giovedì 26 dicembre 2024

La fiducia dei tedeschi

 

Adesso che il modello economico tedesco perde colpi, di pari passo con la produzione industriale della Germania, questa argomentazione la sento meno spesso. Ma rimane comunque un ritornello favorito degli euroausterici. A rallentare l’integrazione politica ed economica europea e i suoi mirabolanti (potenziali in quanto al momento inesistenti) risultati, contribuisce l’assenza di fiducia nel Nord Europa nei confronti del Sud Europa, anzi soprattutto della Germania nei confronti dell’Italia.

Ho detto contribuisce ? ma no, di più: è determinante, è decisiva.

Ne segue (sempre secondo gli euroausterici) che la responsabilità è nostra: dobbiamo raddoppiare triplicare decuplicare gli sforzi per conquistarci la soprammenzionata fiducia.

Ora, se questa attitudine teutonica sia giustificata o meno si potrebbe discutere a lungo. Ma non ho intenzione di farlo perché non penso che sia questo il punto.

Siccome se ne parla da quando esiste la UE e da quando esiste l’euro, ma in effetti anche da prima, da molti decenni per non dire da molti secoli, non mi interessa decidere chi ha ragione e chi ha torto.

Mi limito a constatare che un fidanzamento che non abbia alla base un reciproco rapporto di fiducia, una volta accertato che il rapporto medesimo non si è sviluppato in un adeguato periodo di tempo, non deve dare origine a un matrimonio.

Deve essere sciolto.

Se no è un disastro.

E’ così tra le persone. E’ così anche tra i paesi e tra le popolazioni.

lunedì 23 dicembre 2024

Moneta debito e moneta credito

 

La distinzione tra moneta debito e moneta credito a qualcuno appare un’astruseria contabile, o addirittura un’invenzione di qualche pseudoeconomista non mainstream. E di sicuro non se ne sente parlare nei corsi di economia politica e monetaria delle istituzioni universitarie più note (quelle allineate al mainstream, appunto).

E invece è di importanza fondamentale.

E’ moneta debito quella che nasce con un impegno di restituzione: esempio tipico, la moneta generata dall’erogazione di un finanziamento bancario.

E’ moneta credito quella a cui NON si associa alcun impegno di restituzione: quella generata direttamente dallo Stato.

L’espansione della moneta debito è potenzialmente pericolosa perché il finanziatore è meno desideroso di espandere o anche solo di rinnovare il prestito proprio nei periodi di difficoltà economica, e anzi dove possibile chiede il rientro del finanziamento. La moneta debito ha quindi in sé un potenziale PROCICLICO. Rischia di creare bolle speculative e inflattive, per poi accentuare le recessioni, e potenzialmente creare depressioni economiche, quando l’euforia viene meno.

La moneta credito NON comporta questo rischio. L’emissione va correttamente gestita per non alimentare inflazione. Ma NON ha il potenziale prociclico della moneta debito. E poi anzi essere utilizzata dalle autorità pubbliche in funzione anticiclica - aumentando le emissioni quanto l'economia è debole e diminuendole quando c'è il rischio che si surriscaldi. 

Questo non significa che il credito privato non debba esistere. Ma significa che la crescita dell’economia debba accompagnarsi a una crescita equilibrata della moneta, nelle sue due componenti – moneta credito e moneta debito.

E chi predica le virtù del pareggio di bilancio pubblico, dell’azzeramento del deficit, dimentica che il deficit di bilancio è proprio lo strumento ottimale per immettere moneta credito nel sistema economico – e quindi per diminuire i rischi di destabilizzazione associati all’espansione della moneta debito.

Peggio ancora: la separazione tra banca centrale e ministero del tesoro produce l’effetto che anche il deficit di bilancio pubblico si associ all’emissione di titoli che l’istituto di emissione non garantisce incondizionatamente. Quindi anche il deficit di bilancio viene ad assumere la forma di moneta debito.

Per gli Stati che emettono la propria moneta, questa separazione è spesso, anzi quasi sempre, più di forma che di sostanza. Nessuno penserebbe seriamente che la Federal Reserve USA lascerebbe andare il Tesoro in default.

Ma già è un errore che la separazione esista. Se poi priviamo gli Stati della facoltà di emettere moneta, come avviene nell’Eurozona, abbiamo fatto bingo. Abbiamo creato un sistema privo di senso economico, e prodotto i presupposti per un disastro.

