lunedì 15 settembre 2025

Un chiarimento

 

A proposito dell’ultimo post: ho scritto “chi crede in buona fede al progetto di integrazione politica europea dovrebbe essere in prima fila nel sostenere l’introduzione delle Monete Fiscali nazionali.”

Come ho detto in risposta a un commento di Lidia Riboli, NON è vero il contrario. NON è vero che chi NON crede al progetto di integrazione politica dovrebbe osteggiare la Moneta Fiscale.

L’euro è un pessimo progetto. Introdurlo è stato un catastrofico errore. Ma la Moneta Fiscale, anzi le Monete Fiscali nazionali, sono la via di gran lunga più pratica, più agevole, più percorribile, per superarne le disfunzioni.

Si può essere europeisti o meno (e ovviamente io faccio parte del “meno”). Ma è oggettivo che in questo momento (momento che dura da un quarto di secolo) siamo vittime di un meccanismo sbagliato nell’impostazione e perverso nelle conseguenze. Va ricercata e percorsa la strada più plausibile per superare il problema.

Su questo – SE non si hanno secondi fini – è inevitabile concordare.

domenica 14 settembre 2025

Malafede eurista

 

Chi crede in buona fede al progetto di integrazione politica europea dovrebbe essere in prima fila nel sostenere l’introduzione delle Monete Fiscali nazionali. Sono il modo per dare agli Stati la possibilità di attuare politiche fiscali espansive senza incrementare il debito pubblico da rimborsare in euro, quello che non si accetta di condividere né di garantire incondizionatamente da parte della BCE.

Invece la Moneta Fiscale italiana, introdotta con in Superbonus 110%, è stata violentemente osteggiata dall’establishment eurista / europeista, e alla fine eliminata. Nonostante funzionasse. PROPRIO perché funzionava.

Difficile a questo punto ipotizzare qualcosa di diverso dalla malafede riguardo agli euristi che parlano di risolvere le disfunzioni dell’eurosistema. Risolvere le disfunzioni non interessa. O quantomeno, è un obiettivo del tutto secondario.

L’obiettivo di gran lunga primario è togliere potere agli Stati e centralizzarlo sull’asse Bruxelles – Francoforte. Se poi il risultato è creare problemi e non risolverli mai, questo è considerato un effetto collaterale spiacevole ma accettabile.

sabato 13 settembre 2025

Scegliere tra inflazione e disoccupazione ?

 

Esiste un trade-off tra inflazione e disoccupazione ? veramente per abbassare una bisogna alzare l’altra ?

In realtà, a gestione corretta delle variabili macroeconomiche, no. Un eccesso di domanda che innesca conseguenze indesiderate sui prezzi equivale a dire che si sta spingendo il sistema economico a livelli superiori alla piena occupazione, quindi la domanda può essere “raffreddata” senza impatti sensibili sui livelli di impiego della forza lavoro. 

E se invece l’inflazione deriva da shock dal lato dei costi, ad esempio delle materie prime, la strategia corretta non è abbattere la domanda: è tamponare l’inflazione abbassando imposte indirette, quali ad esempio IVA e accise.

Questo a gestione corretta. Solo che il mondo non è ideale, e la gestione della macroeconomia, come di qualsiasi altra cosa, non è sempre corretta, precisa, cronometrica, impeccabile.

Però anche in un mondo non ideale, va sempre ricordato che la disoccupazione è molto più nociva dell’inflazione.

La disoccupazione è un dramma per chi la vive. Un’inflazione al 4% invece che al 2% è un fattore di modesto disordine del sistema economico, ha alcuni effetti redistributivi non gradevoli, ma certamente non è un dramma.

E’ un dramma solo se diventa estrema, se raggiunge livelli a tre, a quattro, a enne cifre. Ma questo avviene solo in circostanze estreme, non solo per un po’ di eccesso di domanda.

E’ fuori luogo citare Weimar. Per accadimenti di quel genere, serve aver perso una guerra mondiale, avere subito riparazioni di guerra pari a un multiplo del PIL, vedersi occupare una porzione del territorio in cui si concentra il 30% della produzione industriale e il 50% delle risorse minerarie.

