domenica 31 gennaio 2021

Recovery Fund, benzinai e carrozzieri

 

In attesa di conoscere quale sarà l’esito della crisi di governo – che mi suscita, come raccontavo pochi post orsono, profondi sbadigli – ho letto di recente una notizia in effetti vecchia di qualche mese (ma ai tempi mi era sfuggita).

La nuova direzione generale “Sostegno alle riforme strutturali” presso la Commissione UE sarà guidata da un italiano, Mario Nava. E questa sarebbe, dice qualcuno, una notizia molto positiva per il nostro paese, visto che la direzione generale in questione “sarà centrale per attuare il Recovery Instrument, ex Recovery Fund”.

Non ho il piacere di conoscere Mario Nava né ho elementi di giudizio sul suo curriculum né sulle sue competenze. Per ricoprire quell’incarico sono necessari skills elevatissimi, dato che le “riforme strutturali” sarebbero (almeno così la pensano a Bruxelles) un elemento chiave per assicurare l’efficacia di un progetto da 750 miliardi di euro, che interessa 27 paesi con una popolazione di oltre 440 milioni di persone.

Non avendo elementi di giudizio sulla professionalità di Mario Nava, ho deciso di adottare un atteggiamento positivo e costruttivo e di dare per assunto che le sue competenze siano altissime, assolutamente adeguate al compito.

Questo mi rende più ottimista sul Recovery Fund ?

Neanche per idea.

Non mi rende neanche un pelo più ottimista perché la situazione della UE, ma ancora di più dell’Eurozona, ma ancora di più dell’Italia, è quella di un’automobile a cui manca benzina per marciare come potrebbe e dovrebbe.

La benzina sono i soldi. E quelli del Recovery Fund, per motivi evidentissimi già nel momento in cui è stato proposto, sono pochi, sono sostanzialmente finti (debiti o cosiddetti “contributi a fondo perduto” da compensare con tasse), e non si ha ancora la minima idea di quando arriveranno.

Il ruolo delle “riforme strutturali” è invece equivalente ad aggiustare un bozzo sul paraurti dell’auto. Una cosa che è bene sistemare, certamente. Ammesso che lo si sappia fare. Ma non una cosa che fa ripartire l’auto.

Diamo quindi per scontato che Mario Nava sia un fenomenale carrozziere. Gli diamo l’auto con il bozzo sul paraurti e ce la restituisce con il bozzo perfettamente sistemato. Il paraurti sembra nuovo, tanto è liscio e luccicante. Un intervento a regola d’arte, non c’è che dire.

Ma la benzina ?

La benzina continua a non esserci. E l’auto continua a non camminare.

La storia delle riforme strutturali del resto ce la raccontano da dieci anni. Sono dieci anni (almeno) che a Bruxelles ragionano sulla base di una diagnosi sbagliata del problema.

E non si vede proprio nessun cambiamento di attitudine all’orizzonte.

 

martedì 26 gennaio 2021

La Germania impone la sua volontà all’Europa ?

 

Mi capita di discutere in merito a questo tema con interlocutori convinti che la Germania sia in grado di imporre la sua volontà all’intero continente europeo. Spesso, lo ritengono addirittura inevitabile.

Vediamo un po’.

L’Europa è attualmente abitata da oltre 740 milioni di persone, suddivisi tra 50 stati.

La Germania è il principale stato dell’Unione Europea per popolazione e per PIL, ma 23 stati parzialmente o totalmente appartenenti al continente europeo non fanno parte della UE: Albania, Andorra, Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Bosnia, Georgia, Islanda, Kazakistan, Liechtenstein, Moldavia, Principato di Monaco, Montenegro, Nord Macedonia, Norvegia, Russia, San Marino, Serbia, Svizzera, Turchia, San Marino, Città del Vaticano e Regno Unito.

Sia la Germania che l’Unione Europea intrattengono relazioni commerciali e sviluppano interazioni politiche con questi stati, come con tutti gli altri esistenti al mondo, ma la Germania non è in grado di “imporre la sua volontà” a nessuno di loro.

Poi ci sono i 27 stati appartenenti alla UE, abitati da più di 440 milioni di persone. Otto di questi, tuttavia, non utilizzano l’euro: Svezia, Danimarca, Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Romania, Bulgaria e Croazia. Utilizzare la moneta nazionale implica un ampio grado di indipendenza nella gestione dell’economia. Gli otto paesi UE non euro aderiscono a un’area di libero scambio e di cooperazione economica, ma la loro situazione non è un granché diversa rispetto a quella che caratterizzava il periodo della vecchia CEE.