 

domenica 22 dicembre 2024

Il caso Luigi Mangione: riflessioni di Marcello Spanò

 Sul caso dell'omicidio del CEO di UnitedHealthCare, da parte dell'italo-americano Luigi Mangione, trovo molto interessanti (come d'abitudine) le riflessioni di Marcello Spanò. Potete essere d'accordo in parte, in tutto, o per nulla. Però leggetele e rifletteteci, ne vale la pena.



domenica 15 dicembre 2024

Crediti fiscali cedibili

 Il mio intervento al convegno organizzato da Moneta Positiva lo scorso 18 novembre 2024 a Roma, presso l'aula dei gruppi parlamentari della Camera dei Deputati.



martedì 10 dicembre 2024

La borsa tra n anni

 

Siccome l’anno sta volgendo al termine, impazzano sui media le previsioni su che cosa ci riserverà il 2025, un sottoprodotto delle quali sono i vaticini sull’andamento della borsa.

Non si vedono invece altrettanto di frequente confronti tra previsioni e accadimenti effettivi, e la ragione probabilmente è che i risultati sarebbero alquanto imbarazzanti (per chi le ha formulate, le previsioni).

Comunque se qualcuno sta divertendosi a leggerle, esercitazione che può essere utile se lo scopo è ottenere qualche minuto di svago e divertimento (la stessa ragione insomma che può giustificare leggere gli oroscopi a Capodanno) tenga conto che:

prendendo come indicatore borsistico più significativo l’SP500

la borsa a fine 2054 sarà più alta di oggi, con probabilità pari al 99,9%

la borsa a fine 2044 sarà più alta di oggi, con probabilità pari al 99%

la borsa a fine 2034 sarà più alta di oggi, con probabilità pari al 90%

nessuna previsione in merito a dove sarà la borsa a fine 2025, se più alta o più bassa, per non dire nessuna stima in merito al livello esatto, vale più, appunto, di un oroscopo di quelli che si leggono a Capodanno.

Poi, se volete divertirvi con le previsioni delle banche d’affari, fate pure. Danno non ve ne fate: a condizione di non prenderle sul serio.

 

domenica 8 dicembre 2024

L’ininfluente Giavazzi

 

Un paio di giorni fa il Corriere della Sera ha pubblicato un articolo di Francesco Giavazzi che spiegava come il debito pubblico non sia poi una brutta cosa se serve a finanziare le spese “giuste”, che lui identifica nella difesa e nella transizione ecologica.

In realtà non è la prima volta. Il mantra dell’austerità, Giavazzi l’ha abbandonato da almeno un paio d’anni (senza per questo fare ammenda dei peana sciolti alle bellezze dell’”austerità espansiva” nei lustri precedenti, ma vabbè).

Invito però chi vede in questi articoli il segnale di un cambiamento di strategia a livello UE a smorzare gli entusiasmi.

Giavazzi, che sul piano scientifico non ha certo meriti che lo faranno passare alla storia, ha acquisito una certa visibilità, una certa notorietà, perché è un corifeo di alcuni importanti gruppi di interesse economico.

Scrive quindi quello che i sopra menzionati gruppi di interesse desiderano. Ma qual è il suo effettivo impatto sulle politiche UE ?

Praticamente nessuno, perché a livello UE non si fa nulla se non sono d’accordo i tedeschi. I quali a Giavazzi, ammesso che lo leggano, non si prendono neanche la briga di rispondere.

Peraltro cose simili le dice e le scrive, da un po’ di tempo (vedi il “debito buono” contrapposto al “cattivo”) anche Mario Draghi. Al quale invece i tedeschi rispondono: per dire che non se ne parla.

Che dite, la Germania è in difficoltà e quindi sta arrivando a capire che un po’ di deficit le serve ? certo, e agirà di conseguenza. Ma lo farà IN PROPRIO, e in funzione di spese che decide LEI.

Niente debito comune UE quindi, e niente decisioni di spesa delegate a Bruxelles.

E su questo, una volta tanto, non do torto ai tedeschi.

 

venerdì 6 dicembre 2024

I ritardi dell’Eurozona

 

Sta diventando sempre più evidente che l’Eurozona è in perdita di peso economico nei confronti del resto del mondo. Il che in parte è giustificato dalla crescita di paesi, grandi (Cina e India) e meno grandi, che fino a una ventina d’anni erano in via di sviluppo per non dire, in termini più crudi, arretrati, ma da allora si sono fortemente avvicinati ai livelli di reddito procapite del “primo mondo”.

