paese accumulerebbe indebitamento verso l’estero, denominato in una moneta straniera (diversa, cioè, da quella che il paese stesso emette).

Il vincolo dei saldi commerciali esteri in equilibrio è decisamente meno stringente se lo stato in questione emette una moneta che è universalmente accettata per i pagamenti internazionali. Questa situazione – quella, oggi, degli USA, e di nessun altro paese (perlomeno, non in misura comparabile) - rende molto meno critico l’accumulo di debito estero (perché lo si accumula in moneta nazionale, non straniera).

Va anche aggiunto che consumare sistematicamente più beni e servizi di quanti se ne producono genera comunque, a lungo andare, il rischio di erodere la struttura produttiva del paese. Ma non c’è comunque dubbio che il vincolo di equilibrio nel commercio estero sia molto più lasco per gli USA che per chiunque altro

Per il “chiunque altro”, tuttavia, cioè per qualsiasi stato diverso dagli USA, valgono entrambi i concetti impliciti in quanto afferma Kalecki:

Un adeguato programma di spesa pubblica netta ovviamente NON permette a un paese di generare più reddito di quanto consentito dalla sua capacità produttiva – MA è lo strumento adeguato per evitare il sottoutilizzo delle sue risorse produttive (sottoutilizzo che implica disoccupazione e sottoccupazione).

Nello stesso tempo, tuttavia, generare sistematicamente deficit commerciali implica (sempre salvo il caso degli USA) accumulo di debito in moneta estera: il che è rischioso.

Detto questo, se uno Stato non emette la sua moneta, che cosa accade ? che TUTTO il debito del paese, pubblico e privato, per definizione è in valuta estera ! Quel paese si trova inevitabilmente in una situazione che presenta un grosso potenziale di pericolosità.

Uno Stato che emette la propria moneta, al contrario, non ha necessità di indebitarsi in valuta, e in particolare non ha bisogno di emettere titoli di debito pubblico in moneta estera.

Occorre comunque porre attenzione al debito privato in moneta estera, situazione in cui una serie di operatori si verranno a trovare se i saldi commerciali esteri sono tendenzialmente deficitari. Ma per la verità, anche con saldi complessivamente in equilibrio, ci saranno aziende che accumulano surplus di valuta e aziende che accumulano deficit, quindi che si indebitano.

Il debito privato in moneta estera è anch’esso un problema, perché può destabilizzare aziende nonché (anche e soprattutto) banche e intermediari finanziari, il che in condizioni sfavorevoli pone il governo nella condizione di accettare che si creino situazioni di dissesto, oppure di intervenire con azioni di sostegno. Due alternative entrambe alquanto complicate, sgradevoli e (a dir poco) difficili da gestire.

Tiro le mie conclusioni.

La sovranità monetaria, o per meglio dire l’estrema utilità della sovranità monetaria, è tutt’altro che un mito. Privarsene rischia di creare guai molto, molto grossi.

Detto questo, anche in presenza di sovranità monetaria, saldi commerciali esteri in equilibrio sono un obiettivo di assoluto rilievo per l’azione di politica economica del governo.

Limitare i movimenti di capitali è necessario ? de minimis, è necessaria un’azione da parte delle autorità per evitare che singole entità aziendali o bancarie, di dimensione e rilevanza sistemica, accumulino eccessi di passività in valuta, per ragioni commerciali o (ancora di più) a seguito di transazioni finanziarie.

La sovranità monetaria dà certezza che questi obiettivi vengano raggiunti ? evidentemente no, PERO’ fornisce gli strumenti di prevenzione (flessibilità del cambio, detassazione delle produzioni interne), e/o d’intervento successivo (sostegno ad aziende di importanza sistemica), senza le quali stabilizzare il sistema, evitare le crisi o comunque risolverle con rapidità ed efficienza diventa molto, ma molto più difficile.

La sovranità monetaria non risolve tutti i problemi dell’economia (e chi l’ha mai detto ?).

Ma essersene spossessati complica enormemente tutta una serie di situazioni che altrimenti sarebbero prevenibili, gestibili e/o risolvibili.

