domenica 6 ottobre 2024

Che cosa non è il debito pubblico

 

Se uno Stato spende la moneta che emette, il debito pubblico (dovrebbe essere evidente) NON è un mezzo di finanziamento del deficit.

Il deficit pubblico si traduce automaticamente in risparmio privato. L’eccesso di spesa rispetto alla tassazione equivale, nel settore privato, a soldi ricevuti eccedenti quanto pagato in tasse: quindi a un incremento del risparmio.

Se lo Stato spende la moneta che emette, non ha bisogno di collocare titoli di debito pubblico per finanziarsi. Il debito pubblico ha una funzione diversa: è uno strumento offerto al settore privato per impiegare il risparmio finanziario generato dal deficit pubblico.

Il problema del debito pubblico, in Italia, esiste SOLO perché utilizziamo una moneta emessa da un soggetto diverso dallo Stato.

venerdì 4 ottobre 2024

I soldi del deficit pubblico

 

Chi segue questo blog mi ha visto molte volte spiegare che il deficit pubblico non è un impoverimento del paese, in quanto la differenza tra spese del settore pubblico e incassi fiscali (il deficit pubblico) rimane in tasca al settore privato. Se lo Stato spende più di quanto incassa, il settore privato incassa più di quanto spende. Questa è un’identità contabile su cui c’è poco, anzi nulla, da discutere.

OK, mi sento a volte replicare: sarà così, ma i sottoscrittori dei titoli del debito pubblico sono in parte stranieri. Per cui è vero che il deficit pubblico si trasforma, o meglio genera, risparmio privato: ma questo risparmio privato finisca in parte in mano a residenti esteri, quindi fuoriesce dal paese.

Le cose stanno un po’ diversamente. 

Il deficit pubblico alimenta automaticamente risparmio privato e non ha bisogno che vengano emessi titoli per finanziarlo. I titoli del debito pubblico sono un’opportunità offerta ai risparmiatori per impiegare, appunto, il risparmio.

Il risparmio fuoriesce dal paese se il saldo commerciale, cioè la differenza tra esportazioni e importazioni di beni e servizi, è negativa. Se è positiva, al contrario, il risparmio non defluisce dal, ma affluisce nel, paese.

E il saldo commerciale dell’Italia verso l’estero è ampiamente positivo, per circa 50-60 miliardi annui.

E’ vero che una parte dei titoli di Stato offerti dalle pubbliche amministrazioni è sottoscritto da risparmiatori esteri; ma a fronte di questo, ci sono risparmiatori italiani che comprano attività finanziarie straniere. Sono scelte di portafoglio, che derivano da valutazioni di rischio e redditività, dalla volontà di diversificare, in ultima analisi dai gusti personali di ognuno.

Il saldo tra investimenti finanziari e patrimoniali dei residenti italiani verso l’estero, da un lato, e dei residenti stranieri verso l’Italia, dall’altro (la cosiddetta Net International Investment Position, NIIP) è anch’esso positivo: per 165 miliardi secondo il più recente dato Bankitalia (al 31.3.2024).

Per cui, nel caso del nostro paese è del tutto corretto affermare che il deficit pubblico si converte in risparmio privato ITALIANO. Il fatto che una parte dei titoli di Stato emessi vengano acquistati da soggetti stranieri NON rileva e NON smentisce questo dato di fatto.

 

mercoledì 2 ottobre 2024

Dice Dirk Enhts

 Ci sono economisti TEDESCHI non allineati al mantra dell'euroausterità ?

Non tantissimi ma qualcuno sì. Dirk Ehnts ne è un esempio.


Ed ecco quello che CORRETTISSIMAMENTE dice:



giovedì 26 settembre 2024

La CGIA e gli sprechi

 

Le narrazioni su temi economici (e non solo) quando sono basate su fantasie e luoghi comuni fanno danni, perché orientano negativamente il dibattito e mandano fuori strada la pubblica opinione.

Ne ho avuto una riprova qualche giorno fa a seguito di una discussione con alcuni interlocutori su Twitter, pardon su X, dove è stato citata l’iperbolica cifra di 225 miliardi (all’anno…) come costo di sprechi e inefficienze della pubblica amministrazione.

Ho chiesto la fonte del dato e mi è stato linkato questo documento prodotto dalla CGIA di Mestre, un’associazione di artigiani e piccole imprese che in effetti dispone di un ufficio studi piuttosto attivo.

E il titolo del documento in effetti è “Sprechi e burocrazia ci costano oltre 225 miliardi all’anno”.

Sennonché andando a leggere, a pagina 5, dopo l’elencazione di fatti e misfatti della P.A. italiana, si trova questa affermazione: “E’ evidente che questi malfunzionamenti, tratti da fonti diverse, non si possono sommare, innanzitutto perché sono riferiti ad anni diversi e in secondo luogo perché in alcuni casi le aree di queste analisi si sovrappongono”.

Bravi. Prima sparate un titolo con un numerone, poi ci costruite sopra una narrazione e alla fine ci fate sapere che “è evidente” che avete sommato dati “che non si possono sommare”.

E come giudizio di affidabilità dell’analisi, potremmo già chiudere qui la faccenda.

Ma vale la pena di riflettere un tantino sui dati che sono stati sommati anche se non si potevano sommare. E sono i seguenti.

“Il costo annuo sostenuto dalle imprese per la gestione dei rapporti con le P.A. (burocrazia) è pari a 57,2 miliardi di euro”. Considerarli uno “spreco” equivale a dire che il costo potrebbe o dovrebbe essere zero. Il che è un’evidente assurdità.

“I debiti commerciali di parte corrente della nostra PA nei confronti dei propri fornitori ammontano a 55,6 miliardi di euro”. Probabilmente sono troppi, e questa è un’inefficienza. Ma anche qui è assurdo parlare di 55,6 miliardi di “spreco”. Bisogna confrontare il dato con un livello “normale”, perché una dilazione di pagamento per esempio di 30 o 60 giorni è fisiologica, e poi valutare il costo dell’inefficienza, che non è certo l’intero importo del maggior debito (un’azienda preferisce un cliente che paga a 30 giorni e non a 180, ma non è che mette a perdita l’intero importo del credito “lungo” se alla fine il pagamento arriva. A parte che per assurdo sarebbe una perdita per il fornitore ma un guadagno per la PA, quindi non una perdita secca per il sistema economico).

