mercoledì 26 dicembre 2018

Debito: la soluzione che non si vuole vedere


Un articolo uscito pochi giorni fa (di Satyajit Das, ex banchiere ed economista indiano emigrato in Australia) è un esempio tra i tanti di come l’establishment finanziario internazionale vede, generalmente, il problema del debito.

Già il titolo è indicativo: “The World Will Pay for Not Dealing With Debt”. Il contenuto si riassume grosso modo come segue: la crisi finanziaria del 2007-2009 è stata una conseguenza dell’”eccesso di debito”. E le soluzioni messe in atto successivamente hanno solo posposto, non risolto il problema.

Anzi, i tassi di interesse a zero, il Quantitative Easing, la corsa di tanti paesi a indebolire la propria moneta hanno peggiorato la situazione, inducendo a coprire con nuovo debito i problemi nati dal vecchio, e spingendo a impiegare le risorse finanziarie con poca o nessuna considerazione per le ricadute in termini di crescita e di produttività.

Prima o poi tutto questo darà luogo a una catena di deleveraging tramite default o ristrutturazioni, con conseguenze inquietanti per l’economia reale.

Tra tutte queste considerazioni, spicca per la sua assenza quella che a mio modesto avviso dovrebbe essere la più semplice e ovvia. Se c’è “troppo debito” – non è chiaro “troppo” rispetto a quali parametri, ma comunque se ce n’è “molto” in circolazione – ma nello stesso tempo l’unico problema che il mondo in questi anni non ha avuto è l’inflazione, qual è il motivo tecnico o teorico per cui nella misura necessaria questo debito non possa essere sostituito da qualcosa che debito non è – la moneta ?

L’articolo non considera e non cita minimamente questa eventualità. Sembra essere un dogma: si può fare e si può prendere in considerazione di tutto, ma immettere moneta per sostenere i redditi (specialmente a favore delle classi sociali disagiate), per ridurre le tasse, per rilanciare gli investimenti pubblici – no, tutto questo no.

Invece dovrebbe essere la strada ovvia e naturale, specialmente se le ipotesi alternative comportano rischi così drammatici come quelli descritti nell’articolo.

Eppure di Helicopter Money aveva ampiamente parlato, decine d’anni fa, un liberista puro del calibro di Milton Friedman (non solo economisti ultrapostkeynesiani, quindi).

Eppure anche dove gli assetti istituzionali hanno portato al massimo grado il principio dell’indipendenza della Banca Centrale rispetto ai governi, sono concepibili e attuabili meccanismi che raggiungono gli stessi risultati – come la Moneta Fiscale, ben nota a chi segue questo blog.

Se il debito spaventa perché ne esiste “molto” rispetto a redditi e produzione, se l’inflazione non è il problema (anzi lo è perché, in particolare nell’Eurozona, è troppo bassa, non viceversa), se molti paesi (tra cui in primo luogo l'Italia) hanno un'enorme quantità di disoccupazione e di sottoccupazione, le strade da percorrere sono molto chiare.

Rilancio dell’economia con un’azione governativa basata su strumenti monetari e non su emissione di debito. E ripristino di migliori livelli di produzione e soprattutto di occupazione, con tutti i benefici che ne seguono non solo in termini di stabilità finanziaria, ma anche e soprattutto di equilibrio e di coesione sociale.

Problemi, questi ultimi, che dovrebbero essere ben chiari nella testa dei policymakers, che invece dedicano molto tempo a interrogarsi sulla “crescente ondata populista” e molto meno a identificarne e a rimuoverne le cause – anche quando sono ovvie ed evidenti.

L’establishment finanziario (che influenza fortemente quello politico) tutto ciò si ostina, salvo eccezioni purtroppo minoritarie, a non volerlo vedere e capire. Il problema è questo, non certo la mancanza di soluzioni tecniche.


sabato 22 dicembre 2018

I curiosi tentativi di smontare la Moneta Fiscale sul piano giuridico


Sono curiose le dissertazioni di alcuni commentatori secondo i quali il progetto Moneta Fiscale (MF / CCF, come lo chiamo abitualmente) non sarebbe giuridicamente sostenibile in quanto violerebbe i trattati e regolamenti che governano l’Eurosistema.

