mercoledì 4 maggio 2016

CCF: l’ingranaggio mancante per dare stabilità e funzionalità all’Eurosistema



Obiettivi di stabilità dell’Eurosistema

I meccanismi di funzionamento dell’Eurosistema sono basati su alcuni principi, che possono essere riassunti come segue.

Gli stati membri si impegnano a raggiungere il pareggio di bilancio “strutturale”: in condizioni economiche normali, incassi e uscite devono essere in equilibrio (primo principio del Fiscal Compact).

Inoltre, gli stati il cui debito pubblico eccede il 60% del PIL, devono riportarlo al suddetto livello del 60% nel giro di vent’anni (secondo principio del Fiscal Compact).

Inoltre, con il programma OMT (Outright Monetary Transactions) la BCE garantisce, in buona sostanza, i debiti pubblici dei vari stati, purché le azioni di politica economica da essi adottati siano coerenti con il raggiungimento degli obiettivi del Fiscal Compact.

Garantire i debiti pubblici degli stati, se esiste una situazione strutturale di pareggio di bilancio, equivale a dire che la BCE presta garanzia purché i debiti non si incrementino in valore assoluto, e scendano relativamente al PIL (in condizioni normali, infatti, le economie crescono, e quindi il rapporto debito / PIL cala grazie alla crescita del denominatore).

Questi principi sono stati introdotti nell’Eurosistema tra il 2011 e il 2012 con una finalità ben precisa: evitare l’accrescimento delle passività finanziarie dei singoli stati membri e, di conseguenza, i rischi di default e le connesse tensioni finanziarie.

Nel momento in cui l’economia di un paese soffre di alti livelli di disoccupazione e di sottoutilizzo delle sue capacità produttive, tuttavia, diventa necessario effettuare azioni espansive della domanda, immettendo potere d’acquisto nel sistema economico.

La necessità di attuare azioni di deficit spending confligge con il vincolo di “non accrescimento” sopra descritto.


Utilizzo dei CCF per espandere la domanda preservando la stabilità finanziaria del sistema

CCF non comportano rischio di default, perché sono titoli per i quali non esistono vincoli di rimborso.

Se un determinato ammontare di CCF viene emesso ed attribuito gratuitamente ad aziende e cittadini, si verifica immediatamente un effetto espansivo sia sul PIL che sul gettito fiscale.

I CCF rappresentano infatti un diritto a uno sgravio fiscale futuro: valgono quindi l’importo di questo sgravio (al netto di un fattore di attualizzazione stimabile in qualche punto percentuale) e incrementano, fin dal momento della loro assegnazione, la capacità di spesa dei soggetti che li ricevono.

Sono liberamente negoziabili e trasferibili e possono quindi essere ceduti in cambio di euro sul mercato finanziario (come può essere venduto un normale di titolo di Stato). Inoltre possono essere direttamente utilizzati come contropartita di acquisti e vendite di beni e servizi.

Si ipotizza di emettere CCF con una scadenza di utilizzo di due anni dopo l’emissione: ceteris paribus, i CCF emessi nel 2017 daranno luogo a un calo di gettito a partire dal 2019. Ma questo calo di gettito sarà compensato dall’effetto espansivo che la circolazione dei CCF avrà nel frattempo prodotto.

Per raggiungere questo risultato, si fa leva in primo luogo sul notevolissimo potenziale inespresso dell’economia italiana: il PIL reale 2015 è stato inferiore del 9% rispetto a quello del 2007 (otto anni prima !) il che corrisponde a un minor livello di PIL di 150 miliardi circa.

Ipotizzando un moltiplicatore fiscale di 1,25, questo ammanco di PIL può essere recuperato introducendo nel sistema economico italiano maggior potere d’acquisto per 120 miliardi circa (120 x 1,25 = 150).

L’azione potrebbe essere ripartita nell’arco di alcuni anni, partendo per esempio da 30 miliardi di assegnazioni di CCF nel 2017 e incrementandole a 60, 90, 120 nel 2018-2019-2020.

Le assegnazioni verrebbero effettuate a fronte di varie finalità, tra cui: (i) incremento delle retribuzioni nette; (ii) riduzione della fiscalità che grava sui costi di lavoro delle aziende (cuneo fiscale); (iii) cofinanziamento di investimenti di pubblica utilità; (iv) interventi di spesa sociale.

L’intervento sul cuneo fiscale sub (ii) costituisce tra l’altro un immediato miglioramento della competitività delle aziende, ed evita che l’azione espansiva della domanda interna produca un peggioramento dei saldi commerciali esteri. In pratica, l’azione viene dosata in modo tale che il maggior import dovuto al recupero dell’economia sia compensato da maggiori esportazioni e da sostituzioni di importazioni generate dal recupero di competitività.

L’obiettivo è una ripresa dell’economia a saldi commerciali esteri invariati (senza che si verifichino riflessi negativi sui partner esteri: niente beggar-thy-neighbour, in altri termini).

In futuro, le assegnazioni annue di CCF potranno tendenzialmente rimanere invariate, salvo regolarle in funzione dell’andamento dell’economia (aumentandole negli anni di economia debole, e diminuendole nei periodi di domanda più vivace).

L’economia italiana recupererebbe in pochi anni i livelli produttivi precrisi e riassorbirebbe la disoccupazione che si è prodotta dal 2008 in poi.