“La lentezza della giustizia costa al paese 2 punti di PIL all’anno, ovvero 40 miliardi di euro”. Come si stima l’impatto economico di un fenomeno del genere ? non ne ho la minima idea. L’ha detto il ministro Nordio, ma da dove nasce la valutazione ?

“Il deficit logistico-infrastrutturale penalizza il nostro sistema economico per un importo di 40 miliardi di euro all’anno”. Questo non è uno “spreco”, ma l’indicazione (che poi va motivata) che occorre spendere meglio, ma probabilmente DI PIU’, non di meno.

Gli unici “sprechi” che possono effettivamente essere definiti tali, nell’elencazione, sono quelli della sanità e quelli del trasporto pubblico locale, rispettivamente per 21 e per 12,5 miliardi. Sulla base di stime ovviamente da verificare e da discutere.

In sintesi…

Il numerone di 225 miliardi è una sparata priva di senso. Però è stata pubblicata, gira, e qualcuno (non pochi) la prende come un fatto, come un “dato certificato”.

Un dibattito costruito su queste basi fa solo confusione, e danno.

 


martedì 24 settembre 2024

Quando l’assicurazione non funziona

 

Il ministro Musumeci se ne è uscito con l’ipotesi di rendere obbligatoria, per gli immobili di proprietà privata, l’assicurazione su rischi catastrofali quali inondazioni ed eventi di origine climatica. O almeno questo concetto gli è stato attribuito. Poi ha fatto una rapida marcia indietro.

Meno male che l’ha fatta, perché l’idea è pessima: e non solo in quanto imporrebbe l’equivalente di una (ulteriore) imposta patrimoniale sugli immobili.

L’idea è pessima perché nel caso fosse attuata, c’è da aspettarsi che i proprietari di immobili delle zone a maggior rischio non riuscirebbero a trovare coperture assicurative, quantomeno per importi di premi non esorbitanti.

Il problema è analogo a quanto si riscontra esaminando l’alternativa sanità pubblica vs sanità privata. Ammesso che il privato sia, in media, più efficiente del pubblico (del che dubito, ma lasciamo il tema per un'altra occasione) il problema è che le assicurazioni private fanno molta fatica a coprire i soggetti ad alto rischio.

Le malattie che richiedono cure molto onerose possono, semplicemente, non essere assicurabili.

Determinate forme di rischio possono essere gestite solo a livello di collettività nazionale, quindi di settore pubblico, perché l’onere economico si ripartisce su milioni o decine di milioni di persone: un universo enormemente più ampio di quello di qualsiasi compagnia assicurativa.

L’assicurazione che lavora per il profitto valuta invece la redditività della singola copertura, e in certi casi i conti semplicemente non tornano.

Imporre di utilizzare il settore assicurativo privato per certi tipi di rischio è inaccettabile, e in parecchi casi impercorribile.

 

venerdì 20 settembre 2024

Come si sta fuori dalla UE

 

E’ interessante questo video del mio antico quasi-collega Alberto Forchielli, che conversa, come fa ogni tanto, con Fabio Scacciasestesso Villani.

Interessante non perché dica cose particolarmente originali, ma perché non mi sarei molto aspettato di sentirle dire a Forchielli, di cui è nota la vicinanza con Romano Prodi. 

E da una persona vicina a Prodi stupisce quanto esplicitamente confuti uno dei luoghi comuni più logori e stantii che gli europeisti hanno costantemente sulle labbra: che per quanti difetti di funzionamento possa avere la UE, non c’è speranza, non c’è possibilità, non c’è strada plausibile per migliorare la situazione economica e sociale dell’Italia, per “affrontare e superare le sfide del nostro tempo” se non fondendosi nella Grande Unione Europea.

L’argomentazione, semplice ma chiara e diretta, a contrario è che tantissimi paesi fanno bene al di fuori della UE, e comunque non pensano minimamente a integrarsi in chissà quale superstruttura politica.

Tra gli esempi citati, il Cile, la Svizzera, la Corea del Sud. Ma ovviamente se ne possono fare molti altri.

Perché la situazione è del tutto evidente: al mondo ci sono oltre 200 nazioni. La stragrande maggioranza, cioè quelli non appartenenti alla UE perché non ci sono voluti entrare o perché non sono neanche paesi europei, non stanno affatto definendo la creazione di un’Unione Americana o di un’Unione Asiatica o di un’Unione Africana (o meglio a quanto ne so un’Unione Africana esiste ma non ha minimamente funzioni o ambizioni simili a quelli della UE).

Tutto molto semplice. Fuori dalla UE, non c’è nessuna tendenza a creare nulla di simile in altre parti del mondo.

La UE è un progetto unico. E non funziona.

martedì 17 settembre 2024

Perché sburocratizzare la UE è un’illusione

 

Quando un’organizzazione non funziona, una spiegazione classica, buona più o meno per tutti i casi e per tutte le stagioni, è che il problema è costituito dalla burocrazia, dall’eccesso di regole, dalle procedure inutilmente complicate. Le cose funzionerebbero molto meglio se tutto si semplificasse, se tutto diventasse più semplice e lineare.

Per carità, evitare complicazioni inutile è sicuramente un obiettivo condivisibile, uno sforzo encomiabile. Però non mi ricordo di aver mai visto questa strategia produrre risultati concreti.

Di solito i tentativi di ridurre la burocrazia si traducono in libri dei sogni, quando non in varianti sul tema “creiamo un comitato per ridurre i comitati”, un “regolamento per eliminare i regolamenti” o roba del genere.

Nel caso della UE, la ricetta mi pare perdente in partenza ancora più del solito. E la ragione è banale: buona parte di quello che fa la UE è produrre regole. Forse due terzi dei suoi dipendenti e collaboratori sono dediti a quello (gli altri fanno cose ancora più dannose, spesso MOLTO più dannose).