La piena occupazione è compatibile con un’inflazione bassa e stabile. Ma se c’è da scegliere, la piena occupazione è, deve essere, l’obiettivo primario.

mercoledì 10 settembre 2025

L’eurista che voleva diventare alto

 

Una classica argomentazione a supporto della decisione italiana di utilizzare l’euro, o per dirla diversamente di entrare nell’eurosistema, si sintetizza come segue.

I paesi economicamente forti hanno una moneta forte. L’euro è una moneta più forte della lira. Quindi era necessario che l’Italia entrasse nell’euro per rafforzare la sua economia.

La definirei un’inversione del nesso causa-effetto.

Per chiarire meglio, lasciatemi menzionare l’esperienza di un mio amico immaginario, chiamiamolo Alfredo.

Alfredo non è molto alto di statura. Per carità non lavora in un circo, ma è alto 1,70.

Un giorno ha deciso che gli sarebbe piaciuto essere due metri.

Siccome è una persona analitica e scrupolosa, si è informato e ha scoperto che le persone alte due metri portano mediamente il 49 di scarpe, mentre lui calzava il 41.

Detto fatto, si è comprato un paio di scarpe numero 49.

Sapete cosa ? se le è infilate, si è misurato l’altezza, e ha scoperto di essere ancora alto 1,70.

Però qualcosa era cambiato.

Era cambiato che non riusciva più a camminare.

Alfredo, dicevo, è un amico immaginario. Chi potrebbe essere così tontolone da ragionare in quel modo ?

Beh, che cosa diciamo però degli euristi a cui è sfuggito che l’economia forte implica una moneta forte, ma il viceversa non funziona ?

La moneta forte (non tua) che usi (ma non emetti, e non gestisci) non rende la tua economia forte.

La fa solo inciampare.

lunedì 8 settembre 2025

L’assurda austerità francese

 

Oggi sapremo se il governo francese regge o viene sfiduciato. Qualunque cosa succeda, è bene integrare le considerazioni dell'ultimo post con un ulteriore dato.

Si è visto che la motivazione di “mettere sotto controllo il debito pubblico” è infondata e pretestuosa. Una manovra restrittiva manderebbe l’economia in recessione e con ogni probabilità PEGGIOREREBBE il rapporto debito pubblico / PIL. Vedi Italia 2011.

Altrettanto infondata è la spiegazione secondo la quale la Francia ha bisogno di ridimensionare il debito privato a causa di presunti, eccessivi livelli di saldi commerciali esteri e di posizione finanziaria internazionale. Per due ragioni: queste variabili non si trovano a livelli preoccupanti, e in ogni caso i problemi di debito privato, anch’essi, si aggravano se viene attuata una manovra fortemente restrittiva. Motivo ? esplodono le insolvenze di aziende e di privati. Anche qui, vedi Italia post 2011.

L’unica ragione sensata per fare austerità in Francia sarebbe un livello troppo elevato di inflazione, purché causata da eccesso di domanda aggregata.

Ma a quanto si attesta l’inflazione in Francia ? all’1%.

L’austerità che si cerca di imporre alla Francia è un pretesto, o se vogliamo una leva, per ottenere altri risultati. Attacco ai diritti, ai redditi, allo stato sociale. Crescita delle diseguaglianze.

Vediamo se passa. Spero e credo di no.

mercoledì 27 agosto 2025

Francia, ma che crisi è ?

 

La Francia è in una situazione di forte instabilità politica. Il governo Bayrou, che non ha a sua disposizione una maggioranza parlamentare, sta cercando di far approvare una manovra fiscale restrittiva invisa sia alle destre che alle sinistre. La sua sopravvivenza è in forte dubbio, e ci si chiede se la stessa presidenza Macron potrà raggiungere la scadenza naturale (che è il 2027).