E se hai commesso, come l’Italia, il gravissimo errore di entrare nell'euro, quindi di adottare una moneta troppo forte per la tua economia, e che comunque non sei tu ad emettere e a gestire ? romperlo (l’euro) è complicato e controverso, per cui…

...la via da percorrere, di gran lunga più appropriata, è il progetto CCF / Moneta Fiscale.


martedì 6 novembre 2018

L'appiglio nel contratto di governo


Stefano Sylos Labini rammenta oggi che nel contratto di governo M5S – Lega si fa menzione di un concetto – la cartolarizzazione dei crediti fiscali – che in nuce può rappresentare l’appiglio per l’avvio di un progetto CCF / Moneta Fiscale.

Il passaggio è il seguente:

“Occorre intervenire per risolvere la questione dei debiti insoluti della pubblica amministrazione nei confronti dei contribuenti, tenuto conto della portata patologica del fenomeno nel nostro Paese… Tra le misure concretamente percorribili, spiccano l’istituto della compensazione tra crediti e debiti nei confronti della pubblica amministrazione, da favorire attraverso l’ampliamento delle fattispecie ammesse, e la cartolarizzazione dei crediti fiscali anche attraverso strumenti quali titoli di Stato di piccolo taglio, anche valutando nelle sedi opportune la definizione stessa di debito pubblico”.

Vero, è un appiglio. Però è del tutto insufficiente.

La “cartolarizzazione dei crediti fiscali” richiama la proposta dei Minibot, elaborata da Claudio Borghi della Lega, che infatti è stato uno dei principali estensori del contratto di governo. Ma i Minibot, almeno nei termini in cui sono stati fin qui proposti, danno un contributo molto limitato all’espansione dell’economia, per le ragioni spiegate diffusamente qui.

Gli appigli non risolvono nulla, a meno che non siano il trampolino per l’applicazione del progetto completo CCF / MF. Non è più il tempo – se mai lo è stato – delle mezze misure.

sabato 3 novembre 2018

Moneta Fiscale per l'Italia


Biagio Bossone / Marco Cattaneo / Massimo Costa / Stefano Sylos Labini

Alcuni anni fa, abbiamo iniziato a proporre la Moneta Fiscale (MF) come strumento in grado di superare le disfunzioni dell’Eurozona. E’ quindi abbastanza frustrante leggere sul Financial Times (28 ottobre 2018) in un articolo di Wolfgang Munchau (“Italy is setting itself for a monumental fiscal failure”) che la MF, data la sua natura di moneta parallela, innescherebbe la rottura dell’euro.

Non è così. La MF è un titolo trasferibile e negoziabile emesso dallo Stato, che i titolari potranno utilizzare per conseguire sconti fiscali a partire da due anni dopo l’emissione. Questi titoli avranno valore fin dall'emissione, in quanto incorporeranno un impegno irrevocabile dello Stato emittente, e potranno immediatamente essere scambiati contro euro o utilizzati come strumento di pagamento (in parallelo all’euro) su una piattaforma dedicata dove verrebbero accettati su base volontaria.

La MF sarà distribuita gratuitamente per finanziare investimenti pubblici e programmi di spesa sociale, per integrare i redditi dei lavoratori e per ridurre il cuneo fiscale sui costi di lavoro a vantaggio delle aziende. Questo produce un incremento sostenibile di domanda interna e migliora la competitività delle aziende (con effetti analoghi a un riallineamento del cambio). Diventa quindi possibile riassorbire l'enorme output gap dell’Italia senza deteriorare il saldo commerciale estero del paese.

Sulla base di quanto affermato dagli IFRS (International Financial Reporting Standards), la MF non costituisce debito, in quanto non esiste obbligazione di rimborso da parte dell’emittente. L’ESA (European System of Accounts) infatti la considera un “non-payable deferred tax asset”, che non impatta sui conti pubblici fino al momento dell’utilizzo per conseguire sconti fiscali – quando, due anni dopo l’emissione, produzione e gettito fiscale si saranno incrementati grazie al maggior potere d’acquisto in circolazione.