Per sburocratizzare la UE una strada c’è, ed è abolirla. Il che mi pare un’eccellente idea. Improbabile però che venga intrapresa per iniziativa autonoma della UE stessa…

venerdì 13 settembre 2024

MMT, che cosa dice e che cosa non dice


I critici della MMT hanno una spiccata attitudine a criticarla sulla base di una rappresentazione fuorviante delle affermazioni di questa scuola di pensiero economico. 

In particolare, un classico è accusare la MMT di volere sempre e comunque incrementare il deficit pubblico, in quanto all’incremento del deficit pubblico corrispond(erebbe) sempre e comunque incremento di ricchezza privata.

Bene: l’affermazione degli economisti MMT può sembrare superficialmente quella, ma è invece MOLTO differente.

La MMT NON dice che all’incremento del deficit pubblico corrisponde sempre e comunque incremento di ricchezza privata.

La MMT DICE che all’incremento del deficit pubblico corrisponde sempre e comunque incremento di risparmio finanziario nominale privato.

Questo deriva da un’identità contabile che dovrebbe (dovrebbe…) risultare ovvia a chiunque: il deficit è l’eccesso di spesa pubblica rispetto al prelievo fiscale. Se il settore pubblico spende più di quanto tassa, il settore privato incrementa le sue disponibilità finanziarie, perché riceve più di quanto paga.

Questo in termini nominali. In termini reali, il valore effettivo di questo maggior risparmio può depauperarsi se il deficit produce una crescita del livello dei prezzi. E questo è possibile se si immette nel settore privato capacità di spesa che non va ad alimentare maggiore produzione di beni e servizi. Motivo per cui la gestione della finanza pubblica deve tenere conto della capacità produttiva del sistema economico.

Poi ci sono i temi di distribuzione. Altre critiche delle politiche di deficit vertono sul fatto che il deficit potrebbe essere “utilizzato male”, in maniera inefficiente o iniqua, o alimentare spesa verso l’estero, quindi incrementare sì il risparmio privato, ma all’esterno del paese.

Questi sono temi importanti. Ma sono temi di allocazione delle risorse.

E i critici della MMT che vorrebbero il pareggio di bilancio perché sono preoccupati per la (eventualmente) scorretta allocazione delle risorse, si pongono in contraddizione con un’altra loro tipica affermazione.

I critici della MMT spesso attaccano le politiche economiche di stampo socialista affermando che si preoccupa (il socialismo) di redistribuire reddito e ricchezza, ignorando che prima va creato.

Ma allora non dovrebbero sostenere il pareggio di bilancio, perché il pareggio sistematico del bilancio pubblico, in presenza di un sottoutilizzo delle risorse produttive, limita la creazione di reddito e ricchezza. Preoccupandosi della distribuzione di reddito e ricchezza, ne tarpano quindi la generazione.

Proprio quello che a loro dire è il difetto più grave delle politiche economiche socialiste.

 

mercoledì 11 settembre 2024

Piano Draghi, dove sono (sarebbero) i soldi

 

Ancora sul mirabile piano Draghi, che buona parte della stampa italiana sta già incensando come la soluzione di tutti i guai della UE e anche del nostro paese.

Le probabilità che il piano decolli al momento appaiono nulle, semplicemente perché, ottimo, buono, scarso o pessimo che sia, dovrebbe essere finanziato (afferma Draghi) da debito comune, e i paesi frugali del nord – Germania in testa – non ne vogliono sapere mezza, come si dice a Bologna.

Va aggiunto che non si capisce perché queste “sfide epocali” a cui le UE va incontro dovrebbero essere affrontabili solo utilizzando debito comune. E neanche perché non potrebbero essere gestibili da singoli paesi, visto che le possibilità di azione sono comunque date dalla somma dei mezzi a disposizione di chi le azioni le vuole intraprendere. Non si moltiplicano, in altri termini, solo perché gli appiccichi l’etichetta UE.

Certo, alcune cose probabilmente si fanno meglio con uno sforzo congiunto e coordinato. Altre magari no. Ma se la volontà di attuare uno sforzo congiunto e coordinato esiste, si può benissimo procedere tramite un accordo tra Stati: magari alcuni e non tutti.

O meglio si potrebbe se non ci fossero i vincoli finanziari imposti dalla UE stessa, che sono stati rivisti ma assolutamente non superati dalla recente revisione del patto di stabilità, e sui quali non c’è volontà comune per ulteriori modifiche.

Il superamento del vincolo finanziario per attuare, in tutto, in parte, o in qualche misura, il piano Draghi o qualsiasi altra azione di dimensioni rilevanti, è possibile. Facilmente.

Basta consentire ai vari Stati di emettere la propria moneta. Per esempio sotto forma di Moneta Fiscale.

Se Draghi pensasse veramente che l’attuazione del suo piano è vitale, prenderebbe in serissima considerazione questa ipotesi.

Se non lo fa, mi pare evidente che l’attuazione del suo piano servirebbe ad altro. A spogliare di ulteriori leve d’intervento gli Stati, a trasferire ulteriori poteri all’euroburocrazia.

Stavo per concludere il post con quest’ultimo paragrafo. Ma poi, colpo di scena, scopro che nel documento presentato da Draghi (“The Future of European Competitiveness”) spunta, a pagina 38 della parte B, quanto segue (grazie a Fabio Conditi per la segnalazione)

Ohibò. Non me l’aspettavo. Ci sarebbe da chiedersi allora perché Draghi, da presidente del consiglio italiano, abbia insabbiato la libera circolazione dei crediti fiscali (quelli legati a Superbonus e crediti fiscali immobiliari in genere).

Continuo a pensare che non se ne farà nulla e che il rapporto Draghi resterà lettera morta.