Un esempio molto recente è questo. Ma le violazioni non sussistono, come in sintesi è illustrato, per esempio, alle pagine 6, 7 e 9 di questa presentazione.

L’aspetto che mi spinge a definire “curiosa” la posizione di chi argomenta il contrario però è un altro. Qual è l’alternativa proposta ? il breakup, la rottura secca dell’euro.

Detto in altri termini: siccome abbiamo il sospetto che il progetto MF / CCF non sia conforme ai trattati… andiamo alla rottura, che CERTAMENTE NON LO E’.

Non so a voi, ma a me la contraddizione appare evidente.

L’articolo di cui al link elenca poi una serie di possibilità tramite cui i “poteri forti”, variamente definiti, potrebbero ostacolare il progetto MF / CCF.

Ma queste non sono analisi giuridiche, sono valutazioni dei rapporti di forza. Possono rivelarsi corrette o meno, l’unico modo di averne certezza è avviare il progetto. Di sicuro, però, con i temi giuridici non hanno nulla a che vedere.

Mentre è sicuro che i temi giuridici sarebbero un grosso impedimento quanto allo scenario di breakup. Che per di più (cosa a mio giudizio senz’altro più importante) è molto, ma molto più complesso sul piano operativo.

In sintesi: tra una strada (relativamente più) semplice e una (molto più) complicata, dove la più complicata è peraltro quella SENZ’ALTRO non conforme ai trattati, a me pare che non ci sia da discutere su quale sia la strada più plausibile: la prima, quindi il progetto MF / CCF.

Certo, serve un governo con idee chiare, determinazione e forte volontà politica. Ma se questi presupposti non esistessero per il progetto MF / CCF, non è minimamente pensabile che sussistano per il breakup.

Mi pare che la scelta tra la due alternative sia chiara, e la valutazione giuridica del problema, lungi dallo smentirlo, lo conferma.


mercoledì 19 dicembre 2018

Mario Draghi che scende in politica ?


L’ipotesi di Mario Draghi presidente del consiglio italiano al termine del suo mandato in BCE – termine ormai non molto distante: la scadenza è novembre 2019 – riaffiora con regolarità.

Quanto è plausibile, questa ipotesi ? servirebbe, in primo luogo, una maggioranza parlamentare disposta a votargli la fiducia. Che non si vede, data l’attuale composizione del parlamento, e ancor meno in caso di ipotetiche elezioni anticipate: almeno stando ai sondaggi che continuano ad attribuire a Lega + M5S il 60% dei suffragi.

A prescindere dalle maggioranze parlamentari, comunque, che possono sempre evolversi (magari anche in modo oggi inaspettato), l’ipotesi di Mario Draghi premier mi lascia perplesso per un’altra ragione.

Draghi gode di un’altissima reputazione presso l’establishment, italiano e ancora di più internazionale. E’ l’uomo che ha tenuto insieme l’euro quando stava per rompersi, che ha introdotto il QE contro le resistenze tedesche. Certo, non ha risolto l’eurocrisi. Ma è un eroe per chi voleva e vuole la sopravvivenza del sistema attuale.

Ora, vi immaginate Draghi nei panni di un Mario Monti 2, o peggio ancora di un Enrico Letta 2 ? intento a eseguire pedissequamente le istruzioni che arrivano da Bruxelles ?

Io no, anche perché significherebbe essere al governo di un paese in perenne depressione economica e a costante rischio di tracollo finanziario. Monti e Letta hanno fatto quello che gli veniva richiesto (dai loro mandanti esterni) ma non ne sono certo usciti con un’immagine vincente.

