domenica 28 febbraio 2021

Cosa è opportuno fare stampando moneta

 

Gli euroausterici che interloquiscono sui vari social network, in particolare su twitter, svolgono anche alcune funzioni utili. Per esempio, aiutano a mettere in chiaro concetti che diventano evidenti… dopo la spiegazione, ma che magari non lo sono a priori.

Un esempio recente. Domanda “ma se tu sostieni che la moneta può essere prodotta senza limiti (salvo quello della disponibilità di risorse produttive) allora sei a favore di uno stato imprenditore che fa di tutto compreso scarpe e panettoni ? e se no, perché ?”

Risposta.

Lo Stato, emettendo moneta, può mobilitare tutte le risorse produttive disponibili nell’ambito del sistema economico, ed eliminare la disoccupazione.

Ma lo Stato – opinione mia, dato che non credo nel dirigismo spinto e men che meno nella collettivizzazione dell’economia – non deve fare qualsiasi cosa. Si deve occupare di infrastrutture e di beni comuni. Tipo di sanità, autostrade, difesa nazionale, ordine pubblico, protezione del territorio. Non di scarpe e panettoni.

Perché non credo nella collettivizzazione integrale dell’economia ? perché non vedo in quale parte del mondo e in quale periodo storico un modello del genere abbia mai funzionato.

Detto questo, occorre evitare disoccupazione e/o sottoccupazione delle risorse produttive. Come ? immettendo potere d’acquisto nell’economia nella misura necessaria, spendendo più di quanto si tassa: generando quindi un appropriato livello del cosiddetto deficit pubblico (livello che in media NON E' ZERO).

In parte, questa espansione va rivolta agli investimenti infrastrutturali e ai beni comuni, nel senso sopra accennato.

Ma non è appropriato che lo Stato produca scarpe e panettoni, perché quello che non è infrastruttura e che non è bene comune lo fanno meglio i privati, in un ambito di libera iniziativa. E quando necessario, l’espansione produttiva dell’economia privata può essere ottenuta non aumentando la spesa pubblica, ma riducendo le tasse.

Si delinea quindi un modello di economia mista, in cui intervento pubblico e iniziativa privata convivono, e si immettono mezzi finanziari nella misura appropriata a realizzare il pieno impiego delle risorse produttive.

E la ripartizione e le modalità degli interventi vanno decise a valle di un processo politico, impostato secondo gli schemi della democrazia rappresentativa.

Questo è quanto ho visto funzionare molto bene, in particolare in Italia, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e fino all’ingresso nell’euro. E lì occorre tornare.

 

venerdì 26 febbraio 2021

Perché non vogliono

 

Rispondo con piacere a una domanda che mi ha posto un interlocutore twitter, Roberto Terenziani: se emettere Moneta Fiscale / CCF consente di superare le disfunzioni dell’euro, perché non ci si decide a farlo ?

Beh, ho avuto, qualche anno fa, l’opportunità di esporre il progetto in dettaglio a un importante esponente dello schieramento eurista. Per intenderci: illustre cattedratico, cofirmatario di articoli e ricerche con Francesco Giavazzi. Altrimenti detto, uno che non è Giavazzi ma ci lavora a stretto contatto, con un livello di notorietà e di seniority solo un pelo, ma proprio un pelo, inferiore.

Ha capito perfettamente il progetto e non mi ha sollevato nessuna obiezione tecnica. Il commento è stato: “lei ha ragione, funzionerebbe. Ma se viene messo in atto, temo / temiamo che sarebbe il primo passo verso lo scioglimento dell’euro.”

A questo punto ho risposto che emettere CCF / MF in affiancamento all’euro non implica affatto di rompere o sostituire o abolire la moneta unica europea. E’ un sistema studiato in modo da risultare stabile e permanente. E se risolviamo le eurodisfunzioni, l’ultima cosa di cui si parlerà sarà di cambiare moneta. Di sistemi monetari si parla solo quando non funzionano, così come l’aria è un oggetto di dibattito solo se viene a mancare.

Non ha più replicato nulla, salvo ripetere a mo’ di disco rotto “eh ma i mercati non ci crederebbero non ci crederebbero non ci crederebbero”.

