Non è alla base
del progetto CCF.
Si è parlato in
questi giorni del primo ministro israeliano Netanyahu, che ha dato una “lezione di fiscalità” ai suoi interlocutori italiani mentre visitava l’Expo, spiegando
il funzionamento della “curva di Laffer” (e disegnandola su un tovagliolo
durante una cena).
Della curva di
Laffer ha più probabilità di aver sentito parlare chi (come me) non era
esattamente un bambino durante la campagna elettorale USA del 1980, quella che
portò Ronald Reagan alla presidenza.
Narrano alcune
leggende metropolitane che l’economista Arthur Laffer convinse Reagan della
bontà dell’idea disegnando la curva su un tovagliolo (pure lui) durante una
cena. Secondo altre fonti, in realtà l’esibizione artistica di Laffer si
verificò alla presenza di Dick Cheney e Donald Rumsfeld, ai tempi esponenti
dell’amministrazione Ford e più tardi, rispettivamente, vicepresidente e
ministro della difesa con Bush junior. Cheney e Rumsfeld ne avrebbero, successivamente,
riferito a Reagan.
Insomma pare che
la curva di Laffer sia un’idea molto convincente a condizione di disegnarla su
un tovagliolo. Come che sia, Reagan ne fece uno dei suoi cavalli di battaglia
mediatici. Il punto di partenza del ragionamento è che il livello di pressione
fiscale che massimizza le entrate statali è, evidentemente, intermedio tra zero
e 100%. A zero, lo stato non incassa nulla. Al 100%, nemmeno, perché, se lo
stato preleva tutto il reddito sotto forma di tasse, nessuno ha più interesse a
lavorare.
Allora deve
esistere un livello di pressione fiscale che massimizza gli incassi statali.
L’idea alla base della proposta di Laffer era che nel 1980 gli USA si
trovassero in una situazione di fiscalità inefficiente. Era quindi possibile
abbassare le aliquote, spingere aziende e cittadini a lavorare di più, e, nello
stesso tempo, aumentare PIL, occupazione, ed entrate fiscali – tutto in una
volta.
Illustrando ad
alcuni interlocutori il progetto CCF, che prevede di ridurre la fiscalità
effettiva aumentando, nello stesso tempo, PIL e occupazione, è successo anche a
me di sentirmi dire “ma questo è il principio della curva di Laffer”. NO, non è
così.
In realtà non c’è
mai stata nessuna prova che quanto sosteneva Laffer nel 1980 fosse vero. Certo,
il punto di massima efficienza del sistema fiscale sta da qualche parte tra lo
zero e il 100%, ma a parte questo è difficilissimo formulare ipotesi
attendibili, verificabili empiricamente, in merito a quello che succede in
mezzo.
Abbassare le tasse
è sicuramente una via molto valida per rilanciare l’economia in un periodo in
cui la domanda è depressa, c’è alta disoccupazione e il potenziale produttivo
del sistema è sottoutilizzato. Ma non perché (o non principalmente) perché con
meno tasse si è incentivati a lavorare di più.
La riduzione di
tasse, come anche l’incremento di spesa pubblica, funziona, semplicemente,
perché si immette potere d’acquisto nell’economia. Il meccanismo è l’incremento
del saldo tra spese e incassi pubblici. Il deficit spending, in altri termini:
più domanda, più spesa e più occupazione. Non è che si spinge a lavorare
qualcuno che prima non ne ha aveva voglia perché le tasse erano troppo alte. Si
mette in circolazione potere d’acquisto che permette di comprare beni e
servizi, e quindi di pagare più persone per produrne di più. Persone che
avrebbero avuto voglia di lavorare anche prima: ma non c’erano soldi per
pagarli, perché non c’erano abbastanza soldi per comprare la maggiore
produzione…
Reagan fu eletto
in base alla promessa di essere in grado – contemporaneamente – di rilanciare
l’economia, abbassare le tasse e ridurre il deficit pubblico USA. Quello che
accadde fu in realtà piuttosto diverso.
Nel 1980 l’economia
USA era in recessione, e la causa principale era la stretta creditizia imposta
dalla Federal Reserve per ridurre l’inflazione (che, in quegli anni afflitti dagli
shock petroliferi del 1973 e del 1979, aveva raggiunto anche oltreoceano la
doppia cifra).
I primi diciotto
mesi della presidenza Reagan furono caratterizzati da ulteriore debolezza della
congiuntura e disoccupazione in aumento. Poi la Fed stabilì che l’inflazione
era scesa abbastanza, e interruppe la stretta sul credito.
A quel punto partì
una forte ripresa. La riduzione dei tassi d’interesse esercitò il suo impatto
positivo, sommandosi ai benefici delle minori tasse (che Reagan effettivamente
aveva abbassato) ma anche della maggiore spesa pubblica (militare: perché
Reagan era stato eletto anche per sconfiggere l’”impero del male” sovietico e
per vincere la guerra fredda).
Quindi dal secondo
semestre 1982 in poi: ripresa economica, sì. Calo della disoccupazione, sì. Ma deficit
pubblici a livelli record, non in diminuzione.
Senza l’effetto
dei maggiori deficit (e della fine della stretta creditizia) la grande ripresa
che portò Reagan alla trionfale rielezione del 1984 non ci sarebbe stata.
Reagan (non so quanto consapevolmente) predicò male (predicò il lafferismo) ma
razzolò molto meglio (razzolò da keynesiano…).
Il progetto CCF è
una via (compatibile con la necessità di non far deflagrare l’Eurosistema) per
produrre una forte ripresa dell’economia, anche e soprattutto riducendo il
carico fiscale che grava su aziende e cittadini. Ma per capire come e perché funziona,
lasciate perdere Laffer. Non c’entra. C’entra Keynes...