Jean-Claude
Juncker è stato per più di sette anni, fino a pochi mesi fa, il presidente
dell’Eurogruppo, il comitato di coordinamento dei ministri economici dei 17
paesi che adottano l’euro come moneta.
Durante questo
periodo è stato uno dei personaggi più visibili, insieme ai vari Barroso, Van
Rompuy, Draghi, Rehn, tra le autorità europee che hanno in qualche modo gestito
la crisi della moneta unica europea.
Prima, durante, dopo
e ancora a tutt’oggi, ha ricoperto la carica di primo ministro lussemburghese
(dal 1995, diciotto anni ormai).
Ultimamente di
Juncker viene citata frequentemente una frase, tratta da un’intervista del 1999
a Der Spiegel. Così nota ormai che spesso viene etichettata come “dottrina
Juncker”.
“Prendiamo una decisione,
poi la mettiamo sul tavolo e aspettiamo un po’ per vedere che cosa succede. Se
non provoca proteste né rivolte, perché la maggior parte della gente non
capisce niente di cosa è stato deciso, andiamo avanti passo dopo passo fino al
punto di non ritorno”.
Presa a sé,
sembra la frase di un sociopatico. Il principio è di infliggere alla
popolazioni, utilizzando processi subdoli e non democratici, decisioni dagli
effetti sgradevoli (molto sgradevoli), che “susciterebbero proteste e rivolte”
se ne venissero capite le implicazioni.
Ora, può essere
che Jucker sia esattamente questo – un sociopatico. Tuttavia non guasta
ricordare un’altra sua frase, meno citata ultimamente ma anch’essa molto nota.
“Noi, capi di
governo, sappiamo cosa fare, ciò che non sappiamo è come farci rieleggere dopo
averlo fatto”.
La seconda frase
dà una chiave di lettura alternativa della prima. Juncker potrebbe non essere
un sociopatico.
Può essere invece
che abbia avuto (come me) un’insegnante di lettere che gli ripeteva ad ogni
occasione “nihil sine magno labore natura dedit mortalibus”.
Per cui Juncker,
e gli altri eurocrati, sono forse genuinamente convinti che una grave crisi si
risolve solo con gravi sofferenze. Se poi bisogna farle accettare alla
popolazione tramite reiterate mistificazioni in merito alle conseguenze delle decisioni
prese, pazienza, al termine del percorso si staglia un futuro luminoso.
Nella loro
testa, questo è un percorso spiacevole ma necessario. Il punto, naturalmente, è
che non è vero niente. Alla prof di lettere di Juncker non competeva di
insegnare la macroeconomia keynesiana, e questa lacuna Juncker non l’ha mai
colmata.
Altrimenti
avrebbe forse capito che un sistema economico in trappola della liquidità non
ha da temere l’inflazione e può rilanciarsi, rapidamente ed efficacemente, con
politiche di sostegno alla spesa, finanziate da espansione monetaria. Senza
infliggere “magno labore” a nessuno, salvo quello di far tornare al lavoro i
disoccupati (che questo “magno labore” a dire il vero non vedono l’ora di
sobbarcarselo).
E se si è (contro
il parere dei più qualificati economisti mondiali) adottata una moneta unica in
17 paesi, per cui c’è il problema che in mezza Europa serve sostegno alla spesa
ed espansione monetaria, nell’altra mezza no (o molto meno), il problema è la “meccanica”
del sistema monetario – che si può risolvere esattamente come si risolvono
tutti i problemi meccanici – riprogettando il meccanismo.