Arriviamo quindi ai 19 paesi eurozonici. In tutto, 330 milioni abbondanti di persone. Tuttavia, Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Lussemburgo e Paesi Bassi sono paesi le cui monete, prima dell’euro, tendevano a muoversi in sincrono con il marco tedesco. Appartenevano in effetti alla vecchia “area marco”, il che significa che utilizzare una moneta unica, gestita con le logiche monetarie e fiscali del marco, ha cambiato e cambio molto poco la loro situazione.

Quest’ultima affermazione è meno vera per la Francia che per gli altri; tuttavia il peso geopolitico della Francia – status di potenza nucleare, seggio permanente all’ONU, seconda economia dell’Eurozona – “sterilizza” la Francia dagli effetti dell’egemonia tedesca. In altri termini la Francia non codecide (fa solo finta) ma è in grado di evitare gli impatti deleteri delle decisioni tedesche, anche se i suoi fondamentali economici tenderebbero a inserirla nel gruppo “mediterraneo” più che nell’ex area marco.

I sei paesi sopra citati valgono oltre 110 milioni di persone. Ne rimangono quindi circa 220, di cui 80 rappresentati dalla Germania stessa.

Su chi viene imposta, quindi, l’egemonia tedesca ? su 140 milioni di anime (come si diceva una volta) in dodici stati. I paesi dell’Europa mediterranea, più alcune altre economie (eurozoniche) di minore dimensione. Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Irlanda, Cipro, Malta, Slovenia, Slovacchia, Estonia, Lettonia e Lituania.

130 di quei 140 milioni stanno nei primi sei sopraelencati: quelli che in varie fasi del recente passato – e del presente – hanno sofferto e continuano a soffrire a causa dello scellerato sistema di governance imposto dalla UE a trazione tedesca.

Particolarmente colpita l’Italia. Perché ha un debito pubblico alto (che non sarebbe mai stato un problema, né tanto meno un’arma di ricatto, se l'avessimo lasciato in lire) ? perché è il principale concorrente manifatturiero della Germania, che quindi ha uno specifico interesse a indebolirla ? perché è storicamente un paese frammentato e diviso al suo interno (da una quindicina di secoli in qua…) ? per una combinazione di questi fattori.

Ad ogni modo, la Germania “egemonizza” il 20% della popolazione europea. Non di più. Per fortuna dell’altro 80%. Ma non per fortuna nostra, visto che pesiamo per quasi la metà di quel 20%.

sabato 23 gennaio 2021

Moneta e patrimonio delle banche centrali

 

Un lungo dibattito twitter con alcuni euroausterici mi spinge a fare chiarezza su un tema fonte di molti equivoci: le banche centrali (BC) emettono moneta. E’ giusto considerarla una loro “passività” ?

Nei loro prospetti di stato patrimoniale, la moneta effettivamente è indicata esattamente in quel modo: come un passività. Qui ci sarebbe da aprire un inciso sul tema se sia in realtà necessario, o appropriato, per una BC redigere uno stato patrimoniale, ma su questo vi rimando a un post di qualche tempo fa.

Ora, consideriamo la situazione di una BC che, in regime di gold standard, emette moneta a fronte di una copertura aurea totale. In altri termini, detiene riserve d’oro, ed emette moneta integralmente convertibile in quelle riserve.

Al momento in cui la BC viene costituita, il suo stato patrimoniale è molto semplice: all’attivo ha l’oro, non ha passività, e il patrimonio netto corrisponde al valore delle riserve auree.

ATTIVITA’: oro

PASSIVITA’: nessuna

PATRIMONIO NETTO: valore dell’oro posseduto

Immediatamente dopo, la BC emette moneta e si impegna a convertirla, a semplice richiesta del possessore, nell’oro di cui dispone. La moneta ha un valore e, se la BC si limitasse ad emetterla senza farne nulla, la dovrebbe registrare al suo attivo.