La mia impressione è che almeno una parte del problema stia altrove. Se le disfunzioni dell’euro verranno risolte, tante, tantissime persone si troveranno in grave difficoltà. Perché dovranno ammettere di aver raccontato troppe bugie, di aver avallato o messo in atto politiche che senza alcuna necessità hanno prodotto danni ciclopici. In particolare, in Italia.

E’ una riflessione che mi è venuta spontanea allora, e ripensandoci ad anni di distanza penso che rimanga perfettamente valida.

 

martedì 23 febbraio 2021

Ancora sul tema delle aziende “da salvare – o meno”

 

Un’ulteriore riflessione su quanto già argomentato qui. Quale sarebbe il “costo” o lo “spreco” dei salvataggi, che dovrebbe spingere a “essere selettivi”, quindi a sostenere certe aziende, certi settori, ma non tutti ?

La moneta si emette a costo zero. Il “costo” implicito potrebbe essere dato dall’inflazione e dalle sue conseguenze in termini di maggiori futuri tassi d’interesse.

Ma le principali banche centrali del mondo, inclusa la BCE, non potranno che adeguarsi a quello che la Federal Reserve ha già affermato con totale chiarezza: assolutamente nessuna fretta di alzare i tassi d’interesse anche se l’inflazione arrivasse, nel giro di un anno o due, al 3% o al 4%.

La possibile ripartenza dell’inflazione, peraltro, si concretizzerà molto prima negli USA che nell’Eurozona (per tacere dell’Italia). E la ragione è semplicissima: gli USA hanno varato azioni di sostegno dell’economia a colpi di trilioni di dollari. Qui stiamo ancora ad aspettare i 750 miliardi finti del Recovery Fund, di cui si parla da un anno e dei quali non si è ancora visto un centesimo (e probabilmente sarebbe meglio così, visti i lacci e i vincoli con cui arriveranno, se arriveranno).

Ricordiamo poi un punto fondamentale: l’inflazione dipende dell’equilibrio tra offerta e domanda, dove l’offerta è la capacità produttiva del sistema economico. Se proprio vogliamo trovare un motivo per preoccuparci dell’inflazione futura, il meccanismo della sua ripartenza potrebbe quindi essere la contrazione dell’offerta potenziale. E che cosa potrebbe innescarla ? lasciar fallire e chiudere aziende, far decollare ancora di più le insolvenze bancarie, dare di conseguenza dare un’altra martellata all’erogazione di credito.

Il dibattito sulla “selettività dei salvataggi e dei ristori”, in altri termini, è lunare. Completamente insensato e fuori tempo. Proprio per questo, in linea con le abitudini dell’establishment eurozonico.

domenica 21 febbraio 2021

Le polveri asciutte degli eurocritici

 

Leonardo Becchetti, ricercatore economico di provata fede europeista (oltre che cattolica), in questa intervista su “Famiglia Cristiana” esprime ottimismo sulle prospettive dell’azione di governo di Mario Draghi.

Tra le altre cose, afferma che “il primo grande successo “preventivo” del governo Draghi è quello di aver vinto o di aver ridotto ai minimi termini l’antieuropeismo. Anche qui non pensiamo però che sia un risultato magico e irreversibile. Sono stati i progressi della UE, di cui Draghi è stato grande protagonista, a cambiare l’opinione degli italiani e a bagnare le polveri dell’antieuropeismo. La sfida è continuare a produrre risultati in questa direzione”.

Becchetti, però, dà per acquisito qualcosa che non lo è affatto. L’antieuropeismo è vivo, vegeto e tutt'altro che ridotto ai minimi termini. Per la semplice ragione che le disfunzioni della UE e in particolare dell’eurosistema non sono state minimamente risolte.

Che cosa ha al suo attivo Draghi, per che cosa è diventato famoso ? per il whatever it takes del 2012. Per aver evitato la deflagrazione della moneta unica – senza però averne minimamente risolto le disastrose implicazioni in termini di compressione della domanda, di impatto deflattivo, di crescita delle diseguaglianze.

Forse, nella sua posizione di presidente BCE, non poteva fare di più. Oggi, nella sua posizione di presidente del consiglio italiano, può, come ho spiegato qui.

Se esponenti politici in passato dichiaratamente eurocritici oggi lo sostengono, è per la speranza che le eurodisfunzioni possano essere superate da qualcuno che ha le competenze necessarie per riuscirci.