Ma quanto sopra giustifica solo in parte la diminuzione di incidenza dell’Eurozona. Perché è normale che chi è partito dopo si riallinei: ma l’Eurozona ha perso terreno anche nei confronti degli USA. L’avevamo visto qui: i principali stati eurozonici hanno registrato, dal 1998 ha oggi, una crescita media annua del reddito procapite, a potere d’acquisto costante, intorno all’1% (con l’eccezione ahinoi dell’Italia che si è fermata allo 0,4%). Gli USA, dell’1,5%.

Se mezzo punto all’anno vi pare poco, tenete conto che in un quarto di secolo equivale a una crescita del 45% contro 28%.

Quindi c’è dell’altro. E la spiegazione che si legge più di frequente è che gli USA sono innovativi, dinamici, aperti al cambiamento. Il vecchio continente invece sa solo regolamentare, burocratizzare, vincolare.

Vero, tutto questo. E gli osservatori più attenti se n’erano accorti molto tempo fa. Ricordo una conversazione con Paolo Bassi, successivamente per alcuni anni presidente della BPM: “tutti parlano dell’efficienza, della disciplina tedesca. Ma l’innovazione arriva solo da una parte: dagli USA”.

Che anno era ? il 1993.

Però anche questa non è tutta la storia.

Perché la stessa analisi effettuata per gli anni pre-1998 in poi mostra che nel trentennio precedente l’Eurozona (o più precisamente i paesi che poi ci sono entrati) NON PERDEVA TERRENO nei confronti degli USA. Cresceva qualche decimale in meno all’anno (di media) in termini di PIL totale, ma qualche decimale in più in termini procapite. La differenza essendo data dalla minore crescita demografica.

Gli USA sono da lunghissimo tempi più innovativi e dinamici, ma da questo lato dell’Atlantico sapevamo come adottare l’innovazione e applicarla con efficacia.

Fino a una certa data.

Perché il 1998 non è un anno che ho scelto a caso. E’ l’ultimo anno prima dell’introduzione dell’euro.

E dei connessi, deliranti, insensati vincoli di bilancio. E della folle governance dell’economia che ne è stata la conseguenza.

QUESTO è il motivo per cui perdiamo terreno nei confronti degli USA. Prima dell’euro il modello sociale europeo generava crescita, in abbinamento con un welfare state, e con tutele e diritti, che il resto del mondo poteva solo invidiare.

PRIMA dell’euro.

 

martedì 3 dicembre 2024

Il deficit che non si finanzia

 

Ma è così difficile far ragionare chi si preoccupa del “finanziamento del deficit” e del “drenaggio di risorse finanziarie che rischiano di non lasciare spazio agli investimenti produttivi” ?

Preoccuparsi di questi “problemi” equivale a credere che le economie funzionino ancora in regime di “moneta-merce”, di cui l’esempio classico è il gold standard.

Se l’unica moneta esistente fosse l’oro, lo Stato naturalmente non potrebbe metterla in circolazione in quantità superiore alle riserve aurifere che possiede. E se non le avesse, dovrebbe farsele prestare da qualcuno.

Ma il regime aureo è scomparso totalmente dal mondo nel 1971, con la fine degli accordi di Bretton Woods.

Oggi, quando lo Stato fa deficit, cioè quando spende più di quello che tassa, NON ha il problema né di “reperire risorse finanziarie” né di “drenare risorse che altrimenti verrebbero utilizzate per altri impieghi”.

Al contrario. Lo Stato, spendendo più di quanto tassa, IMMETTE risorse finanziarie nel sistema privato.

Se esagera, può sorgere un problema di inflazione. Ma il finanziamento del deficit non è MAI un problema.

Si pretende che lo sia solo perché lo Stato si impone limitazioni prive di senso economico, al punto di demandare l’emissione di moneta a banche centrali “indipendenti” (da che cosa ? dal controllo democratico) o, nel caso della BCE, addirittura sovranazionali.

Il finanziamento del deficit pubblico è semplicemente un problema inventato ad arte. Allo scopo di strumentalizzarlo e di limitare la sovranità popolare su una funzione fondamentale per la corretta gestione dell’economia.