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martedì 1 settembre 2015

No, non è la curva di Laffer



Non è alla base del progetto CCF.
Si è parlato in questi giorni del primo ministro israeliano Netanyahu, che ha dato una “lezione di fiscalità” ai suoi interlocutori italiani mentre visitava l’Expo, spiegando il funzionamento della “curva di Laffer” (e disegnandola su un tovagliolo durante una cena).
Della curva di Laffer ha più probabilità di aver sentito parlare chi (come me) non era esattamente un bambino durante la campagna elettorale USA del 1980, quella che portò Ronald Reagan alla presidenza.
Narrano alcune leggende metropolitane che l’economista Arthur Laffer convinse Reagan della bontà dell’idea disegnando la curva su un tovagliolo (pure lui) durante una cena. Secondo altre fonti, in realtà l’esibizione artistica di Laffer si verificò alla presenza di Dick Cheney e Donald Rumsfeld, ai tempi esponenti dell’amministrazione Ford e più tardi, rispettivamente, vicepresidente e ministro della difesa con Bush junior. Cheney e Rumsfeld ne avrebbero, successivamente, riferito a Reagan.
Insomma pare che la curva di Laffer sia un’idea molto convincente a condizione di disegnarla su un tovagliolo. Come che sia, Reagan ne fece uno dei suoi cavalli di battaglia mediatici. Il punto di partenza del ragionamento è che il livello di pressione fiscale che massimizza le entrate statali è, evidentemente, intermedio tra zero e 100%. A zero, lo stato non incassa nulla. Al 100%, nemmeno, perché, se lo stato preleva tutto il reddito sotto forma di tasse, nessuno ha più interesse a lavorare.
Allora deve esistere un livello di pressione fiscale che massimizza gli incassi statali. L’idea alla base della proposta di Laffer era che nel 1980 gli USA si trovassero in una situazione di fiscalità inefficiente. Era quindi possibile abbassare le aliquote, spingere aziende e cittadini a lavorare di più, e, nello stesso tempo, aumentare PIL, occupazione, ed entrate fiscali – tutto in una volta.
Illustrando ad alcuni interlocutori il progetto CCF, che prevede di ridurre la fiscalità effettiva aumentando, nello stesso tempo, PIL e occupazione, è successo anche a me di sentirmi dire “ma questo è il principio della curva di Laffer”. NO, non è così.
In realtà non c’è mai stata nessuna prova che quanto sosteneva Laffer nel 1980 fosse vero. Certo, il punto di massima efficienza del sistema fiscale sta da qualche parte tra lo zero e il 100%, ma a parte questo è difficilissimo formulare ipotesi attendibili, verificabili empiricamente, in merito a quello che succede in mezzo.
Abbassare le tasse è sicuramente una via molto valida per rilanciare l’economia in un periodo in cui la domanda è depressa, c’è alta disoccupazione e il potenziale produttivo del sistema è sottoutilizzato. Ma non perché (o non principalmente) perché con meno tasse si è incentivati a lavorare di più.
La riduzione di tasse, come anche l’incremento di spesa pubblica, funziona, semplicemente, perché si immette potere d’acquisto nell’economia. Il meccanismo è l’incremento del saldo tra spese e incassi pubblici. Il deficit spending, in altri termini: più domanda, più spesa e più occupazione. Non è che si spinge a lavorare qualcuno che prima non ne ha aveva voglia perché le tasse erano troppo alte. Si mette in circolazione potere d’acquisto che permette di comprare beni e servizi, e quindi di pagare più persone per produrne di più. Persone che avrebbero avuto voglia di lavorare anche prima: ma non c’erano soldi per pagarli, perché non c’erano abbastanza soldi per comprare la maggiore produzione…
Reagan fu eletto in base alla promessa di essere in grado – contemporaneamente – di rilanciare l’economia, abbassare le tasse e ridurre il deficit pubblico USA. Quello che accadde fu in realtà piuttosto diverso.
Nel 1980 l’economia USA era in recessione, e la causa principale era la stretta creditizia imposta dalla Federal Reserve per ridurre l’inflazione (che, in quegli anni afflitti dagli shock petroliferi del 1973 e del 1979, aveva raggiunto anche oltreoceano la doppia cifra).
I primi diciotto mesi della presidenza Reagan furono caratterizzati da ulteriore debolezza della congiuntura e disoccupazione in aumento. Poi la Fed stabilì che l’inflazione era scesa abbastanza, e interruppe la stretta sul credito.
A quel punto partì una forte ripresa. La riduzione dei tassi d’interesse esercitò il suo impatto positivo, sommandosi ai benefici delle minori tasse (che Reagan effettivamente aveva abbassato) ma anche della maggiore spesa pubblica (militare: perché Reagan era stato eletto anche per sconfiggere l’”impero del male” sovietico e per vincere la guerra fredda).
Quindi dal secondo semestre 1982 in poi: ripresa economica, sì. Calo della disoccupazione, sì. Ma deficit pubblici a livelli record, non in diminuzione.
Senza l’effetto dei maggiori deficit (e della fine della stretta creditizia) la grande ripresa che portò Reagan alla trionfale rielezione del 1984 non ci sarebbe stata. Reagan (non so quanto consapevolmente) predicò male (predicò il lafferismo) ma razzolò molto meglio (razzolò da keynesiano…).
Il progetto CCF è una via (compatibile con la necessità di non far deflagrare l’Eurosistema) per produrre una forte ripresa dell’economia, anche e soprattutto riducendo il carico fiscale che grava su aziende e cittadini. Ma per capire come e perché funziona, lasciate perdere Laffer. Non c’entra. C’entra Keynes...