Ma se avverrà, sarà la prova che gli eurocritici avevano ragione nella loro analisi. Mentre si sbagliavano nel ritenere che il sistema UE / euro non avrebbe saputo correggersi.

Questa autocorrezione, però, al momento è una speranza, non un fatto.

Sperare è lecito. Ma “i risultati nella giusta direzione” di cui parla Becchetti al momento non ci sono. E di conseguenza, comprensibilmente e correttamente, l’antieuropeismo è più vivo che mai.

mercoledì 17 febbraio 2021

Il surreale dibattito sulle aziende da salvare

 

Tra molti se e molti ma, il recente eurogruppo ha posto sul tappeto il tema delle aziende da sostenere finanziariamente – o meno. Dibattito che riecheggia, peraltro, alcuni contenuti del paper presentato pochi mesi al “Group of 30” nientemeno che da parte di… Mario Draghi.

Ma se si ragiona in termini di “quali aziende sono da salvare”, l’implicazione e che ne esistono altre da NON salvare. Da scegliere COME ?

Partiamo dal presupposto che il Covid prima o poi passerà. Quali “cambiamenti strutturali e quindi permanenti” si saranno prodotti ?

Il turismo, lo spettacolo, gli eventi sportivi, i viaggi, non torneranno quelli di prima ?

Gli unici cambiamenti che mi sembrano ben identificabili sono che almeno in una certa misura lo smart working rimarrà (quantomeno per certe attività, soprattutto di natura professionale), e la transizione verso il commercio online e la fruizione da casa di contenuti mediatici on demand avrà avuto un’accelerazione permanente.

Sono ipotizzabili meno viaggi di business, meno pendolarismo, meno affollamento dei centri urbani.

Ma un ristorante fuori dal centro cittadino, o un resort turistico marittimo o montano, perché mai non dovrebbero tornare ai livelli di attività precedenti ?

Non sono settori che vanno “aiutati a fallire”; si tratta solo di rifondere l’impatto della temporanea riduzione di attività.

Se, in particolare in settori quali turismo e spettacolo, molte imprese diventano insolventi non è perché sono “strutturalmente minate” ma perché hanno accumulato debiti e perdite durante il periodo in cui sono state costrette a non lavorare.

Le politiche economiche devono essere molto più orientate al sostegno generale del sistema, con deficit pubblici monetizzati, invece di adottare un approccio dirigista – figlio della pretesa di individuare tendenze strutturali create dal Covid che salvo casi limitati, del tipo sopracitato, non esistono o comunque non sono identificabili con certezza.

Purtroppo la UE rimane condizionata dalle sue tare di sempre: deflazionismo e dirigismo. Il che rischia, tanto per cambiare, di produrre effetti molto, molto deleteri.

 

domenica 14 febbraio 2021

Se volete sapere che cosa penso del governo Draghi

 

ripassate tra poche settimane, credo un mese al massimo.

Al momento ripeto solo quanto detto in varie occasioni passate.

Draghi non è Monti: non è un arrogante e borioso incompetente, che ha fatto carriera solo perché asservito a interessi potenti.

Draghi è estremamente abile e scaltro.

Dopo essersi costruito un’enorme reputazione nelle sue vesti di presidente BCE, faccio fatica a pensare che se la rovinerà infliggendo all’Italia una riedizione del 2011-2012.

Perché, ricordiamolo, la reputazione di Monti è uscita distrutta (giustamente) da quell’esperienza.

Per rifare i disastri di Monti, del resto, non serviva Draghi.

Come Draghi può risolvere la situazione (sul piano dell’economia) l'ho spiegato qui.

Draghi che risolve le disfunzioni dell’eurosistema ? di un assetto ha contribuito come pochi altri a creare ? non sarebbe un paradosso ?

Certo. Ma ricordate che la storia è piena di paradossi.

Churchill che smonta l’impero britannico.

De Gaulle che abbandona l’Algeria.

Nixon che si ritira dal Vietnam.

E tanti altri.

venerdì 12 febbraio 2021

Gli insidiosi keynesiani da salotto

 

Gli economisti possono essere divisi in tre categorie, sulla base delle loro opinione in merito all’opportunità e utilità dei deficit di bilancio.