La spiegazione diciamo così “ufficiale” è che siamo in presenza di un problema di finanza pubblica. Sappiamo, dall’orribile esperienza italiana del 2011, che questo è una scusa dietro cui si nascondono altre finalità. Imporre austerità aggrava la situazione dell’economia e non risolve il problema degli alti livelli di debito pubblico (116% del PIL a fine 2025 in Francia, secondo le ultime previsioni FMI – World Economic Outlook Aprile 2024.).

Problema, è quasi superfluo ripeterlo, che è inventato dal nulla. Il rischio di solvibilità del debito pubblico non esisterebbe se la Francia non avesse adottato l’euro, e nella misura in cui è reale si risolve istantaneamente se (ma solo se) la BCE (presieduta oggi da una francese, come nel 2012 lo era da un italiano…) reitera il whatever it takes draghiano. 

Non mi convince però neanche una diffusa interpretazione alternativa, secondo la quale imporre austerità in Francia serve a tamponare un problema di debito estero privato, che nascerebbe da forti deficit commerciali. Il già citato WEO FMI prevede in effetti per il 2025 un saldo delle partite correnti francesi positivo, sia pure marginalmente, per lo 0,2% del PIL. E la Net International Investment Position francese a fine 2024, informa Eurostat, è negativa ma per il 20,2% del PIL: che non è uno squilibrio pesante (si avvicinava al 30% in Italia nel 2011).

Inoltre non è affatto vero che un problema di debito privato si risolva con una manovra fiscale restrittiva. L’austerità, certo, spingerebbe la Francia in surplus commerciale; ma produrrebbe disoccupazione e fallimenti aziendali. Famiglie e imprese indebitate in uno scenario del genere vedrebbero le insolvenze aumentare, non viceversa (vedi anche in questo caso l’esperienza italiana negli anni immediatamente successivi al 2011).

Quindi ?

Quindi, l’austerità non è la soluzione di problemi (inventati o inesistenti) né di debito pubblico né di debito privato.

L’austerità serve a quello a cui è sempre servita: attaccare il welfare, aumentare le diseguaglianze, comprimere redditi e diritti delle fasce sociali deboli.

E’ la storia di sempre. La finanza pubblica è una scusa, e le spiegazioni alternative sono fuori strada.

 

martedì 26 agosto 2025

Che cosa tiene in piedi il baraccone

 

Per approfondire il tema dell'ultimo post: se nessuno è in grado di spiegare sensatamente a che cosa dovrebbe servire l’integrazione politica europea e (tema connesso) l’Unione Europea, che dovrebbe esserne il prodromo, è anche legittimo chiedersi perché la UE nel frattempo continui a esistere (e a fare danni).

Vilfredo Pareto probabilmente chiamerebbe in causa “la persistenza degli aggregati” cioè l’inerzia che tende a mantenere in essere le istituzioni e le strutture sociali, anche dopo che se ne è ampiamente constatata l’inutilità e anzi la nocività. 

Ma penso che si possa affermare qualcosa di più specifico.

Il baraccone, cioè la UE, resta in piedi perché ha acquisito una capacità di influenzare le decisioni politiche dei paesi membri che una serie di gruppi di potere riescono a manovrare a loro vantaggio.

E chi ha questa capacità di manovra ovviamente conta di più, a priori e a maggior ragione a posteriori, di chi non ne ha.

La UE è uno strumento che gli stati membri grandi utilizzano a loro vantaggio più dei piccoli; le nazioni con un establishment compatto e coeso più di quelle con una classe dirigente frazionata e litigiosa; le grandi istituzioni finanziarie più di quelle di minori dimensioni; le grandi aziende più delle PMI.

Esiste quindi un ampio ventaglio di interessi specifici che almeno fino a oggi valutano di poter ricavare vantaggi propri; vantaggi per loro pesano in positivo più delle pesantissime disfunzioni del sistema.

Il saldo netto è pesantemente negativo, ma la distribuzione di danni e benefici è fortemente asimmetrica.

Durerà all’infinito questa situazione ? no, perché le disfunzioni sono sempre più difficili da giustificare e da tollerare.

Però i tempi in cui il baraccone collasserà, o si affloscerà su se stesso, sono imprevedibili.