Sulla base di ipotesi prudenziali (moltiplicatore fiscale di 1x e ripresa degli investimenti privati tale da riassorbire, in quattro anni, metà della flessione rispetto al PIL subita tra il 2007 e oggi) una graduale emissione di MF, che inizi nel 2019 e raggiunga 100 miliardi nel 2021 (il che si confronta con oltre 800 miliardi di entrate fiscali del settore pubblico), continuando poi invariata, innalzerebbe la crescita del PIL reale al 3% nel periodo 2019-2021 e in un intervallo 1,5%-2% successivamente. Ciò genera maggior gettito sufficiente a compensare gli sconti fiscali via via che arrivano a maturazione.

In caso di temporanei scostamenti negativi rispetto alle previsioni, una serie di azioni possono essere attuate per garantire gli obiettivi fiscali: finanziare alcuni investimenti pubblici in MF e non in euro; aumentare le tasse da pagare in euro ma compensare il contribuente mediante erogazioni di MF; incentivare i titolari di MF a posporne l’utilizzo per conseguire sconti fiscali riconoscendo una maggiorazione di importo dei quantitativi da essi posseduti; ridurre il debito collocando (a pagamento) MF sul mercato. Queste azioni innalzerebbero la disponibilità di euro per il governo evitando effetti prociclici e – punto di grande importanza – impedirebbero il formarsi sul mercato finanziario di situazioni di incertezza. L’alto margine di copertura (il rapporto tra gli incassi pubblici lordi e gli sconti fiscali che diventano utilizzabili ogni anno) renderebbe la manovra sostenibile.

Attivando un programma di MF, l’Italia farebbe ripartire la sua crescita senza richiedere alcuna revisione dei trattati, senza richiedere trasferimenti da altri paesi e senza aumentare il ricorso ai mercati finanziari. Il debito pubblico smetterebbe di crescere e si ridurrebbe in rapporto al PIL, raggiungendo così l’obiettivo del Fiscal Compact. Tra l'altro, se l’Italia allentasse la sua disciplina ed emettesse un eccesso di MF, il valore di quest’ultima calerebbe senza però che questo influenzi il valore dell’euro o crei rischi di default (la MF è intrinsecamente un titolo default-free e le azioni sopra descritte garantiscono che il debito a rischio di default comunque non si incrementerà). L’elevato rapporto di copertura, sopra menzionato, rende peraltro questo scenario del tutto improbabile.

In un’economia con un ampio sottoutilizzo di risorse produttive, il moltiplicatore fiscale e l’acceleratore degli investimenti hanno un forte, combinato effetto sulla produzione (e solo moderatamente sui prezzi). Inoltre, l’impatto sulla domanda è massimizzato in quanto l’azione sulla competitività (via riduzione del cuneo fiscale) evita deterioramenti del saldo commerciale estero. E in ultimo, incrementare la domanda darà benefici su produttività e crescita di lungo termine, entrambe fortemente indebolite dai molti anni di contrazione degli investimenti pubblici e privati.

Tutto questo non è un passo verso il break-up. Eliminando le disfunzioni dell’Eurosistema, la sua rottura non è più un passo necessario. Per inciso, nella nostra proposta l’ammontare totale di FM in circolazione raggiungerà un massimo di 200 miliardi: una piccola frazione dei depositi bancari (4.000) e dei titoli di debito pubblico in circolazione (oltre 2.000). La MF non sostituirebbe, ma integrerebbe queste attività finanziarie; e l’euro rimarrebbe l’unità di conto dell’economia italiana.

Munchau afferma che la principale caratteristica di un’unione monetaria non è l’esistenza di una moneta legal-tender (cioè ad accettazione obbligatoria) ma il fatto che si formi un’area monetaria comune con un libero flusso di pagamenti: le moneta parallele e i controlli sui capitali sarebbero quindi incompatibili con questo assetto. Ma la MF strutturata secondo la nostra proposta non richiede alcun controllo sui capitali e non ostacola in alcun modo i flussi di pagamenti.