La prima categoria la denomino “euroausterici”. Vi appartengono i sostenitori del pareggio di bilancio, se non addirittura della virtuosità dei surplus nei conti pubblici. Non si trovano solo nei paesi appartenenti all’Eurozona, ma fanno danno soprattutto lì, perché l’austerismo permea i trattati e i meccanismi che governano il funzionamento dell’eurosistema. Sul piano teorico e concettuale, tuttavia, sono completamente screditati.

La seconda categoria è quella dei “gufi del deficit”, denominazione che danno di se stessi, in particolare, gli aderenti alla MMT. Nelle loro parole: non siamo né “falchi” né “colombe”. Siamo gufi del deficit perché sappiamo che un paese dotato della sua moneta può sempre finanziare il suo deficit emettendo la moneta stessa (o emettendo debito espresso in quella, che è pressoché la stessa cosa, dal punto di vista della solvibilità).

I “gufi del deficit”, con saggezza da gufi (appunto), non si preoccupano del livello del deficit, né del debito, pubblico. Sanno che il deficit deve essere quanto serve a portare il sistema economico al pieno utilizzo delle proprie risorse produttive, senza generare livelli eccessivi d’inflazione. Il deficit è lo strumento per immettere potere d’acquisto nel sistema economico, ed è la via più potente per assicurare il pieno impiego.

La terza categoria è quella che ho battezzato “keynesiani da salotto”. Sono quelli che hanno capito le cose a metà. Concordano che quando esiste forte disoccupazione i deficit di bilancio pubblico sono necessari. Ma si lambiccano con astruserie tipo “la relazione tra r e g”, dove r è il tasso d’interesse e g il tasso di crescita nominale dell’economia. Se r supera g, argomentano, si rischia una spirale di crescita ininterrotta del debito pubblico.

I “keynesiani da salotto” ignorano fatti rilevanti, ormai comprovati. Tra i quali (1) il fatto che uno Stato che emette la sua moneta non ha bisogno di emettere debito (2) se decide di farlo, ovvero se decide di offrire una forma di impiego senza rischio ai risparmiatori, può fissare a piacimento il livello del tasso d’interesse su quell’impiego.

Il capofila dei keynesiani da salotto è probabilmente Olivier Blanchard, ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale.

I keynesiani da salotto per certi aspetti sono ancora più insidiosi degli euroausterici. Al contrario di questi ultimi, non sono screditati, suggeriscono interventi di politica economica in molti casi analoghi a quelli sostenuti dai gufi del deficit, ma sempre con il freno a mano mezzo tirato, sempre con retropensieri insensati che li spingono ad arzigogolare su livelli massimi di deficit e di debito, su “limiti di velocità” che non sono quelli reali, a pensare che il vincolo alla crescita non siano le risorse produttive fisiche, ma grandezze finanziarie che il settore pubblico può invece emettere a costo zero.

La battaglia concettuale (anche se purtroppo non ancora, in particolare nell’Eurozona e in Italia, quella politica) contro gli euroausterici è vinta. La battaglia contro i keynesiani da salotto non ancora. E’ importante riuscirci: i falsi amici portatori di mezze verità possono essere più insidiosi degli avversari dichiarati.

 

lunedì 8 febbraio 2021

Draghi ha a disposizione vari meccanismi

 

Poniamo che (è un’ipotesi, non una certezza) Mario Draghi voglia ottenere una forte ripresa economica, un rapido pieno recupero del PIL ai livelli pre-Covid e poi una crescita del 3% medio per i cinque anni successivi.

Per ottenere questo risultato, le “riforme strutturali” (di cui sicuramente non mancherà di decantare, a parole, l’utilità) sono totalmente irrilevanti (se non controproducenti). Serve invece immettere potere d’acquisto nel sistema economico. Servono soldi in tasca a cittadini e aziende, servono investimenti pubblici, assunzioni nel settore pubblico, sostegno e incentivi agli investimenti privati, minori tasse.

Quali meccanismi ha a disposizione, Draghi ?

Secondo Giovanni Zibordi, la chiave potrebbe consistere nella ripartenza del credito privato. Di cui si parla poco: ma è vero che la depressione economica italiana è stata pesantemente aggravata dalla contrazione dei finanziamenti bancari, calati di 300 miliardi su base annua dalla crisi Lehman del 2008 in poi.