Ma chissà, il mondo è strano.


lunedì 9 settembre 2024

L’Unione Europea e la competitività

 

Sinceramente non ho capito in che cosa consistano le raccomandazioni di Mario Draghi e di Enrico Letta in merito a cosa fare per rendere l’economia UE più competitiva. Ho solo letto parecchi articoli che drammatizzano un recente discorso di Draghi, dove si è affermato che senza riforme “mai vista prime” la UE rischia di scomparire.

Per la verità non mi sto neanche sforzando di capirle, s’intende sempre le raccomandazioni. Per alcuni lustri si è ripetuto ad nauseam che la UE aveva bisogno di profonde riforme e di salti in avanti, e i risultati sono stati ampiamente deleteri.

Di chiaro vedo solo una cosa. La UE perde terreno rispetto a USA e Cina, dove non esiste niente di paragonabile alle regole di bilancio pubblico UE, e dove ci si preoccupa poco o nulla di quello che sembra essere il pensiero di gran lunga predominante degli euroburocrati – contenere la spesa per “risanare la finanza pubblica”. Ovviamente senza riuscirci.

A me pare che il recupero di competitività si ottenga investendo. Nei settori e con le modalità giuste, certo. Tramite il settore pubblico o tramite sostegni al settore privato. Ma investendo, quindi spendendo. Non tagliando, non contenendo, non “risanando”.

Quand’anche Draghi e Letta fossero le brillanti menti economiche che qualcuno pensa che siano (più Draghi che Letta, a dire il vero) mi sfugge come le loro raccomandazioni, quali che siano, potrebbero essere applicate, se i vincoli (autoimposti e insensati) di finanza pubblica restano la prima preoccupazione di Bruxelles.

Per questo non mi sforzo di capirle, le raccomandazioni, o anche solo di venirne a conoscenza. Non mancherò, nel caso, di riconoscere che mi sono sbagliato.

sabato 7 settembre 2024

Spiegare la borsa

 

Mi crea spesso un moderato divertimento leggere le spiegazioni che vengono date sugli andamenti del mercato azionario, e ancora di più le previsioni in merito a quanto potrà accadere nel prossimo futuro.

In queste ultime poche settimane si è diffusa l’opinione che il mercato USA, e in particolare l’SP500, potrebbe essere sul punto di una correzione al ribasso.

Il che è sicuramente possibile. Ma per quali motivazioni ? tra le più frequenti che vengono fornite, Trump potrebbe vincere le elezioni in USA. La guerra in Ucraina potrebbe durare ancora a lungo. La situazione in Medio Oriente potrebbe degenerare. Le banche centrali potrebbero non essere così aggressive come si pensa, o spera, nel ridurre i tassi. Oppure potrebbero esserlo per poi scoprire che l’inflazione rialza la testa. L’economia potrebbe indebolirsi.

Al che ovviamente non manca chi replica. Trump le elezioni potrebbe anche perderle. Ma poi in fondo quando ha vinto nel 2016 il mercato azionario ha poi fatto +30% in pochi trimestri. E la guerra in Ucraina potrebbe anche aver fine. E in Medio Oriente le cose potrebbero risolversi, o quanto meno non peggiorare. E i tassi d’interesse hanno, in ogni modo, avviato una discesa. E l’economia in definitiva cresce.

Insomma è vero tutto ma anche il contrario.

Il problema è che leggere queste “spiegazioni” è più divertente che utile.

Di sicuro c’è che

la borsa nel tempo sale

però non lo fa in linea retta

ogni tanto corregge

le date delle correzioni, e l’entità, non le può prevedere nessuno

però quando i valori sono alti e hanno corretto parecchio negli ultimi tempi, una correzione diventa più probabile nel breve termine: attenzione più probabile, non certa.

E adesso i valori sono alti.

Poi divertiamoci, se non abbiamo di meglio, a leggere le “spiegazioni”, le “profonde analisi”.

Basta non prenderle troppo sul serio.

 

martedì 3 settembre 2024

Chi ha bisogno della UE ?

 

Le elezioni regionali tenute domenica scorsa in Turingia e Sassonia hanno registrato un notevolissimo, e per la verità non inatteso, successo del partito di destra eurocritico AfD, che si è attestato intorno al 30% abbondante. Ma va anche notato che un’altra lista eurocritica, questa di sinistra, BSW, ha a sua volta ottenuto un eccellente risultato.

In un’intervista sulla Repubblica di oggi è citata la seguente dichiarazione di Alice Weidel, la leader di AfD: “La Germania, per sopravvivere, non ha bisogno della UE. La UE, al contrario, ha bisogno della Germania. La UE dovrebbe comportarsi di conseguenza. Solo a questa condizione l’uscita della Germania dalla UE non si renderà necessaria”.

Ora, senz’altro la Germania non ha bisogno della UE. Ma va aggiunto che nessun paese appartenente alla UE ha bisogno della UE. Nessun paese deve la sua esistenza alla UE, e nella maggior parte dei casi gli stati membri hanno una storia decennale, secolare, qualche volta millenaria che è partita quando la UE non era nell’immaginazione di nessuno.

La UE si giustifica solo se e in quanto la sua esistenza crea qualcosa di positivo per i suoi appartenenti. L’affermazione della Weidel quindi sarebbe condivisibile. Ma c’è un ma: quando poi andiamo a vedere di che cosa gli stati hanno bisogno, che cosa motiverebbe la loro appartenenza alla UE, scopriamo che le necessità e gli interessi sono difformi. Molto difformi.

Il che non stupisce. Sono paesi differenti per storia, lingua, tradizioni, condizioni economiche, e molte altre cose ancora.

Beninteso questo ai burocrati di Bruxelles non interessa. Com’è tipico delle burocrazie, la loro finalità è preservare la propria esistenza e accrescere la propria area di influenza. Che poi l’esistenza della burocrazia abbia un’utilità è secondario. Primario è l’interesse dei burocrati.

E infatti le reazioni ai risultati elettorali negativi (negativi dal loro punto di vista, s’intende) ogni volta è la stessa. Mai riflettere sul messaggio che sta trasmettendo l’elettorato. Sempre alzare cordoni sanitari. Sempre reprimere, mai analizzare le motivazioni, mai correggere la direzione di marcia.