La MF ha la funzione di mobilitare risorse produttive inutilizzate, di accelerare gli investimenti, e di riavviare il credito privato: e ottiene questi risultati in un’economia priva dei tradizionali strumenti di sovranità monetaria e di espansione fiscale convenzionale.


giovedì 1 novembre 2018

La stagnazione del PIL


La stima preliminare del PIL italiano per il terzo trimestre 2018 è di crescita zero: la previsione era invece del +0,2%. Naturalmente i commentatori antigovernativi hanno colto la balla al balzo per imputare il dato al nuovo esecutivo. Fa parte della normale dialettica (e della normale polemica) politica. Però è importante mettere in evidenza quanto segue:

PRIMO, tutta l’Eurozona ha fatto segnare risultati deludenti. L’Italia ha sottoperformato di due decimi di punto rispetto alle previsioni, l’Eurozona nel suo complesso anche: 0,2% contro 0,4%. Certo, l’Italia continua a viaggiare più lentamente. Ma non in misura superiore a prima.

SECONDO. il governo è in carica da giugno 2018 e a tutt’oggi non ha ancora messo in atto significative azioni di politica economica, con l’unica eccezione del “decreto dignità”. Il varo della legge di bilancio 2019 è in corso in queste settimane. Sui risultati del periodo luglio-settembre 2018, la responsabilità evidentemente non è del governo oggi in carica.

TERZO, da maggio in poi è salito lo spread BTP – Bund. E’ difficile stabilire se questo di per sé abbia avuto un peso rilevante. Qualcuno ricorda che nell’aprile 2011 l’economia italiana entrò in recessione in corrispondenza con l’aumento dello spread: ma appunto in conseguenza di quell’aumento fu messa in atto dal governo Berlusconi una prima manovra di austerità (la seconda avvenne poi a settembre, la terza a fine anno dopo l’insediamento di Monti). Non servì a nulla perché lo spread continuò a salire, mentre fin da subito si constatarono pesanti danni su domanda, produzione e occupazione. Dovuti sicuramente all’austerità, mentre non è affatto chiaro che ci sia stato un influsso diretto dello spread.

QUATTRO, lo spread che sale è, evidentemente, una conseguenza delle disfunzioni dell’Eurozona: in paesi che emettono la propria moneta, l’indebolimento del contesto economico tende a far scendere i tassi, non viceversa. Sarebbe folle prendere lo spread a pretesto per rendere meno espansiva la manovra economica programmata per il 2019. Casomai, ci sono ancora maggiori motivi per ritenere che la legge di bilancio 2019 sia troppo poco espansiva.

QUINTO, così come a primavera 2011 la BCE prese inopportunamente la decisione di incrementare i tassi, allo stesso modo oggi appare molto dubbia (a dir poco) la scelta di azzerare il programma di Quantitative Easing da fine 2018 in poi. I problemi dell’Italia (soprattutto) e dell’Eurozona nel suo complesso sono sempre gli stessi: sottostima dell’output gap, e ossessione per rischi inflazionistici che in realtà non esistono. E’ vero che in queste condizioni serve espansione fiscale, mentre la politica monetaria è in grado di fare poco: ma rivolgere questo “poco” in direzione restrittiva mentre tutto rallenta è comunque, senz’altro, un errore. UE e BCE continuano ad agire in modo prociclico, peggiorando gli effetti già di per sé perniciosi di un sistema disfunzionale.

SESTO ED ESTREMAMENTE IMPORTANTE: che cosa aspetta il Governo a lanciare il progetto CCF / Moneta Fiscale ? altre soluzioni sospetto fortemente che non ne esistano, e comunque non se ne vede nessuna all’orizzonte.

Il problema della legge di bilancio 2019 è che in ogni caso, nel contesto attuale, è troppo timida. Questo può essere imputato al governo: di aver sollevato un contenzioso con la UE non per ottenere qualcosa di risolutivo, bensì qualcosa di comunque insufficiente.

Una forte spinta a domanda interna e competitività, unitamente al progressivo declino del Maastricht Debt (in rapporto al PIL): i CCF consentono di ottenere questi risultati. Ed è, assolutamente, il minimo necessario per risolvere i problemi dell’economia italiana.