Quindi invertire la tendenza sarebbe senz’altro molto utile. Ma il credito privato riparte DOPO che qualche altro meccanismo ha immesso il potere d’acquisto necessario a stimolare consumi e investimenti, DOPO che la domanda si riavvia e si inizia a creare un clima generale di maggiore ottimismo, di maggiore fiducia.

Il credito privato, in altri termini, svolgerà un ruolo di amplificazione e accelerazione della ripresa. Ma il segnale di partenza deve arrivare da qualcos’altro.

Draghi, tuttavia, può utilizzare varie altre leve, ovviamente anche in combinazione.

Può spingere sul deficit pubblico, almeno fino al momento in cui il patto di stabilità e crescita rimarrà sospeso. Quantomeno per il 2021 e forse / probabilmente anche per il 2022.

Può rendere più solidi ed efficienti i germogli di Moneta Fiscale contenuti in iniziative quali l’ecobonus 110%: estendendoli, semplificandone l’utilizzo, affiancandoli ad altre iniziative simili, avviando la piattaforma di negoziazione e scambio dei crediti fiscali.

Un contributo di breve termine può darlo anche il recovery fund. Che è pessimo, ma temporaneamente può aiutare: nella misura in cui almeno per il 2021 e il 2022 un po’ di contributi a fondo perduto saranno erogati senza che siano ancora entrati in vigore (quantomeno, non per pari importo) gli interventi compensativi (tasse e maggiori versamenti al bilancio UE).

Anche l’espansione del credito bancario, in effetti, può essere parte del “pacchetto d’innesco”, ma solo in conseguenza di un intervento pubblico. In altri termini, se verranno offerte forme di garanzia statale (come ha già fatto il Decreto Liquidità, ma con schemi d’intervento molto più ampi e molto meno burocratici). Naturalmente occorre poi che la ripresa parta vigorosamente. E’ la condizione per evitare che le garanzie pubbliche non vengano escusse in futuro (se non in parte minore, o minima).

Quest’ultimo è lo strumento descritto da Draghi stesso nell’articolo pubblicato sul Financial Times nel marzo scorso. Utile se ben disegnato, ma da solo insufficiente.

La combinazione di questi interventi può funzionare, soprattutto se nel frattempo il lockdown terminerà (il che naturalmente è già da solo un fattore di rimbalzo, almeno parziale, del PIL).

Insomma Draghi può ottenere una forte ripresa dell’economia italiana. Ne ha le competenze. Ne ha gli strumenti.

La domanda è se ne ha anche la volontà e l’agibilità politica.

La risposta l’avremo entro poche settimane, due mesi al massimo.

 

venerdì 5 febbraio 2021

Se la moneta è neutrale, provate con il baratto

 

Gli euroausterici sono gente buffa. Accusano persone come me – che spiegano la crisi economica in termini di insufficiente circolazione del potere d’acquisto – di “voler stampare la ricchezza”. E non si rendono conto che sono invece LORO a credere di arricchire un paese prendendo a prestito la moneta forte altrui.

Già, perché l’euro è una moneta che lo Stato italiano non emette. Il che vuol dire che la prende a prestito da entità esterne. La BCE e i mercati finanziari.

Ma limitandoci alla prima affermazione – “la ricchezza non si stampa”: il sottointeso è che la quantità di mezzi finanziari in circolazione, la disponibilità, in adeguata dimensione, di un titolo che rappresenti un efficace intermediario di scambio, sia irrilevante per il corretto funzionamento del sistema economico. Contano la produttività fisica, la tecnologia, l’organizzazione, e nient’altro.

In altri termini, “la moneta è neutrale”.

Bene: se pensate che la moneta sia neutrale, chiedetevi quale economia sviluppata possa mai esistere al mondo fondandosi su un sistema di baratto. Nessuno strumento finanziario per fluidificare gli scambi: se faccio il salumiere pago il dentista con venti chili di prosciutto. Se faccio l’idraulico, compro un armadio e saldo il prezzo aggiustando il lavandino del mobiliere.

Un po’ difficile far funzionare le cose in questo modo, vero ?

