domenica 10 aprile 2022

L’inflazione odierna e i suoi equivoci

 

L’inflazione, misurata sugli indici dei prezzi al consumo e ancora di più alla produzione, ha raggiunto livelli che la maggior parte degli economisti e dei commentatori non si attendevano. Io tra questi.

Abbondano quindi, comprensibilmente, le interpretazioni della situazione attuale che la attribuiscono all’”eccesso di stampa di moneta”. E qui vale però la pena di chiarire alcune cose.

“Stampare moneta” è qualcosa che in tutto il mondo occidentale si fa in modo massiccio e ininterrotto da quasi tre lustri (ancora di più in Giappone). In pratica, a partire dalla crisi finanziaria mondiale (fallimento Lehman Brothers) del 2008.

Chi afferma che l’inflazione è dovuta alla “stampa di moneta” dovrebbe spiegare (ma non è in grado di farlo) perché l’inflazione non sia assolutamente stata un problema fino al 2020. Anzi, le banche centrali, Federal Reserve e BCE per prime, continuavano a lamentarsi e a preoccuparsi perché l’inflazione era troppo BASSA, e perché non raggiungeva mai su base stabile il target del 2%.

Le banche centrali, a dispetto dei fatti, continuano a ragionare come se la famosa affermazione di Milton Friedman, “l’inflazione è sempre un fenomeno monetario”, fosse una verità conclamata. Quindi se l’inflazione è troppo bassa bisogna immettere più moneta nell’economia e abbassare i tassi d’interesse. Viceversa se è troppo alta.

La ricetta non ha funzionato quando si puntava ad alzare l’inflazione. Lascia molto perplessi che venga riproposta (con segno opposto) adesso che si tratta di abbassarla.

Il punto, molto chiaro e semplice (ma apparentemente non per molti che lavorano alla Fed o alla BCE) è che la creazione di base monetaria NON genera inflazione di per sé. Non è la “moneta prodotta” a creare magicamente il rialzo dei prezzi.

Il rialzo dei prezzi è generato dal disequilibrio tra domanda e offerta. Tra disponibilità di potere d’acquisto e capacità produttiva del sistema economico.

Nel 2020, all’inizio dell’emergenza Covid, la pandemia ha spinto i governi ad immettere nel sistema economico potere d’acquisto, mediante ristori e sostegni. Era ovviamente necessario per evitare che la crisi sanitaria portasse al collasso dell’economia.

Momentaneamente questa incrementata disponibilità di potere d’acquisto non si è tradotta in maggiore domanda né in crescita dell’inflazione, per il semplice motivo che la popolazione, subendo restrizioni ai movimenti e alla circolazione, aveva meno occasione di spendere. Ha quindi, forzatamente, risparmiato.

Con l’allentamento delle restrizioni, la domanda di beni e servizi è gradualmente ripartita. Non mi aspettavo che questo producesse una significativa accelerazione dell’inflazione perché via via che la domanda risaliva, riprendevano a lavorare a ritmo normale impianti e aziende. Domanda e offerta sarebbero quindi rimaste in equilibrio.

Quello che è sfuggito a me, e per la verità a molti altri, è che le catene di fornitura e approvvigionamento di componenti e materie prime si sono “disassate”. Quando una catena di fornitura si blocca, al momento del riavvio si rimette in modo al ritmo dell’anello PIU’ LENTO A RIPARTIRE. Il che significa che la domanda torna ai livelli precrisi, la capacità produttiva reale del sistema no.

Da qui l’inflazione: che però come si vede non è stata creata magicamente dalla “stampa di moneta”, ma (come sempre) da un disequilibrio tra domanda e offerta.

Le tensioni geopolitiche e, dal 24 febbraio 2022 in poi, la guerra in Ucraina, hanno ovviamente amplificato il problema.

