Consiglio la lettura di un libro pubblicato da pochi mesi, “Prima che tutto crolli” di Luciano Balbo (Longanesi 2025). Contiene parecchie considerazioni illuminanti e centrate sulla finanziarizzazione delle economie, cioè sul predominio dell’establishment finanziario rispetto al sistema produttivo e al sistema economico, sugli effetti negativi che ha prodotto riguardo a diseguaglianze e concentrazione della ricchezza, sul rischio che prima o poi (più prima che poi) inneschi una crisi sistemica.
Consiglio la lettura ma siccome sono un noto rompiscatole (!) segnalo il suo principale (s’intende a mio parere) difetto. Una carenza di interpretazione di alcuni temi macroeconomici, che conduce l’autore a pensare che gli Stati dipendano necessariamente dai mercati finanziari per sostenere i deficit e i debiti pubblici e che la mobilità dei capitali sottragga ai singoli governi la capacità di contrastarli (“se no scappano altrove”).
Per la verità qualche sentore che le cose non stiano esattamente così Balbo ce l’ha: cita la MMT commentando grossomodo che sembrano degli eretici ma forse, probabilmente, hanno delle ragioni. Ma è solo un sentore.
I fatti che, rispetto all’interessante esposizione di Balbo, vanno meglio compresi sono IMHO i seguenti (ben noti ai lettori di questo blog…).
UNO: il deficit pubblico non è un impoverimento del paese che lo genera ma un normale strumento di immissione del potere d’acquisto finanziario, che deve crescere di pari passo con lo sviluppo del PIL nominale.
DUE: in assenza di deficit pubblico in moneta sovrana, il potere d’acquisto finanziario cresce solo per il canale privato, il che è appunto un’importante causa della finanziarizzazione di cui Balbo denuncia gli eccessi.
TRE: se lo Stato emette la sua moneta, non c’è alcun bisogno di emettere debito per “finanziare il deficit”. Il deficit pubblico genera automaticamente risparmio privato e l’emissione di debito pubblico è un’opportunità (non una necessità) che viene offerta al settore privato per impiegare il risparmio generato dal deficit.
QUATTRO: se lo Stato controlla l’emissione monetaria, non c’è alcun bisogno di preoccuparsi che gli investitori istituzionali “scappino” rendendo impossibile finanziare la spesa pubblica eccedente le tasse (cioè il deficit).
CINQUE: l’emissione monetaria che si produce nel momento in cui si genera deficit pubblico non è necessariamente inflazionistica. Non lo è se rimette in moto capacità produttiva inutilizzata. Non lo è se viene destinata a ridurre imposte indirette quali IVA e accise (imposte regressive, peraltro).
Molti dei problemi denunciati da Balbo si risolvono restituendo agli Stati il pieno controllo dell’emissione monetaria, e vincolando i governi ad attuare politiche di piena occupazione, e di contenimento dell’inflazione mediante riduzione delle imposte regressive sui consumi (non mediante contrazione della domanda).
Quello che dal libro di Balbo non emerge con sufficiente chiarezza è che un potentissimo fattore di crescita patologica della finanziarizzazione è proprio il dogma dell’indipendenza delle banche centrali. Che in effetti vanno abolite: l’emissione monetaria deve essere gestita direttamente dal ministero dell’economia.
Difficile, politicamente, ottenere tutto questo ? gli interessi costituiti contrari sono fortissimi ? certo che sì. Ma difficile è tutto quello che va nella direzione di diminuire la presa dell’establishment finanziario su politica ed economia.
Difficile, ma non impossibile. Servono però idee molto
chiare su cosa è essenziale ottenere.