Ecco, chi crede che “la moneta sia neutrale”, che in situazione di pesante sottoccupazione delle risorse produttive (e in assenza d’inflazione) non abbia nessuna utilità immettere nel sistema economico maggior potere d’acquisto sotto forma di attività finanziarie (altrimenti detto, di soldi) sostiene (senza accorgersene) non solo che la moneta sia neutrale, ma che, di fatto, la moneta sia superflua.

Basterebbe questo per comprendere quanto siano insensate le argomentazioni degli euroausterici.

mercoledì 3 febbraio 2021

Credibilità

 

Quando si parla della posizione dell’Italia nel contesto economico internazionale, un commento ricorrente è che il nostro paese “manca di credibilità”. E questo ne limiterebbe lo spazio di azione anche se uscissimo dall’euro tornando alla lira, o se non ci fossimo mai entrati, o se iniziassimo a emettere CCF.

Ora, questo commento lo formulano in genere persone che si fanno facilmente influenzare dai titoli di alcuni giornali stranieri, magari della Bild (che ama il leitmotiv “italiani pizza mafia mandolino baffo nero”) o del Financial Times (che spesso scrive cose simili, in termini più eleganti).

Se invece vogliamo dare un contenuto un po’ più serio e solido alla nozione di “credibilità”, dobbiamo fare riferimento ad altri fattori. In particolare, alla qualità del sistema produttivo e alla capacità di mantenere in equilibrio i saldi commerciali esteri in condizione di pieno impiego.

Un’economia dotata di un tessuto aziendale di alta qualità è in grado finanziare con l’export le importazioni di materie prime, e di sostituire con produzioni interne la grande maggioranza delle altre.

In questa situazione, una svalutazione reale (cioè superiore a quella giustificata dalle differenze di inflazione e di costi per unità di prodotto) produce un effetto espansivo sulle esportazioni nette, e limita a livelli bassissimi (o nulli, in condizioni di sottoutilizzo delle risorse produttive: vedi qui) il pass-through svalutazione-inflazione.

L’impatto della svalutazione sull’inflazione è modesto perché i concorrenti esteri non possono aumentare i prezzi di vendita in misura pari alla svalutazione: se lo fanno, perdono mercato a vantaggio dei produttori locali (appunto perché la capacità di sostituire le importazioni è elevata).

Questa è la situazione dell’Italia, che la pone in una categoria del tutto diversa rispetto a quella di un tipico paese sudamericano o africano.

La speculazione ? i mercati finanziari ? l’Italia, con la sua moneta e con un regime di cambio flessibile, non può essere spinta al default dai mercati. Può subire pressioni sul cambio, ma una svalutazione reale genera, per la ragione sopra descritta, effetti di competitività e di miglioramento dei saldi commerciali che invertono rapidamente la tendenza.

Detto altrimenti, se l’Italia uscisse dall’euro, un riallineamento valutario del 20% rispetto al Nord Europa ci starebbe. Del 50% no: rientrerebbe rapidamente, sarebbero i tedeschi stessi a dover intervenire per limitare l’overshooting.

E, tenuto conto anche (per non dire soprattutto) dell’attuale pesantissimo sottoutilizzo di potenziale produttivo, potrebbe immettere potere d’acquisto nell’economia e incrementare domanda, produzione e occupazione, senza alcun impatto preoccupante sull’inflazione.

Un paese privo di un sistema produttivo della nostra qualità può invece trovarsi in una situazione problematica a causa di una svalutazione reale. Peraltro, non la risolve indebitandosi in valuta estera forte, cioè sostituendo un rischio di inflazione con un rischio di default. Anzi.

Questo è il motivo per cui l’Italia, con la sua moneta, era – e sarebbe di nuovo se uscisse dall’euro – un paese ALTAMENTE credibile. Perché il vero fattore di credibilità, il fattore reale rilevante, è la capacità di concepire e produrre beni richiesti dappertutto. E l’Italia sotto questo profilo sta un passo indietro rispetto alla Germania, ma dieci, cinquanta o cento passi avanti rispetto a un paese del terzo mondo.

Su questo si valuta la “credibilità”. Qualunque cosa dicano le chiacchiere da bar, categoria a cui sono assimilabili quasi tutti gli articoli della Bild, e parecchi del Financial Times.