A Draghi interessa seguirli su questa strada ? io non credo.

Altro discorso è un Draghi che arriva, risolve i problemi dell’economia italiana e attua una forte azione di rilancio – senza rompere l’euro.

E la strada per ottenere tutto questo esiste. E’ il progetto CCF / Moneta Fiscale. A favore del quale Draghi non spenderà mai una parola… fino al momento in cui gli facesse gioco metterlo in atto.

Oh, se mai tutto questo avverrà, il progetto cambierà senz’altro nome, e con ogni probabilità anche vari dettagli operativi. Perchè dovrà essere il “progetto Draghi”. Il che comunque è possibile, senza che venga meno la sostanza.

Prendetelo come un esercizio di totale fantaeconomia politica. Le probabilità di questo scenario non provo neanche a stimarle. Una su cento, una su un milione, meno ancora ?

Però rifletteteci. Magari è uno scenario meno assurdo di altri.


domenica 16 dicembre 2018

Una soddisfazione me la voglio togliere


Sarà una soddisfazione da poco. Sarà “una gloria da stronzi” (cit. Francesco Guccini, “L’avvelenata”).

Però mi tolgo il gusto di farlo notare. Per anni un discreto numero di eurocritici mi hanno dato del “criptoeurista” perché non mi allineavo alla parola d’ordine “breakup o niente, è l’unica strada”.

Al punto da essere escluso dalla partecipazione ad alcuni convegni (niente che avrebbe cambiato la vita di nessuno, beninteso…) appunto perché proponevo una via “morbida” e non dirompente.

Adesso i “duri e puri” stanno assistendo (anzi alcuni di loro che hanno posizioni parlamentari o governative ne sono parte) al balletto di decimali sul deficit / PIL 2019, e nel frattempo l’eventualità di un breakup viene vigorosamente negata.

Il pregio della coerenza penso che mi debba essere riconosciuto. Io ho proposto fin dal 2012 il progetto CCF e non il breakup non perché quest’ultimo sia impossibile (non lo è).

E neanche perché l’opinione pubblica sarebbe contraria. Non ho idea se effettivamente, in maggioranza, lo sarebbe o no: ma comunque, i cambiamenti di regime monetario non avvengono a causa di quello che pensa la maggioranza della popolazione. Non si è fatto un referendum per decidere la rottura dello SME nel 1992. E i sondaggi di opinione tra la popolazione argentina davano un 70% a favore di mantenere la convertibilidad, il cambio 1:1 peso – dollaro.

E del resto, immaginate di fermare una persona per la strada chiedendogli “tu hai pesos in banca, e valgono come dollari. Ti va bene se questo non è più vero, con la conseguenza che i tuoi pesos perderanno due terzi del loro valore ?” (del loro valore esterno, quantomeno). E' poi così strano che molti rispondano no ?

I cambiamenti di regime monetario avvengono perché le circostanze li rendono inevitabili. La convertibilidad finì perché l’Argentina non aveva più dollari per convertire i pesos. Lo SME si ruppe perché l’Italia (ma anche il Regno Unito, la Svezia e la Spagna) terminarono le riserve valutarie disponibili per sostenere il cambio.

L’Eurosistema è pesantemente, enormemente disfunzionale. Ma un meccanismo che faccia scattare un evento tipo SME 1992 o Argentina 2001 non esiste.

Mentre rimangono tutti i problemi tecnici e legali connessi alla ridenominazione dei contratti in essere, e alle turbolenze di mercato nell’imminenza della possibile rottura.

Non sono problemi insormontabili, ma rendono veramente difficile percorrere la strada del breakup in presenza di una volontà politica che oggi (ma penso nemmeno in futuro) non è coesa e unanime al 100%. Su temi come questo, in effetti, non lo è mai.

E allora, dicevo, lasciatemi la mia irrilevante soddisfazione. I duri e puri oggi dicono tutt’altro rispetto a qualche anno fa.

