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lunedì 22 luglio 2013

Le dottrine Juncker


Jean-Claude Juncker è stato per più di sette anni, fino a pochi mesi fa, il presidente dell’Eurogruppo, il comitato di coordinamento dei ministri economici dei 17 paesi che adottano l’euro come moneta.
 
Durante questo periodo è stato uno dei personaggi più visibili, insieme ai vari Barroso, Van Rompuy, Draghi, Rehn, tra le autorità europee che hanno in qualche modo gestito la crisi della moneta unica europea.
 
Prima, durante, dopo e ancora a tutt’oggi, ha ricoperto la carica di primo ministro lussemburghese (dal 1995, diciotto anni ormai).
 
Ultimamente di Juncker viene citata frequentemente una frase, tratta da un’intervista del 1999 a Der Spiegel. Così nota ormai che spesso viene etichettata come “dottrina Juncker”.
 
“Prendiamo una decisione, poi la mettiamo sul tavolo e aspettiamo un po’ per vedere che cosa succede. Se non provoca proteste né rivolte, perché la maggior parte della gente non capisce niente di cosa è stato deciso, andiamo avanti passo dopo passo fino al punto di non ritorno”.
 
Presa a sé, sembra la frase di un sociopatico. Il principio è di infliggere alla popolazioni, utilizzando processi subdoli e non democratici, decisioni dagli effetti sgradevoli (molto sgradevoli), che “susciterebbero proteste e rivolte” se ne venissero capite le implicazioni.
 
Ora, può essere che Jucker sia esattamente questo – un sociopatico. Tuttavia non guasta ricordare un’altra sua frase, meno citata ultimamente ma anch’essa molto nota.
 
“Noi, capi di governo, sappiamo cosa fare, ciò che non sappiamo è come farci rieleggere dopo averlo fatto”.
 
La seconda frase dà una chiave di lettura alternativa della prima. Juncker potrebbe non essere un sociopatico.
 
Può essere invece che abbia avuto (come me) un’insegnante di lettere che gli ripeteva ad ogni occasione “nihil sine magno labore natura dedit mortalibus”.
 
Per cui Juncker, e gli altri eurocrati, sono forse genuinamente convinti che una grave crisi si risolve solo con gravi sofferenze. Se poi bisogna farle accettare alla popolazione tramite reiterate mistificazioni in merito alle conseguenze delle decisioni prese, pazienza, al termine del percorso si staglia un futuro luminoso.
 
Nella loro testa, questo è un percorso spiacevole ma necessario. Il punto, naturalmente, è che non è vero niente. Alla prof di lettere di Juncker non competeva di insegnare la macroeconomia keynesiana, e questa lacuna Juncker non l’ha mai colmata.
 
Altrimenti avrebbe forse capito che un sistema economico in trappola della liquidità non ha da temere l’inflazione e può rilanciarsi, rapidamente ed efficacemente, con politiche di sostegno alla spesa, finanziate da espansione monetaria. Senza infliggere “magno labore” a nessuno, salvo quello di far tornare al lavoro i disoccupati (che questo “magno labore” a dire il vero non vedono l’ora di sobbarcarselo).
 
E se si è (contro il parere dei più qualificati economisti mondiali) adottata una moneta unica in 17 paesi, per cui c’è il problema che in mezza Europa serve sostegno alla spesa ed espansione monetaria, nell’altra mezza no (o molto meno), il problema è la “meccanica” del sistema monetario – che si può risolvere esattamente come si risolvono tutti i problemi meccanici – riprogettando il meccanismo.