Anche perché, appunto, la direzione di marcia utile a un paese non è la stessa appropriata per un altro. E quindi la UE ha l’alternativa tra fare ed essere dannosa, e non fare ed essere inutile.

L’autoscioglimento sarebbe una via raccomandabile. Ma qui entra in gioco l’istinto di conservazione, che esiste per le organizzazioni tanto quanto, o forse più, che per gli individui.

 

domenica 1 settembre 2024

Il mostro che non è un mostro

 

Non bastavano definizioni tonitruanti e spaventevoli come “il fardello”, “il macigno”, “l’ipoteca sul futuro del paese”, “l’onere per le future generazioni”.

No, il Sole 24 Ore pochi giorni fa ha dato un altro giro di vite agli sforzi per seminare panico in merito al debito pubblico italiano. Adesso è diventato, sic et simpliciter, “il mostro”.

Boh. Da quando ho cominciato ad avere quattro risparmi da parte ho sempre felicemente acquistato BOT, CCT e BTP (salvo negli anni in cui rendevano zero). E la sensazione di mettermi in tasca delle cose “mostruose” proprio non l’ho mai avuta.

Ma poi, se deficit e debito pubblico sono non si dice mostri, ma gravi, preoccupanti, potenzialmente esiziali anomalie da correggere a tutti i costi, com’è che il bilancio del settore pubblico di tutti i paesi è quasi sempre in deficit ? e com’è che tutti hanno un debito pubblico ?

Non sarà che invece il deficit sia qualcosa di normale e fisiologico ? che per un’economia in crescita sia normale che il settore pubblico spenda più di quello che tassa, immettendo quindi mezzi di pagamento e risparmio finanziario nel settore privato ? grandezze che DEVONO crescere, se cresce la produzione e il valore di beni e di servizi ?

Non sarà che questa continua insistenza sul “risanamento della finanza pubblica” – risanamento che peraltro non si ottiene mai – abbia come unico risultato quello di tarpare la crescita del paese, di smantellare il welfare, di prosciugare gli investimenti ?

Diceva, se non sbaglio, Voltaire: “le streghe hanno smesso di esistere quando abbiamo smesso di bruciarle”.

Oggi magari direbbe che il debito pubblico smetterà di essere un problema quando smetteremo di tentare di “risolverlo”.

 

domenica 25 agosto 2024

Fabio Panetta e le spese per l’istruzione

 

Fabio Panetta, l’attuale governatore della Banca d’Italia, sicuramente non è il peggiore degli euroausterici. Tra i governatori delle banche centrali eurozoniche è sicuramente schierato dalla parte delle colombe, non da quella dei falchi più retrivi e ottusi.

Però appartiene al mainstream economico, quindi aspettarsi più di tanto, dal punto di vista della logica e della razionalità delle sue argomentazioni, sarebbe ingenuo.

Alcuni giorni fa ha insistito, tanto per cambiare, sulla necessità di ridurre il debito pubblico, argomentando tra le altre cose che l’Italia spende più per pagare interessi che per l’istruzione pubblica.

Di fronte a un’affermazione del genere, chi potrebbe contestare il fatto che qualcosa non funziona ?

Però qual è la conseguenza, nella testa di Panetta ? che occorre ridurre il deficit, abbassare il debito, “quindi” pagare meno interessi, “quindi” avere più soldi per altre cose. Logico, no ?

No.

Ridurre il deficit, nella testa del mainstream economico, vuol dire aumentare le tasse o abbassare le spese. Entrambe azioni che rallentano l’economia.

E abbassare le spese, quali ? non quelle per l’istruzione c’è da supporre, visto che lo stesso Panetta rileva la loro insufficienza. Ma allora andiamo avanti a tagliare cosa ? le pensioni ? la sanità ? gli investimenti in infrastrutture ?

Tutte queste cose sono state largamente sperimentate, dall’austerità bruxellian-montiana in poi. Ovviamente il debito non è sceso. Ovviamente la spesa per interessi non è diminuita. Ovviamente soldi in più da investire nell’istruzione o in altre cose non si sono visti. E ovviamente si è distrutta la crescita dell’economia italiana.

Ma caro Panetta, se gli interessi sono troppo alti, la soluzione è molto semplice. Fare deficit emettendo moneta. Anche senza uscire dall’euro tornando alla lira, bensì emettendo Moneta Fiscale.

Chissà come, questo Panetta non lo dice. Le soluzioni sono sempre quelle già sperimentate. Con esiti fallimentari.

 

mercoledì 21 agosto 2024

Il debito che non è debito

 

Un tema fondamentale, per risolvere i problemi dell’economia italiana, è far comprendere alla cittadinanza che il “debito” pubblico in moneta sovrana NON E’ DEBITO.

L’Italia è pesantemente condizionata, nelle sue scelte di politica economica, dall’aver convertito i propri titoli di Stato da lire a euro. A tutti gli effetti pratici, l’euro è diventato (e con ogni probabilità così era stato fin dall’inizio concepito) uno strumento di controllo politico. Una leva potentissima, in mano a interessi esterni al paese.

Nessuna entità esterna, al contrario, può forzare un paese all’insolvenza su “passività” che il paese stesso emette. I deficit pubblici possono essere eccessivi se creano livelli alti e volatili di inflazione. Ma il debito in moneta sovrana non crea condizionamenti di origine esterna.

Questo è il problema fondamentale nato, per il nostro paese, dall’ingresso nell’euro. Una moneta straniera, sopravvalutata rispetto ai fondamentali della nostra economia.

Tutto questo è chiaro e conclamato. Ma largamente ignorato dall’informazione mainstream.

Ogni contributo di informazione e comunicazione che aiuti a far comprendere tutto ciò è un passo, piccolo finché si vuole, ma è un passo nella direzione giusta.

mercoledì 14 agosto 2024

Debito pubblico, il grande equivoco

 

Il grande, gigantesco equivoco, quando si parla di finanza pubblica, è pensare che il debito sia un mezzo per finanziare le attività dello Stato.

Non è nulla di tutto questo.