Io dico la stessa identica cosa. CCF / Moneta Fiscale.


venerdì 14 dicembre 2018

Quello che preoccupa è l'assenza di strategia


Almeno, sulla base di quanto si vede.

Mi riferisco al processo di definizione della legge di bilancio 2018 e alle interazioni con la commissione UE.

Il problema va al di là di un deficit / PIL al 2,4% o al 2,04% o a chissà quale numero.

Il problema è che il tira e molla sui decimali avviene su livelli che non hanno nulla a che vedere con quanto servirebbe per dare il necessario colpo di reni all’economia italiana, specialmente in un contesto di rallentamento internazionale (e, soprattutto, europeo).

I partiti di governo e parecchi loro economisti di riferimento hanno creato grande interesse mediatico, in passato, criticando (con motivi fondatissimi, beninteso) l’euro e i meccanismi di funzionamento dell’Eurosistema.

Tanto è vero che, personalmente, mi sono spesso sentito dare del “criptoeurista” perché proponevo una strada diversa, sulla base di una semplice considerazione tecnica (molto più e molto prima che politica): rompere l’euro è, semplicemente, molto complicato.

Non impossibile, beninteso: le cose impossibili sono altre (buttarsi dalla finestra dall’ottavo piano e volare agitando le braccia, tipo). Ma veramente molto complesso.

Se rompere l’euro è tecnicamente così difficile, se la ridenominazione di attivi e passivi è un processo irto di potenziali problemi sul piano tecnico e legale, c’è un’altra possibilità da prendere seriamente in considerazione: il progetto Moneta Fiscale / CCF.

Sono di parte perché è la mia proposta da, ormai, più di sei anni: ma continuo a non vedere alternative percorribili – in pratica se non in teoria.

Era la strada da percorrere fin dall’inizio. Ma comunque è una via tuttora aperta. Raggiungiamo un qualche tipo d’accordo sulle soglie di deficit, e utilizziamo in aggiunta i CCF nella quantità necessaria a invertire decisamente il trend dell’economia italiana.

Con poco rumore, poco battage mediatico, ma con fatti concreti.


martedì 11 dicembre 2018

Il disonore e la guerra


Andunedhel scrive oggi su Twitter: “Io mi domando cosa possa pensare lo spirito di Churchill nel vedere il primo ministro di Sua Maestà andare a Berlino, e poi a Bruxelles, con il cappellino in mano come un cazzabubbolo qualsiasi. Poi dice che la Brexit non ha senso”.

In realtà, tuttavia, quanto sta accadendo non è nulla di nuovo, men che meno per Churchill: che vide il suo predecessore Neville Chamberlain fare - mutatis mutandis - qualcosa di molto simile quando firmò il patto di Monaco.

Il commento del buon Winston ai tempi rimase celebre: “Avevano da scegliere tra il disonore e la guerra. Hanno scelto il disonore, e avranno la guerra”.

Perlomeno Chamberlain ai tempi era motivato dalla sincera volontà di evitare un conflitto mondiale. Era un illuso, ma almeno non si può dubitare (almeno, io non ne vedo il motivo) della sincerità delle sue intenzioni.

Theresa May invece mi suscita più di un dubbio. Quali argomentazioni, e provenienti da chi, hanno potuto indurla a negoziare un accordo privo di qualsiasi senso per il suo paese – e che, prevedibilmente, il parlamento britannico ha rigettato ?

Qui non si tratta di evitare una guerra mondiale, ma semplicemente l’hard Brexit. Che a questo punto mi sembra uno scenario con un significativo grado di probabilità.

Ma non preoccupatevi (più di tanto). Non è una guerra.


domenica 9 dicembre 2018

Ancora sulle pensioni, in sintesi


Riprendo qui e metto in evidenza il commento di un lettore al precedente articolo, per inquadrare il nocciolo della questione: gli effetti espansivi degli interventi sulle pensioni (e sui trasferimenti in genere).