Ma la moneta emessa sarebbe anche una passività, perché a fronte della sua emissione la BC assume anche un impegno – dare oro a fronte della moneta nel momento in cui un possessore terzo (che in questo momento ancora non esiste, ma esisterà un istante dopo, come vedremo) lo richiede. Quindi:

ATTIVITA’

Oro

Moneta

PASSIVITA’

Moneta

PATRIMONIO NETTO

Valore dell’oro posseduto

Come si vede, il patrimonio netto non si è modificato – continua a essere pari al valore delle riserve auree. Si sono solo incrementati sia l’attivo che il passivo, entrambi per il medesimo importo - pari alla moneta emessa.

Ma questa situazione dura solo per un istante, perché la BC non emette moneta per tenersela, ma per impiegarla. E gli impieghi fondamentali di una BC sono due: finanziare le banche commerciali, oppure fare credito al settore pubblico del suo paese, ad esempio comprando titoli di Stato.

Quindi lo stato patrimoniale della BC cambia immediatamente in questo modo:

ATTIVITA’

Oro

Crediti verso banche commerciali

Titoli di Stato

PASSIVITA’

Moneta

PATRIMONIO NETTO

Valore dell’oro posseduto

Il che mostra con chiarezza che la moneta emessa è un’attività: tanto è vero che la BC è in grado di scambiarla con altre due categorie di attività finanziarie (crediti verso banche e titoli di Stato).

Però è altrettanto indubbio che la moneta, oltre che un’attività (di cui ora la BC si è spossessata) è anche una passività per la BC stessa: costituisce infatti un impegno – dare oro a chi presenta moneta chiedendone la conversione.

Riassumendo: in regime di gold standard, la moneta è un’attività per il suo possessore (per una frazione di secondo la BC, immediatamente dopo chi ha ceduto alla BC altre attività finanziarie in cambio della moneta stessa), e una passività per la BC.

Bene. Ma il gold standard è scomparso dal mondo da esattamente cinquant’anni – dalla fine degli accordi di Bretton Woods, ferragosto del 1971. Oggi in tutto il mondo la moneta è fiat. Le principali BC la emettono senza garantire alcuna copertura né alcuna conversione.

Una BC costituita in regime di moneta fiat non ha quindi bisogno di alcun patrimonio di partenza. Crea un’attività finanziaria, la moneta, dal nulla. Il tutto si riduce a una pura scrittura contabile:

ATTIVITA’: moneta

PASSIVITA’: nessuna

PATRIMONIO NETTO: moneta

L’emissione monetaria crea patrimonio della BC esattamente nel momento in cui viene effettuata. Patrimonio, non passività, perché a fronte della moneta emessa, la BC non si impegna assolutamente a nulla. Ricordo una lezione di economia delle aziende di credito (correva l’anno 1983, in Bocconi…) in cui il docente disse alla platea degli studenti (sorprendendoli non poco: io ero uno di loro)

“se andate alla Banca d’Italia con un biglietto da centomila lire “pagabile a vista del portatore” e chiedete il “pagamento”, il cassiere con un ampio sorriso lo ritira e vi consegna… un altro biglietto da centomila”.

Bello nuovo però, l’altro magari era spiegazzato.

Anche stavolta, comunque, la BC emette moneta per impiegarla, e anche stavolta gli impieghi sono sostanzialmente i due di prima: finanziare le banche e/o comprare titoli di Stato.

Quindi lo stato patrimoniale della BC cambia immediatamente, stavolta come segue:

ATTIVITA’

Crediti verso banche commerciali

Titoli di Stato

PASSIVITA’

Nessuna

PATRIMONIO NETTO

Moneta

Come prima, la moneta emessa è un’attività: come prima, infatti, la BC è in grado di scambiarla con altre due categorie di attività finanziarie (crediti verso banche e titoli di Stato).

Cambia però – ed è un cambiamento fondamentale – il fatto che l’emissione monetaria non ha incrementato le passività della BC, ma il suo patrimonio.  Non c’è “passivo” della BC perché non ci sono impegni di nessun tipo, da parte della BC medesima, a fronte di quell’emissione.

Quindi in sintesi: in regime di moneta fiat, la moneta è un’attività per chi la possiede (per una frazione di secondo la BC, immediatamente dopo chi ha ceduto alla BC altre attività finanziarie in cambio della moneta stessa), ed è una posta di patrimonio netto per la BC.

E aggiungo, prima che qualcuno salti fuori dicendo “ma deve quadrare la partita doppia !” che la partita doppia quadra perfettamente: in regime di gold standard la moneta sta al passivo, in regime fiat è patrimonio, ma passivo e patrimonio stanno dallo stesso lato dello stato patrimoniale – in “avere”.