I punti essenziali da comprendere sono i seguenti.

I mezzi di pagamento in circolazione, in un’economia in sviluppo, DEVONO aumentare.

Il deficit pubblico provvede a garantire che questo aumento si verifichi. Deficit vuol dire che le spese pubbliche superano le entrate fiscali: rimane un delta, che PER DEFINIZIONE resta in possesso del settore privato. Questo delta incrementa la disponibilità di potere d’acquisto del settore privato medesimo. E incrementa il suo risparmio finanziario.

Emettere debito pubblico quindi NON SERVE A FINANZIARE IL DEFICIT. Uno Stato che emette la sua moneta non ha NESSUN bisogno di emettere debito. Il deficit si finanzia da sé.

Il debito pubblico è semplicemente uno strumento di impiego del risparmio privato che si FORMA AUTOMATICAMENTE in conseguenza dei deficit pubblici. Non è indispensabile emetterlo.

Può essere un servizio utile offerto alla collettività.

Ma quanto sentite dire che lo Stato deve “garantirsi la benevolenza dei mercati”, che è “soggetto al giudizio degli investitori”, sappiatelo: è UNA SPUDORATA MENZOGNA.

 

lunedì 12 agosto 2024

Euroausterici e finanza pubblica

 

Gli euroausterici, compresi quelli un buona fede, hanno in testa parecchie idee sballate (viene da dire SOLO idee sballate) in merito a deficit e debito pubblico. Questa non è una novità.

Uno dei loro leitmotiv è che è (sarebbe) “una cretinata” affermare che il debito pubblico è credito dei privati che lo possiedono.

Se gli si dice “bene regalami i tuoi BTP, visto che non è credito, quindi non è un’attività finanziaria, non ha un valore, sarai felice di sgravartene e io da parte mia con piacere ti solleverò da questo fastidio” – se gli si dice QUESTO non sanno più cosa rispondere e non rimane loro che sviare il discorso.

Una maniera tipica di sviarlo è l’affermazione (in realtà ben poco attinente con la precedente, ma transeat) che “i titoli di Stato sono solo di chi li possiede mentre il debito pubblico è di tutti”. Ma questo sconclusionato tentativo di replica non tiene conto di parecchie cose.

Per iniziare, il debito pubblico, ovvero i titoli di Stato, non li possiedono tutti nella stessa misura, ma anche le tasse non le pagano tutti nella stessa misura. Un nullatenente paga molto poco, e peraltro non possiede neanche titoli, e non percepisce interessi. Chi possiede molti titoli e percepisce molti interessi di sicuro paga anche molte più tasse di un nullatenente.

Ancora più importante, uno stato che emette moneta può tranquillamente decidere di non emettere debito pubblico. Collocare titoli offrendo una remunerazione è una pura scelta politica. Se stampi moneta, la tua spesa può eccedere la tassazione senza alcun bisogno di emettere titoli.

Inoltre, e forse è l’argomento più importante su questo tema, TUTTE le ripartizioni delle spese e delle tasse sono scelte politiche. Possono essere scorrette, possono essere discutibili, possono essere inique: ma questo non ha niente a che vedere con il fatto che “serve debito e serve pagare interessi per finanziare il deficit”. Il deficit, se lo stato emette moneta, si finanzia da solo.

La sintesi della situazione, che agli euroausterici sfugge completamente (se poi fanno finta sono ottimi attori) è la seguente.

Uno stato che emette moneta non ha bisogno di emettere debito né di pagare interessi.

Se lo fa, è per motivi di opportunità politica. Magari giusti, magari sbagliati. Che però non hanno nulla a che vedere con una condizione di necessità.

Siccome un’economia che cresce ha bisogno che le attività finanziarie in circolazione aumentino nel tempo, è perfettamente normale che il bilancio dello stato sia in deficit, perché deficit significa eccesso di spesa pubblica rispetto alle tasse, e questo deficit rimane in tasca al settore privato realizzando, appunto, il fisiologico incremento di circolazione dei mezzi di pagamento.

Il deficit è a sua volta la differenza tra spese e tasse. La ripartizione delle spese e delle tasse è anch’essa una decisione politica. Che può essere iniqua o criticabile: ma a prescindere che le spese superino le tasse – quindi che esista un deficit – piuttosto che no.

E SOPRATTUTTO: non esiste nessun motivo per affermare che il deficit o il debito vadano ridotti perché creano problemi di “solvibilità” (a meno che non siano finanziati in moneta straniera) o di “equità intergenerazionale” (“il debito sulla testa dei nostri figli”). Se creano un problema, è legato all’inflazione. Nient’altro.

E INFINE: SI’, il debito pubblico corrisponde, CENTESIMO PER CENTESIMO, a credito privato. A valore di chi possiede i titoli. Se c’è una cosa certa, quando si parla di finanza pubblica, è questa.

 

mercoledì 7 agosto 2024

Un cambio di prospettiva per una nuova economia sociale

 Il video del convegno tenuto nella calura milanese  lo scorso 27 luglio. Il mio intervento parte circa dopo 1 ora e 29 minuti, fino a 1 ora e 50 minuti del video. Grazie agli organizzatori e a Ottolina TV.



venerdì 2 agosto 2024

Quando ci si sentiva europei

 

Ho sentito esprimere ad Alessandro Barbero un concetto che mi ha fatto molto riflettere e che ho trovato particolarmente azzeccato. 

In sintesi, si tratta di questo. Era molto più facile sentirsi europei quando l’Unione Europea non esisteva, rispetto ad oggi.

Il motivo principale è che l’Europa ha costruito, in qualche decennio dopo la Seconda Guerra Mondiale, un modello economico-sociale di successo, che ha promosso una crescita economica confrontabile a quella USA (un po’ meno se la misuriamo sulla base del PIL totale, un po’ più sulla base del PIL procapite, dato che la crescita demografica è stata inferiore).

E nello stesso tempo, ha edificato un modello di welfare di cui gli USA non sono minimamente dotati, basato su un sistema pensionistico pubblico, su una sanità pubblica a disposizione di tutti, e su scuole pubbliche di buona qualità, anche quelle aperte a tutti.