“Credo derivi dalla solita confusione tra PIL effettivo e PIL potenziale, per cui se paghi la pensione al pensionato o il reddito di cittadinanza a uno che sta a casa non produci niente. Non si rendono conto che il PIL effettivo è ben al di sotto del PIL potenziale e che l’importante è che girino più soldi, detto brutalmente”.

La chiave è proprio questa. Ed è un’assurdità sostenere che non esista un fortissimo sottoutilizzo di risorse produttive nell’ambito del sistema economico. Sono del tutto cervellotici i tentativi di UE, FMI, OCSE di negare o minimizzare il fenomeno: basta ragionare brevissimamente sui dati.

Altrettanto assurdo è affermare che i trasferimenti (non solo le pensioni ma appunto anche, per esempio, il reddito di cittadinanza) verrebbe “risparmiato e non speso” nel momento in cui la propensione al consumo della popolazione italiana è vicina al 100%, com’è tipico delle fasi di depressione economica.

Esiste naturalmente una gerarchia di efficacia degli interventi di politica economica, ed è possibile e anche plausibile sostenere che il mix di azioni sarebbe ancora più proficuo se maggiormente rivolto a investimenti, spesa diretta o riduzione del cuneo fiscale a vantaggio delle imprese. Se ne era parlato qui.

Ma questo è un tema che riguarda la composizione degli interventi, non il principio generale che il miglioramento dell’economia italiana richiede un’azione espansiva su domanda e capacità di spesa.


venerdì 7 dicembre 2018

Pensioni e dintorni


Tra i provvedimenti inclusi nella manovra economica 2019, uno dei più rilevanti – e anche dei più discussi – è la modifica del sistema pensionistico con l’introduzione di “quota 100” (la possibilità, in altri termini, di andare in pensione se la somma dell’età e degli anni di contributi pagati da parte del lavoratore è almeno pari a 100).

Al di là dei dettagli, il dibattito è su una questione di base, in quanto molti commentatori sostengono che l’anticipo dell’età pensionabile non ha effetti espansivi per l’economia, non produrrà maggiore occupazione e provocherà, anzi, conseguenze negative sui conti dell’INPS.

Come in altre occasioni, mi pare che ricondurre il tema ai suoi effetti macroeconomici essenziali sia il modo migliore per chiarirlo.

Un incremento dei benefici pensionistici non compensato da altre azioni di segno opposto produce l’immissione di maggior potere d’acquisto nell’economia.

L’economia italiana soffre di un'enorme carenza di potere d'acquisto rispetto alla capacità produttiva del sistema: un’azione che mette in circolazione più potere d’acquisto va quindi (a parità di altre condizioni) nella direzione giusta.

Se la domanda aumenta, le aziende avranno bisogno di accrescere la produzione, e quindi di assumere, in proporzione anche superiore al numero di dipendenti che lasceranno il posto di lavoro per accedere alla pensione.

Al contrario, se si pretende di effettuare manovre “a saldo zero”, senza che si crei un impulso fiscale netto positivo – se a fronte di maggiori benefici pensionistici si tagliano o si tassano altre cose, in altri termini – l’immissione netta di potere d’acquisto non si verifica.

A quel punto, occorre prendere in esame gli impatti effettivi dei singoli provvedimenti. I maggiori benefici pensionistici sono un trasferimento, che si traduce in maggiore domanda al netto della quota che viene risparmiata e non spesa, nonché (se non si interviene sulla competitività delle aziende, per esempio con azioni sul cuneo fiscale) del peggioramento dei saldi commerciali esteri.

Questo però non significa che i trasferimenti non abbiano effetto espansivo sulla domanda, come a volte si legge. Significa che un’azione di incremento degli investimenti pubblici (mettendo al lavoro risorse produttive al momento non occupate o sottoccupate) o un potenziamento del pubblico impiego (e ci sono molti settori di attività dove se ne sente il bisogno: sanità, istruzione, tutela del territorio e molti altri) hanno probabilmente un impatto (un effetto espansivo) maggiore, perché si traducono direttamente in maggior domanda e in maggior PIL, senza l’erosione dovuta alla quota risparmiata e non spesa.