In conclusione:

La moneta è sempre un attivo per chi la possiede (anche per la BC, limitatamente all’istante che intercorre tra la sua emissione e il suo utilizzo per scambiarla con un’altra attività).

In regime di gold standard, la moneta è passivo della BC.

In regime fiat, la moneta è patrimonio della BC.

Le rappresentazioni contabili delle BC inseriscono la moneta nel passivo semplicemente perché continuano ad adottare schemi risalenti ai tempi del gold standard ma oggi (in effetti, a partire dalla fine del regime di Bretton Woods) scollegati dalla realtà.

 

lunedì 18 gennaio 2021

Video: bonus 110%, Moneta Fiscale, e dintorni

Fresca fresca, una conversazione con Fabio Conditi. Mi fa sempre piacere constatare la sua carica positiva. Ha ragione lui a dire che si è fatto molto, il problema che molto non è ancora abbastanza, e come diceva mio nonno "se ci vai vicino (all'obiettivo) vinci se giochi a bocce. Altrimenti non hai ancora risulto niente".

Però intanto le teste di ponte verso la Moneta Fiscale ci sono, quindi... andiamo avanti.




sabato 16 gennaio 2021

La qualità della classe politica

 

Una domanda ricorrente mi viene posta da vari interlocutori: “OK l’Italia potrebbe recuperare le leve di gestione della sua economia, uscendo dall’euro o anche adottando il progetto CCF. Ma non vedi il rischio che poi non si risolva niente, o magari si faccia pure peggio, data la qualità della classe politica attuale ?”.

Due risposte.

In primo luogo, per uscire dall’attuale catastrofe serve UN PASSAGGIO FONDAMENTALE. Mettere in circolazione MONETA, distribuirla a famiglie e aziende, rilanciare consumi, investimenti, produzione e occupazione.

Il punto chiave è DISPORRE DELLO STRUMENTO. E’ molto meno importante usarlo in maniera perfetta, o ottimale. L’essenziale è POTER AGIRE. Come dicevo giorni fa ad alcuni amici, se la siccità devasta un prato, devo prendere la canna dell’acqua e irrigare. Non perdere mesi a discutere se, avendo solo un ditale quando servirebbe una tanica da dieci litri, sia meglio innaffiare l’angolino di prato in alto a sinistra o quello in basso a destra.

Quanto alla competenza della classe politica, oggi è inadeguata ? fatte salve le debite e lodevoli eccezioni senz’altro sì. Ma la ragione è che oggi la politica non controlla nessuna reale leva di potere economico. E’ chiaro, quindi, che difficilmente attira professionalità di livello. Molto meglio fare gli imprenditori o i manager, in Italia o magari all’estero, che gli schiacciabottoni in parlamento.

Le competenze, le qualità professionali, in Italia esistono eccome. Come in qualsiasi altro paese e meglio che in tanti altri. Semplicemente non sono attirate da una carriera che ben che vada prospetta un ruolo di figuranti, molto esposti e pochissimo in grado di conseguire qualcosa.

Ma questa è la conseguenza di quanto detto sopra. Dell’aver demandato all’esterno le leve di controllo dell’economia.

Riprendiamo la guida dell’auto, e non mancherà certo il pilota per condurla. Come non è mancato durante la vituperata (quanto a torto, l’abbiamo capito troppo tardi…) prima repubblica.

giovedì 14 gennaio 2021

La crisi di governo non mi appassiona

 

Rispondo qui a vari amici che me lo chiedono: su una scala da zero a dieci, quanto mi appassiona la possibile caduta di Giuseppe Conte ?

La risposta sarebbe zero, salvo un’eventualità.

Se Conte cade, è per effetto di una manovra di palazzo, architettata dallo spregiudicato Renzi. Ma di nient’altro si tratterebbe.

Se Conte cade, chiunque arrivi non farebbe niente di particolarmente diverso da quanto sta facendo Conte, soprattutto riguardo al tema di cui parlo abitualmente perché è quello su cui penso di possedere qualche competenza – la gestione dell’economia.

Cartabia ? Franceschini ? non fanno nessuna differenza. Rimane Gualtieri al MEF ? chi se ne frega se rimane, se arriva un altro farà esattamente quello che fa Gualtieri – dare esecuzione alle veline di Bruxelles.

L’eventualità che renderebbe tutto un bel po’ più interessante è la possibile sostituzione di Conte con Mario Draghi.