Date queste premesse, tuttavia, è molto pericolosa l’attitudine attuale delle banche centrali, dove i “falchi” stanno riprendendo il controllo della situazione e stanno spingendo ad adottare la consueta ricetta. Inflazione troppo alta ? meno moneta, meno credito, tassi più elevati.

Azioni di questo tipo non risolvono le strozzature dal lato dell’offerta. Possono certo, ripristinare l’equilibrio con la domanda, ma solo al prezzo di una recessione pesantissima.

Le azioni da adottare sono altre. Mitigare l’impatto sui prezzi al consumo riducendo tasse e altri oneri che gravano su consumatori e aziende. Meno accise, meno IVA, meno oneri di sistema.

Spingere sulla diversificazione delle fonti di approvvigionamento di componenti, materie prime ed energia, con gli investimenti necessari. Mettendo in conto ovviamente che i tempi per ottenere risultati non sono immediati. Però bisogna cominciare.

E poi lasciare che alcune strozzature si risolvano da sé, cosa che in una certa misura avverrà. Le strozzature peraltro sono state aggravare da fenomeni di accaparramento, create dal panico generato via via che le aziende prendevano atto della situazione (“manca la roba !”). Panico amplificato dalla speculazione. Questi sono fenomeni che rientrano, in tempi non lunghissimi.

Come spiegavo in altra sede, non servono tassi d’interesse massicciamente più alti. Non servono pesanti restrizioni al credito. Anzi.

Servono MAGGIORI deficit di bilancio pubblico, per abbattere gli oneri fiscali su energia e beni alimentari (in primo luogo) e per incentivare gli investimenti in fonti di approvvigionamento alternative.

Serve POLITICA FISCALE ESPANSIVA (ben impostata e ben calibrata), non politica monetaria restrittiva.

 

7 commenti:

  1. Gabriele Ascione: All'inizio i fornitori mi dicevano che il problema era la mancanza di alcuni componenti (basta che manchi una vite e non puoi finire una macchina). Da questo carenza si è innescata una crescita dei prezzi (specie per i componenti elettronici), amplificata dall'aumento dei costi energetici.

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    1. Esattamente quello che sto constatando anch'io.

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    2. Gabriele Ascione: La produzione è una catena complessa ed è un enorme vantaggio avere nello stesso paese la produzione o comunque la disponibilità di ogni genere di componenti, come avviene in Italia ed avveniva anche di più in passato. Attualmente molti articoli, anche banali, vengono da molto lontano ed al minimo intoppo si possono generare ampie conseguenze.

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  2. Caro Marco.
    Io ho sempre pensato che, nel caso di inflazione dei prezzi causata da eventi esterni (non monetari), la risposta dello Stato dovrebbe essere la messa in circolazione di più denaro, tramite riduzione della tassazione (IVA e sui redditi) ovviamente finanziata da maggiotre stampa di denaro.
    Questo intervento consentirebbe di far salire i prezzi netti e di controbilanciare gli effetti negativi dell'aumento dei prezzi.

    Quello che stanno proponendo i "falchi" delle banche centrali è un aumento dei tassi di interesse.
    Questa misura tutelerà gli inteteressi degli investitori finanziari, ma peggiorerà l'accesso al credito. Unendo questa misura ai vincoli posti dalla UE sul debito pubblico, il risultato sarà un ulteriore i poverimento della popolazione, che si aggiungerà a quello causato dall'inflazione e dai licenziamenti che ci saranno nelle aziende che chiuderanno a causa della mancanza di gas.

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    1. Non è neanche vero che l'aumento dei tassi tutela gli investitori finanziari: crea un'opportunità a quelli che in questo momento sono liquidi. Ma chi è già molto investito ha un effetto negativo sulle quotazioni dei titoli a reddito fisso posseduti (sicuramente) e anche sui titoli azionari (a parità di altre condizioni).

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    2. Crea un opportunità per gli investitori liquidi nel senso che si possono sfruttare potenziali ribassi dei mercati per acquistare a prezzi scontati?

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