Va anche detto che, in un contesto economico depresso come quello italiano di oggi, la propensione marginale a risparmiare è bassa, quindi il moltiplicatore dei trasferimenti è sì, con ogni probabilità, inferiore a quello della spesa diretta, ma solo in misura modesta.

In ogni caso, si sta parlando qui del mix più appropriato di interventi da effettuare: non è in dubbio che - in un contesto di domanda depressa - maggiori pensioni abbiano di per sé un effetto espansivo sulla domanda.

E come detto, se c’è maggior domanda, le aziende dovranno assumere, in misura anche superiore al numero di dipendenti che lasciano il posto di lavoro per pensionarsi. Il che non crea problemi all’equilibrio del sistema pensionistico: anzi, buoni livelli di occupazione sono l’unico sistema per garantirlo.

mercoledì 5 dicembre 2018

Non sono un politico - ma...


A volte me lo rimproverano. Non sono un politico, sono un tecnico dell’economia e della finanza. Ragionare in termini politici non è la cosa che mi riesce più spontanea. E gestire la complessa situazione dell’Italia nell’ambito dell’Eurozona è sicuramente un tema che richiede forti doti di comunicazione, persuasione, tattica negoziale. Doti politiche, in altri termini.

Però qualcuno mi dovrebbe spiegare perché l’Italia è partita impostando una legge di bilancio con una previsione di deficit / PIL al 2,4% e nello stesso tempo riconoscendo che gli eurorequisiti ne risultavano non rispettati.

Naturalmente venivano anche addotte argomentazioni logiche, solide, fondate, condivisibili in base alle quali questo mancato rispetto era necessario, per dare all’Italia possibilità di recupero dall’attuale, del tutto insoddisfacente, contesto economico, nonché per condurre il debito / PIL su una traiettoria di riduzione. Perché la riduzione si ottiene solo riportando l’economia italiana ad esprimere il suo potenziale produttivo: incrementando il denominatore, in altri termini.

Problema: era totalmente noto, in partenza, che la UE su questo argomento avrebbe avuto una differente opinione.

Non era più coerente invece approfondire il progetto CCF / Moneta Fiscale, comprendere che non viola nessun trattato e nessun regolamento, e utilizzare quello per attuare le azioni espansive di cui l’economia italiana ha bisogno ?

E impostare fin da subito una legge di bilancio dichiarando che era totalmente in regola con gli eurorequisiti, in quanto l’immissione del necessario potere d’acquisto nell’economia italiana è garantita via CCF / MF ?

La UE sarebbe comunque stata in disaccordo ? sul pieno dei trattati e dei regolamenti, il disaccordo è infondato. E comunque non c’era nulla da guadagnare affermando “emettiamo più debito del consentito ma ci serve”. Molto, ma molto meglio: otteniamo quanto ci serve senza emettere maggior debito.

Dove per debito si intende il Maastricht Debt, quello da rimborsare in euro, quello che ti rende dipendente dai mercati finanziari. Dipendenza da cui, invece, i CCF ti svincolano.

Si poteva fare, e non si è fatto. Approccio politico sbagliato ? credo, invece, mancanza di conoscenza e di approfondimento dello strumento tecnico.

Adesso bisogna correggere la rotta. Era meglio farlo prima, ma comunque si può. E si deve.


sabato 1 dicembre 2018

Convegno Associazione Moneta Positiva: il video

Tre ore filate, ma ne vale la pena. E' il convegno tenuto a Roma lo scorso 23 novembre.

Ecco qui il video.. Il mio intervento è giusto a metà, parte da 1 ora 28 minuti circa, fino a 1 ora 49 minuti.