Riusciva quindi facile dire: voi sarete la superpotenza economica e geopolitica ma NOI EUROPEI abbiamo qualcosa che a voi manca. Qualcosa di molto importante.

E ora invece l’Unione Europea che cosa sta facendo ? sta cercando di smantellare questo sistema. Non a caso e non involontariamente: per citare l’ineffabile Tommaso Padoa Schioppa, sta spingendo ad “attenuare quel diaframma di protezioni che nel corso del ventesimo secolo hanno progressivamente allontanato l’individuo dal contatto diretto con la durezza del vivere”.

Con questa espressione, tanto soave in superficie quanto sociopatica nel contenuto, TPS, eurocrate fino al midollo, spiega qual è una funzione primaria, forse LA funzione primaria, della UE.

E spiega perché ha ragione Barbero: era molto più facile sentirsi europei prima, visto che dagli USA stiamo prendendo il peggio, e non ne rappresentiamo più un modello altrettanto valido se non migliore, ma una versione peggiorata - con i difetti e senza i pregi. La UE sta smantellando il motivo principale per cui si poteva fieramente dire NOI EUROPEI.

 

sabato 27 luglio 2024

La ricchezza del debito pubblico

 

Il mainstream degli economisti e degli organi d’informazione è riuscito a mettere nella testa di larga parte della popolazione il concetto che il debito pubblico impoverisca il paese, e che di conseguenza sia necessario, essenziale, vitale, indispensabile ridurlo.

E’ un’affermazione completamente infondata.

Il debito pubblico in moneta propria può essere in qualsiasi momento estinto o rifinanziato dal paese che lo emette. Non è un onere, non crea vincoli di solvibilità.

Il debito pubblico corrisponde, centesimo per centesimo, a risparmio di chi possiede i titoli. E il debito pubblico di un paese, e in particolare dell’Italia, è tipicamente detenuto da residenti del paese stesso.

Il debito pubblico è una forma di impiego del risparmio privato che viene automaticamente generato quando lo Stato spende più di quello che tassa. I titoli di Stato sono risparmio, sono valore. Ridurre l’ammontare in circolazione non significa arricchire il paese. Al contrario.

L’eccesso di spesa dello Stato rispetto alla tassazione, cioè il deficit pubblico, oltre certi livelli (che non corrispondono a nessun limite numerico definito a priori) può essere da evitare in quanto inflazionistico. Ma questo è un altro discorso, che non ha nulla a che vedere con la solvibilità dello Stato.

I “vincoli di finanza pubblica”, nei termini in cui ne parla il mainstream, sono una colossale mistificazione. Sono un problema creato senza alcuna necessità. L’ha generato esclusivamente, per quanto riguarda l’Italia, la decisione di aver rinunciato alla propria moneta. Senza alcuna ragione economica.

 

giovedì 25 luglio 2024

martedì 23 luglio 2024

Niente scuse per la Fornero

 


Cottarelli si sbaglia, come si è sbagliata Elsa Fornero, e nessun suo critico si deve scusare. Lo squilibrio tra occupati e pensionati può essere riequilibrato allungando l'età lavorativa (di chi è nelle condizioni di lavorare, s'intende) ma SOLO a condizione che I POSTI DI LAVORO CI SIANO. Il problema della riforma Fornero, in un contesta di feroce austerità promossa da Monti su istruzioni UE, non è di aver fatto lavorare di più ma di aver creato disoccupazione ed esodati. QUESTO è il problema del sistema pensionistico, ma prima ancora dell'economia, finché si seguono le euroricette.

sabato 20 luglio 2024

Come argomentano gli euroausterici

 Qualche giorno fa mi imbatto in un tweet di Riccardo Trezzi, economista sedicente keynesiano, in realtà euroausterico.




La risposta di Riccardo Trezzi (di cui non posso fare screenshot per evidenti motivi) ? "Non sono qui per farmi insultare. Ora la blocco".

Inutile chiedersi dove sarebbe l'insulto. Inutile chiedersi se questa sia un'argomentazione.

Questo è il livello.

martedì 16 luglio 2024

Voleva dire lasche

 Oggi sul Sole 24Ore. Per scrivere sul prestigioso organo della Confindustria, conoscere l'economia non è un requisito indispensabile. Questo lo sapevamo.

Però almeno l'italiano.

Beda Romano a pagina 12.

"Dovrà essere restrittiva nel 2025 la politica di bilancio dei paesi della zona Euro, secondo i ministri delle finanze dell'unione monetaria che si sono riuniti ieri a Bruxelles. La presa di posizione nasce in un contesto economico incerto, ma mentre preoccupa in molti paesi l'elevato debito pubblico. Lo sguardo corre alla Francia. Una fetta dell'establishment tedesco teme che la deriva francese possa condurre altri paesi a politiche troppo lascive".

Zoppica anche la sintassi.

Sull'analisi macroeconomica stendiamo un velo.

mercoledì 10 luglio 2024

Il disastro Giorgetti

 

Come si fa a risollevare il paese se il ministro dell’economia infila una serie di sfondoni come quelli inanellati da Giorgetti e puntualmente riportati dal Sole 24 Ore odierno (pagina 2, articolo sull’assemblea ABI di ieri) ? e come si fa a ritenere la Lega un partito euroscettico e antiausterità, se uno dei suoi principali esponenti si esprime in questi termini ?

“Il ritorno al pareggio del bilancio pubblico al netto dei costi del debito pregresso” è “un dovere morale per le prossime generazioni” prima ancora di essere “un obiettivo politico” o un vincolo comunitario, anche per “uscire dalla condizione di paese ad alto debito perennemente sotto esame”.

Questo ha dichiarato l’ineffabile ministro.

Neanche quattro righe, che contengono però tre autentiche bestialità.