Con ogni probabilità, si avrebbe anche un leggero incremento dell’inflazione, per esempio in misura pari all’1% annuo (obiettivo peraltro coerente con le attuali politiche delle BCE).

Sulla base delle ipotesi soprariportate, l’effetto totale netto della manovra sarebbe tale da non comportare, in nessun anno, un peggioramento dei saldi finanziari pubblici – intesi come differenza tra esborsi e incassi di euro. Il maggior PIL, in altri termini, produrrebbe ogni anno incassi fiscali lordi almeno pari agli sgravi conseguiti dai possessori di CCF.

Prudenzialmente, quanto sopra non tiene conto della possibilità di un’ulteriore accelerazione dello sviluppo del PIL nel periodo in cui la manovra CCF va a regime, grazie alla ripresa degli investimenti aziendali privati (compressi da anni a causa del generale contesto di depressione della domanda).


Eventuali azioni compensative

Se l’effetto espansivo è meno favorevole del previsto, o se per altre ragioni l’evoluzione dell’economia e del gettito fiscale è, in un qualche anno, al di sotto delle attese, possono essere messe in atto una serie di azioni compensative.

In primo luogo, è possibile proporre ai titolari di CCF di posporne l’utilizzo, offrendo una maggiorazione del loro valore facciale (in pratica, si riconosce un tasso d’interesse pagato in “moneta fiscale”).

In secondo luogo, si possono emettere titoli fiscali (CCF di lunga durata) da offrire al mercato per rifinanziare i titoli di Stato tradizionali (BOT e BTP) via via che arrivano a scadenza.

Quest’ultima opportunità, tra parentesi, è da sfruttare comunque – anche in caso di andamento dell’economia e del gettito in linea con le previsioni – in quanto crea un ampio e liquido mercato di titoli fiscali e accelera la riduzione del debito che lo stato italiano deve rimborsare in euro.

I titoli fiscali potranno anche essere detenuti da intermediari finanziari e aziende di credito come forma di impiego della loro liquidità (alternativa a BOT e BTP). Questo agevola anche un processo di diversificazione degli attivi delle banche, utile a ridurre l’interrelazione tra rischio finanziario dello stato e potenziale instabilità del sistema bancario nazionale.

Nell’eventualità, molto improbabile, che quanto sopra non fosse sufficiente, sono possibili ulteriori azioni compensative:

Prima possibilità, pagare in CCF anziché in euro determinate componenti di spesa pubblica.

Seconda possibilità, introdurre imposte da pagarsi in euro ma contro compensazione al contribuente, mediante assegnazioni di CCF di pari importo facciale.

In tal modo, l’equilibrio di cassa tra euro incassati ed euro pagati risulta garantito in ogni singolo anno. E di conseguenza il rapporto tra debito pubblico (quello che deve essere pagato in euro, e che può quindi dar luogo a un evento di default) declina costantemente.

Come esposto in precedenza, questo risultato è possibile grazie al notevolissimo potenziale inespresso dell’economia italiana.

Ove il recupero di PIL fosse insufficiente, le potenziali misure compensative hanno comunque altissime probabilità di successo in quanto corrispondono, in buona sostanza, a processi di conversione (su base volontaria o, al limite, forzosa) di risparmio interno, da titoli di Stato tradizionali (= titoli di debito) a titoli fiscali.

Questi processi di conversione sono attuabili senza difficoltà in quanto l’Italia ha un debito netto estero modesto (26% del PIL a fine 2015). Un basso livello di debito estero spiega come, a fronte di un debito pubblico elevato, sia molto alto il risparmio privato nazionale: è principalmente quest’ultimo (e non il debito estero) che finanzia l’alto debito pubblico.

L’alto risparmio privato, sulla base di quanto sopra descritto, costituisce quindi una garanzia implicita del debito pubblico: attuata però per il tramite di (eventuali) processi di conversione, che non comportano alcun impoverimento dei possessori di titoli (come avverrebbe se, al contrario, si verificassero eventi di default, o si introducessero imposizioni patrimoniali).


L’assetto finale

Attuato il progetto CCF, all’interno del paese circoleranno una determinata quantità di CCF / titoli fiscali, denominati in euro. Non sono moneta legale, ma costituiscono una riserva di valore per il possessore e sono utilizzabili come intermediari di scambio (su base volontaria: ma il loro valore è garantito dall’accettazione dello Stato a titolo di sgravio fiscale).

Non sono titoli soggetti a rimborso e quindi non si possono creare turbolenze finanziarie connesse a difficoltà, per lo stato emittente, nel far fronte a obbligazioni di pagamento.

In tal modo, lo stato ha a disposizione uno strumento di regolazione della domanda interna, nonché della fiscalità che grava su aziende e cittadini. Si dota delle leve di gestione necessarie ad assicurare la funzionalità dell’economia, senza “rompere” l’Eurosistema e senza emettere maggior debito. 

Nel caso, poi, in cui l’Italia (o un qualsiasi altro stato membro dell’Eurozona) emettesse un quantitativo troppo elevato di CCF, cioè se li inflazionasse a livelli ingiustificati, si verificherebbe una perdita di valore dei CCF nazionali, ma non dell’euro (moneta comune dei paesi dell’Eurozona). Un'eventuale sovraemissione di CCF, in altri termini, penalizza lo stato che la effettua, senza ricadute sugli altri.

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