mercoledì 25 settembre 2013

Twittare o non twittare ?


Facendo seguito ai “gentilmente pressanti” solleciti di @portafoglioreal, da stamattina sono su twitter
 
@CCFCattaneo
 
Bastano 140 caratteri alla volta per dire cose sensate su macroeconomia, euro, e riforma monetaria ?
 
Seguitemi e vedremo.

sabato 21 settembre 2013

Frenkel non è arrivato in Italia


Lui, ci sarà senz’altro venuto in vacanza o per lavoro. Ma il suo ciclo no, non c’è arrivato.
 
In molti paesi dell’Eurozona, la crisi ha seguito le linee dell’ormai ben noto modello elaborato dall’economista argentino Roberto Frenkel.
 
Il “ciclo di Frenkel” descrive fenomeni quali la crisi argentina del 2001, causata dall’adozione del cambio fisso peso – dollaro:
 
finanziamenti dall’estero – crescita di consumi e PIL – inflazione di costi interni, prezzi di azioni e (soprattutto) immobiliari – la bolla scoppia – i capitali fuggono – austerità per rimborsare i creditori – depressione dell’economia
 
e come si spiegava qui, descrive con molta accuratezza quanto si è verificato in Spagna, Portogallo e Grecia dopo l’ingresso nell’euro.
 
Ma in Italia l’ingresso nella moneta unica non si è accompagnato a forti aumenti dei flussi di finanziamenti esteri.
 
Il ciclo italiano è stato differente:
 
perdita di competitività rispetto alla Germania – stagnazione dell’economia – dubbi che l’Italia possa rimanere nell’unione monetaria – gli investitori chiedono tassi più alti perché temono la fuoriuscita e la svalutazione – austerità per “rassicurarli” – depressione dell’economia.
 
Perché l’ondata di finanziamenti esteri non abbia raggiunto l’Italia non è chiaro. Di sicuro la moneta unica ha prodotto una perdita di competitività di tutto il Sud Europa rispetto alla Germania, causata in primo luogo dalla minore capacità di contenere la crescita dei salari rispetto a quella della produttività e dall’impossibilità di utilizzare i riallineamenti valutari come strumento compensativo.
 
Questo fenomeno sembra aver danneggiato l’Italia in modo più sensibile rispetto al resto del Sud Europa. Un’ipotesi è che il settore manifatturiero, in particolare il sistema delle PMI, che è stato il più penalizzato dalla perdita di competitività rispetto alla Germania, in Italia pesa di più rispetto agli altri PIIGS. Quindi - è una possibile interpretazione – i flussi di finanziamenti esteri si sono rivolti a economie che apparivano più “dinamiche” (Spagna e Grecia…).
 
Un’altra spiegazione potrebbe essere che l’ingresso nella moneta unica ha prodotto una (illusoria) sensazione di aumento di credibilità finanziaria dei paesi del Sud, tanto più marcato quanto più si partiva da una situazione di “ritardo”. E il rischio finanziario connesso alla Grecia era percepito come ben più elevato di quello italiano (ma questo è molto meno vero, o forse non lo è affatto, se riferito alla Spagna…).
 
Quello che è certo è che il “doping” dei flussi di finanziamenti esteri ha prodotto una forte crescita del PIL in Spagna e in Grecia (non in Portogallo, per qualche ragione). In Italia non si sono invece visti né i grandi finanziamenti esteri né la forte crescita (l’austerità e la decrescita successiva invece sì, purtroppo).


PIL di alcuni paesi

Base 1999 = 100

dell'Eurozona

2007

2012

Germania

 

114,1

118,1

Francia

 

117,7

117,8

Italia

 

113,1

105,3

Spagna

 

132,8

127,3

Portogallo

 

112,5

106,1

Grecia

 

137,9

110,1

Totale Eurozona

119,3

117,8

 
Naturalmente gli indici 2013 saranno peggiori e le differenze tra Germania e Sud Europa ancora più marcate.
 
Se vogliamo trovare una positività, per l’Italia, in questo quadro, è che la perdita di competitività unita alla mancanza di finanziamenti esteri ha lasciato al palo il nostro PIL, ma quanto meno non si sono creati grandi sbilanci di partite correnti né forti accumuli di debito estero.




Posiz. finanz. estera

Saldi partite correnti

Mld di

% su

netta al 31.12.2012

totale 1999 - 2012

euro

PIL 2012

mld €

% PIL '12

Germania

 

1.360

51%

1.068

40%

Paesi Bassi

447

74%

325

54%

Finlandia

 

81

42%

24

12%

Belgio

 

77

20%

246

65%

Austria

 

69

22%

2

1%

Lussemburgo

39

89%

64

144%

Centro

 

2.075

50%

1.729

41%

Francia

 

-85

-4%

-428

-21%

Slovacchia

-34

-48%

-46

-64%

Estonia

 

-10

-59%

-9

-55%

Malta

 

-3

-49%

2

25%

Paesi intermedi

-132

-6%

-481

-23%

Spagna

 

-678

-64%

-961

-91%

Italia

 

-249

-16%

-388

-25%

Grecia

 

-241

-124%

-222

-115%

Portogallo

 

-194

-117%

-193

-117%

Irlanda

 

-27

-17%

-177

-108%

Cipro

 

-14

-78%

-16

-88%

Slovenia

 

-7

-19%

-16

-45%

Periferia

 

-1.410

-44%

-1.973

-62%

Totale Eurozona

533

6%

-725

-8%

 
Come si vede, gli ordini di grandezza dei saldi commerciali 1999-2012 sono simili, almeno riguardo alle macrocifre, al debito finanziario netto estero dei vari paesi a fine 2012.
 
Naturalmente sono simili ma non uguali perché entrano in gioco altri fattori, quali la situazione pre-1999 e i movimenti di capitale non legati a flussi commerciali. Questo è particolarmente evidente nel caso dell’Irlanda, che non aveva grandi problemi di competitività ma ha subito il crac del sistema bancario (alimentato da finanziamenti esteri) in seguito alla “crisi Lehman” del 2008.
 
Ritornando all’Italia, tuttavia, mi pare importante rilevare quanto segue.
 
UNO, spesso si afferma che la crisi dell’euro non è una crisi di debito pubblico ma di debito privato. Nel nostro caso non è esatto: non è una crisi di debito pubblico, non è neanche più di tanto una crisi di debito privato, è una crisi da perdita di competitività.
 
DUE, non cambia naturalmente il fatto che l’euro com’è oggi è insostenibile. Recuperare venti punti di competitività nei confronti della Germania tramite austerità e deflazione salariale è un progetto totalmente privo di fattibilità, e disastroso sul piano sia economico che sociale.
 
TRE, per l’Italia funzionerebbero, tuttavia, molto bene anche schemi di riforma che non presuppongono la svalutazione dei crediti esteri verso i residenti italiani, in primo luogo perché l’ammontare di questi crediti non è particolarmente elevato.
 
Si può affermare naturalmente che l’accettazione, da parte della Germania e degli altri paesi Nord-eurozonici, di questa svalutazione dei loro crediti rispenderebbe a un equo concetto di solidarietà. Ma per motivi già esaminati non lo ritengo plausibile, e alla luce dei dati visti sopra non è neanche necessario.
 
Mentre ritengo evidente che il tedesco medio traduce “solidarietà” in “richiesta di elemosina”.
 
Le elemosine all’Italia NON servono. Serve il ritorno all’autonomia monetaria e lo sviluppo di corrette politiche di piena occupazione.