UNO, non c’è nulla di “morale” nel pareggio del bilancio pubblico. Il deficit, cioè l’eccesso di spesa pubblica rispetto alle tasse, è il principale canale tramite il quale lo Stato immette nell’economia mezzi di pagamento, che sono anche unità di potere d’acquisto. E questi mezzi DEVONO crescere nel tempo, perché l’economia e i suoi valori monetari nel tempo CRESCONO. Da cui: la condizione NORMALE del bilancio pubblico è IL DEFICIT, NON IL PAREGGIO. E infatti, salvo rare e transitorie eccezioni, i bilanci pubblici di tutti gli Stati sono in deficit.

DUE, ma se avesse ragione Giorgetti, cioè se il pareggio di bilancio fosse un “dovere morale”, perché allora parlare di pareggio “al netto dei costi del debito pregresso”, cioè esclusi gli interessi ? Gli interessi sul debito pubblico sono una forma di spesa “più morale” rispetto, per esempio, alla spesa per la sanità, per l’istruzione, per le infrastrutture pubbliche ?

TRE, vogliamo capire una volta per tutte che l’Italia NON è un “paese ad alto debito” ? l’Italia è un paese CREDITORE NETTO SULL’ESTERO. Le attività finanziarie e patrimoniali possedute da residenti italiani all’estero sono SUPERIORI ai beni italiani detenuti da stranieri. Quello che è alto è il debito della pubblica amministrazione, che NON è debito del paese, perché in misura preponderante è detenuto da italiani. E (questo spero che lo capisca anche Giorgetti) i cittadini italiani fanno parte del paese tanto quanto la sua pubblica amministrazione.

Un ministro dell’economia che non fa altro se non rifriggere stantii e logori luoghi comuni, smentiti mille volte sia in teoria che in pratica. Come del resto i suoi predecessori. Ma anche peggio.

 

martedì 9 luglio 2024

La truffa europeista

 

E’ perfettamente lecito sostenere che i paesi europei si troverebbero in una posizione economica, geopolitica, sociale molto più forte, molto più solida, molto più prospera, se si fondessero in un’unica entità politica. Non è la mia opinione, ma è assolutamente legittimo esporre e difendere le motivazioni per andare in quella direzione.

E’ però completamente truffaldino affermare che SICCOME l’unità politica è una bella cosa, OCCORRE mettere in atto tutti i possibili passaggi preliminari, in termini di cessioni di sovranità, per raggiungere quell’obiettivo finale.

E’ truffaldino perché l’unità politica non è affatto un obiettivo condiviso dalla maggioranza dei cittadini dei vari stati dell’Unione Europea, paese per paese. E senza questa opinione favorevole, l’unione politica può essere bella o può essere brutta, ma rimane un traguardo verso il quale NON si è ancora formata la volontà di dirigersi.

Nel frattempo le forme di integrazione e di cooperazione messe in atto all’interno della UE non vanno giudicate in funzione di un ipotetico, ma al momento inesistente (nel senso di non condiviso) obiettivo finale: bensì per i risultati che ottengono.

Inutile quindi dire (per esempio) che la moneta unica o le regole di bilancio “magari” hanno dei difetti ma non possono essere messe in discussione per non compromettere l’obiettivo degli Stati Uniti d’Europa. L’obiettivo oggi non c’è.

Ci sono invece i risultati della governance eurozonica. E sono pessimi.

 

sabato 6 luglio 2024

Potenziale di crescita, a breve e a lungo termine

 

La mancanza di potere d’acquisto tarpa la crescita dell’economia, e questo blog è dedicato infatti a spiegare che certi limiti sono puramente artificiali, che sono un fattore di strumentalizzazione politica, e che possono essere rimossi.

Però occorre aver chiaro che i limiti fisici esistono e, inoltre, che non sono gli stessi nel breve e nel lungo periodo.

Esempio.

Supponiamo di voler aumentare il numero di persone, esistenti in tutto il mondo, che sanno leggere e scrivere. E supponiamo che su otto miliardi di persone il numero degli analfabeti sia il 10% del totale, cioè ottocento milioni.

Se avviamo un programma intensivo di istruzione e alfabetizzazione, possiamo insegnare a leggere e a scrivere a tutte queste persone. Servono grandi risorse di strutture e di personale, ma concettualmente è possibile. In quanto tempo ? diciamo in un anno, con un grande sforzo organizzativo.

Bene.

Ora supponiamo di porci un obiettivo ancora più ambizioso. Non ci basta portare il numero degli alfabetizzati da 7,2 a 8 miliardi. Vogliamo arrivare a 10.

E’ concettualmente possibile raggiungere questo obiettivo in un anno ?

No, perché quei due miliardi di persone in più semplicemente non esistono.

E’ possibile in un periodo più lungo ?

Sì, avviando un programma intensivo di supporto alla natalità, incentivando le nascite, generando due miliardi di bambini E POI insegnando loro a leggere e a scrivere.

Dovrebbe essere evidente che generare due miliardi di bambini richiede AL MINIMO nove mesi, e che per alfabetizzare un bambino occorre che raggiunga una certa età, mediamente stimabile diciamo in sei anni.

Per quante risorse si possano mettere a disposizione, aumentare il numero degli individui alfabetizzati sulla terra ha dei tempi. E mentre per un incremento di ottocento milioni il tempo può, almeno in teoria, essere di un anno, per un incremento superiore il tempo non può essere inferiore a oltre sei anni.

Rimuovere i limiti al pieno impiego delle risorse produce risultati di breve termine (metto all’opera le risorse che ci sono) e di lungo termine (creo le condizioni per disporre di più risorse fisiche). Ma i tempi non sono gli stessi. Il recupero del potenziale inespresso può essere relativamente rapido, l’incremento del potenziale massimo richiede più tempo.

Fermo restando che la rimozione dei limiti artificiali alla crescita permette di conseguire entrambi gli obiettivi. In tempi diversi, però.

Applicato all’economia questo che cosa significa ? che se un determinato settore economico ha un 10% di manodopera qualificata inoperosa, quel 10% può essere messo al lavoro in tempi relativamente rapidi. E’ “solo” questione di potere d’acquisto e di domanda.

Ma oltre quel 10%, devo formare nuovo personale qualificato. E questo ha dei tempi più lunghi.