Quando dico “interessante” non intendo necessariamente “migliore”. Draghi è estremamente scaltro e senz’altro molto competente. Ma se arriva, non so in che squadra gioca. Arriva per fare gli interessi dell’Italia o di qualcuno che sta fuori dall’Italia ?

Per cui potrebbe essere meglio, o potrebbe essere peggio. Però Draghi è l’unico italiano di standing indiscutibile e riconosciuto. Non me lo vedo venire a fare il Monti, né tantomeno il Letta. Non verrebbe a rovinarsi una reputazione costruita nel corso dei decenni, non verrebbe a fare il leggiveline.

Quindi se arriva Draghi non festeggio, però mi metto a seguire la situazione con interesse.

Diversamente, la crisi di governo mi appassiona grosso modo quanto succhiare un chiodo.

sabato 9 gennaio 2021

L’economia “mainstream” capisce le cose a metà

 

A ulteriore chiarimento di quanto spiegavo nell'ultimo post, capitano a proposito le affermazioni di Laurence Boone – capo economista dell’OCSE – e il commento, molto sintetico ma molto efficace, contenuto in questo tweet di Stephanie Kelton:

 “Ancora ragionamenti parecchio smozzicati nel suo (di Laurence Boone) pensiero. Il miglio finale per arrivare alla MMT è il più lungo da percorrere. I tassi d’interesse sono una variabile di politica (di politica monetaria; in altri termini, lo Stato che emette moneta li può fissare discrezionalmente); “prendere a prestito” è opzionale, non serve a finanziare il deficit di uno Stato monetariamente sovrano; e aggiungere un pagamento d’interessi ai flussi di reddito aumenta il rischio d’inflazione”.

Chiaro ? ormai nessun economista minimamente credibile difende più il dogma dell’austerità, ma c’è ancora parecchia strada da fare. L’economia “mainstream”, quella a cui aderiscono OCSE, FMI e Banca Mondiale, per tacere di BCE e Commissione Europea, ancora nega tre ovvie verità:

PRIMO, uno Stato che emette la propria moneta non ha alcun bisogno di indebitarsi.

SECONDO, se uno Stato monetariamente sovrano emette titoli di debito pubblico, non genera nessun rischio di default e non impoverisce in alcun modo il paese. Il debito pubblico è semplicemente uno strumento offerto alla popolazione per impiegare il risparmio.

TERZO, se viene emesso debito pubblico, è una scelta puramente politica quella di fissare a un livello più o meno elevato il tasso d’interesse. Uno Stato monetariamente sovrano può controllare totalmente i tassi sul debito.

Aggiungo un commento all’ultimo commento del tweet keltoniano: “aggiungere un pagamento d’interessi ai flussi di reddito aumenta il rischio d’inflazione”. E’ più controintuitivo degli altri, ma è vero. Spesso si ritiene che aumentare i tassi d’interesse pagati sul debito pubblico abbia un effetto deflattivo sull’economia. Ma se a parità di politiche fiscali (spesa pubblica e tasse) lo Stato aumenta gli interessi sul debito, la conseguenza è di immettere più potere d’acquisto nell’economia. L’effetto è inflattivo, non deflattivo.

L’equivoco nasce dal fatto di dare per scontato che i tassi sul debito pubblico debbano muoversi in linea con quelli del credito privato. Se fosse così, maggiori tassi sul debito pubblico implicherebbero maggiori costi dei finanziamenti privati, il che rallenterebbe diversi settori dell’economia, perché diventerebbero più costosi i crediti al consumo, i mutui immobiliari, i finanziamenti alle imprese eccetera.

Ma non è così se lo Stato comprende che, appunto, “prendere a prestito è opzionale, non serve a finanziare il deficit di uno Stato monetariamente sovrano”. I deficit si possono finanziare emettendo direttamente moneta, l’offerta di debito al pubblico (e il relativo tasso d’interesse) è una decisione del tutto discrezionale.

Se poi lo Stato monetariamente sovrano vuole influenzare i tassi d’interesse, non deve fare altro che alzare o abbassare il tasso applicato dall’istituto d’emissione alle banche (o anche ai cittadini, se viene loro consentito di depositare risparmi presso l’istituto d’emissione medesimo). Una politica di gestione del tasso d’interesse di mercato NON richiede di operare sui tassi del debito pubblico, e quindi non richiede neanche l’esistenza del debito pubblico.

