venerdì 24 luglio 2020

L’irrilevanza (speriamo) del Recovery Fund


Volendo essere ottimisti, si può sperare che l’approvazione del Recovery Fund, a valle delle maratone negoziali del weekend scorso, sia quello che gli anglosassoni definiscono un non-event.

Al di là dei numeroni di facciata, che sono in grandissima maggioranza astruse partite di giro, i soldi in più che arriveranno all’Italia sono del tutto insufficienti e del tutto in ritardo.

Ci sarà al contrario un’ancora maggiore intrusione della UE nella definizione delle politiche economiche italiane, con il rischio di subire danno e beffa: si pagano maggiori contributi al bilancio comune e poi i cosiddetti “sussidi” non arrivano perché l’euroburocrate (o il paese cosiddetto “frugale”) si mette di traverso.

Il massimo che si può sperare, come conseguenza (indiretta) dell’accordo, è che il patto di stabilità e “crescita” (le virgolette sono d’obbligo…) rimanga sospeso il più a lungo possibile.

In altri termini, che i mercati finanziari nella nuova cornice di stabilità (se tale si rivelerà) rimangano calmi e che l’Italia possa continuare ad attuare alti deficit di bilancio non solo per il 2020 ma anche (almeno) per il 2021 e per il 2022.

Perché il problema dell’economia italiana, già prima del Covid, era ed è la carenza di domanda interna. Che si risolve immettendo capacità di spesa nell’economia, non con le mirabili “riforme strutturali” benedette da Bruxelles (in merito alle quali si può al massimo sperare che non facciano ulteriori danni).

E volendo essere ancora più ottimisti, c’è la soluzione vera, pronta per essere applicata – in presenza della volontà politica di percorrerla: trasformare i germogli di Moneta Fiscale del DL Rilancio in un vero progetto CCF.

Premesso e ribadito che il Recovery Fund sarebbe stato meglio non concepirlo affatto, vediamo che cosa succede nei prossimi mesi. E continuiamo a lavorare all’interno della maggioranza di governo attuale (e di quella potenziale futura) per i CCF. E per il buon senso.

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