 

mercoledì 6 gennaio 2021

Ridefinire il concetto di “spazio fiscale”

 

Il pensiero economico dominante, quello delle grandi istituzioni sovranazionali (OCSE, FMI, World Bank, con più lentezza la BCE e con ancora più lentezza la Commissione UE) sta ormai arrivando a riconoscere che l’austerità è una politica economica fallimentare, che i deficit di bilancio pubblico sono attualmente indispensabili, e che sarebbe un gravissimo errore abbandonare le politiche fiscali espansive troppo presto.

Errore, quest’ultimo, che è stato commesso nel 2010, quando si è passati dall’espansione all’austerità molto prima che gli effetti della crisi Lehman fossero completamente riassorbiti.

Ben vengano questi ripensamenti. Ma sul piano teorico e metodologico, si è fatta ancora solo metà del percorso.

Si legge infatti che “oggi non è necessario fare austerità perché i tassi d’interesse bassissimi aumentano lo spazio fiscale degli Stati” e che “il debito pubblico non è un problema se il tasso di crescita dell’economia supera il costo del debito ed è quindi compatibile con la riduzione del rapporto debito / PIL”.

Bisogna andare MOLTO più in là. Per prima cosa, il concetto di “spazio fiscale” va ripensato. Il livello di deficit e di debito pubblico non è soggetto a nessun limite numerico predefinito.

Il deficit pubblico può infatti essere finanziato con moneta, o con debito risk-free (in quanto pienamente garantito da chi emette la moneta stessa). Non c’è quindi alcuna ragione per cui debba creare rischi d’insolvenza a uno Stato che emette la propria moneta.

Se il rischio d’insolvenza non esiste, lo “spazio fiscale”, ovvero lo spazio per attuare politiche fiscali espansive, ha poco o nulla a che vedere con il livello del deficit o del debito.

E se è possibile finanziare il deficit senza emettere debito, o alternativamente ridurre i tassi d’interesse sul debito fino a zero (basta che l’istituto di emissione si impegni a ricomprare il debito alla pari), non ha neanche senso preoccuparsi del rapporto tra tasso di crescita dell’economia e costo del debito.

Lo spazio fiscale non si esaurisce se non nel momento in cui le politiche fiscali spingono la circolazione di potere d’acquisto nell’economia e la conseguente domanda di beni e servizi a livelli tali da produrre inflazione eccessiva.

Il tetto dell’espansione fiscale è l’eccesso d’inflazione, che nasce nel momento in cui la domanda di beni e servizi incontra il limite delle risorse produttive reali (capitale fisico e lavoro, dato il livello di tecnologia in quel momento disponibile). Il 3%, il 60%, la relazione r<g – è tutto ciarpame di cui liberarsi.

Questo è il passaggio logico che le organizzazioni sovranazionali devono ancora effettuare.

E questo è il principio che deve essere alla base delle politiche fiscali degli Stati.

Sventuratamente, nell’Eurozona siamo distanti anni luce dall’averlo accettato. Il primo passo indispensabile è rottamare nella maniera più totale i deliranti vincoli dell’eurosistema.

Ma ancora non se ne parla.

 

lunedì 4 gennaio 2021

La soddisfazione che dà la ricchezza

 

E’ meglio essere ricchi che poveri. Ovvio, anzi è una catalanata (chiaro a tutti il concetto di catalanata ? forse no se siete under 40, nel caso andate via tranquilli di wikipedia). Ma esattamente per quale motivo la ricchezza dà soddisfazione ? Questa è una domanda che conduce a riflessioni un filo meno banali.

Essere ricchi dà soddisfazione per almeno tre ragioni diverse (che naturalmente possono anche presentarsi congiuntamente, tutte e tre o due a turno, nella stessa persona).

Se i soldi ve li siete guadagnati, traete una (di solito legittima) soddisfazione dall’aver dimostrato a chi vi conosce, ma anche e forse soprattutto a voi stessi, di possedere determinate capacità. E questa è una sensazione positiva, di autovalidazione, anche se magari siete il tipo di persona a cui quello che si può comprare con i soldi non interessa poi tantissimo.

Oppure potete apprezzare molto, al contrario, quello che con i soldi si può acquistare. Una bella casa ? una vacanza costosa ? un panfilo ? una megavilla ? sicuramente sono tutte cose che il 90% abbondante delle persone preferisce avere piuttosto che no. E se apprezzate queste cose tra l’altro ne derivate soddisfazione, sia che i soldi vi siano arrivati per merito, sia per fortuna (altrimenti detto, va bene anche se li avete ereditati o vinti alla lotteria).

Fin qui nulla di molto originale. Ma esiste una terza forma di soddisfazione che proviene dalla ricchezza. Una categoria di persone si inebria del potere che la ricchezza dà nei confronti del prossimo.

Ecco, non so se ci avete mai pensato, ma questa è di gran lunga la categoria più pericolosa. Perché a questi non basta la ricchezza. Agli altri è sufficiente essere ricchi – certo, più ricchi di chi sta loro intorno, perché la ricchezza è anche un concetto relativo, quindi se è un indice di successo professionale devo averne un po’ più di chi ho vicino, e idem se mi dà accesso a beni materiali – una bella casa mi piace averla se è quantomeno un po’ più bella rispetto alle persone che frequento.

Resta comunque vero che, se appartengo a una delle prime due categorie, sono contento di essere ricco ma non ho problemi se stanno bene anche gli altri – anche se per sentirmi ricco ho bisogno di stare un po’, o magari molto, meglio di loro. Però, se ho “molto”, mi va bene che gli altri abbiano comunque “abbastanza”.

Chi si inebria di potere invece, pensateci, ha bisogno che gli altri stiano male. Perché “potere” equivale a “forzare gli altri a far qualcosa che non vorrebbero”. E lo fanno se sono in stato di necessità. Altrimenti, se hanno quanto gli basta, il mio potere su di loro è modesto, o inesistente.

L’assetato di potere, l'individuo che è interessato alla ricchezza per il potere che gli conferisce, è il ricco veramente antisociale, veramente pericoloso. E’ la persona a cui non basta avere molto. Ha bisogno di vedere la povertà intorno a sé.

sabato 2 gennaio 2021

La storia economica manda in confusione Cassese

 

Il prestigioso costituzionalista Sabino Cassese, di tanto in tanto indicato da fonti di stampa come possibile prossimo presidente della Repubblica, ci fa sapere in una recente intervista che “se nel secolo scorso vi fossero state possibilità di pressione del tipo previsto nel regolamento approvato, non avremmo forse avuto né Mussolini né Hitler”.

Il “regolamento approvato” di cui parla Cassese è quello che consentirebbe (il condizionale è d’obbligo perché le valutazioni in merito alla sua efficacia sono alquanto discordi) di sospendere gli esborsi del Recovery Fund a paesi UE in violazione dello “stato di diritto”.

Cassese è un insigne giurista, ma la storia economica al contrario non sembra proprio essere il suo forte. Diversamente, non gli sfuggirebbe che l’ascesa al potere di Hitler fu dovuta al fatto che i creditori internazionali avevano come obiettivo di far pagare alla Germania le riparazioni di guerra accollatele dal trattato di Versailles.

E appunto perché disponevano di ampie “possibilità di pressione”, i creditori imposero austerità alla Germania, la gettarono in una gravissima crisi economica, e portarono la disoccupazione al 25%. Spianando così la strada a Hitler.

Questo stesso tipo di austerità è stato “prescritto” dalla UE al Sud Europa dal 2011 in poi: senza peraltro che nessuno dei paesi euromeridionali avesse perso una guerra mondiale.

Ah, dice Cassese, ma se invece ai tempi di Hitler ci fosse stato “il regolamento”… ve li immaginate Hitler, Goering, Goebbels e von Ribbentrop commentare costernati la lettera di Bruxelles che “sospende i fondi causa violazione dello stato di diritto" ?

Già me lo vedo l’omino coi baffi: “ragazzi ci hanno beccati. Pensavamo di rimilitarizzare la Renania, poi si programmava l’Anschluss, e poco dopo una bella conferenza per risolvere la questione dei Sudeti… invece cicca, se non la smettiamo di violare lo stato di diritto qui ci danno una nota sul registro e forse anche le bacchettate sulle dita”.

Ma (non ve l’ho detto ma probabilmente lo sapete) Cassese è un fiero europeista. Quindi secondo lui i regolamenti UE tutelano lo stato di diritto, promuovono il benessere economico, stimolano la ricrescita dei capelli, curano le emorroidi e fanno vincere lo scudetto all’Avellino.

E’ una questione di fede, tutto qui.