Un giudizio più
compiuto sul Ministro dell’Economia, Giovanni Tria, sarò in grado di fornirlo tra
poche settimane, dopo la presentazione della proposta di legge di bilancio 2019.
Nel frattempo
comunque mi sento di dire che ne ammiro molto la sottigliezza delle
dichiarazioni e delle argomentazioni: eccellenti esercizi di equilibrismo
dialettico.
Una dote
certamente utile in questa fase, in cui Tria si propone di contenere i fenomeni
speculativi sul mercato del debito pubblico italiano (e quindi il famigerato spread: con ottimi risultati, in questi
ultimi giorni).
Ma senza, nello
stesso tempo, smentire che il programma economico del governo M5S – Lega (meno
tasse, sostegno alle fase sociali disagiate, rilancio della domanda e della
crescita) sia realizzabile. Sia pure – ma questo personalmente lo ritenevo
evidente fin dall’inizio – diluendo gli interventi nell’arco di alcuni anni, in
un orizzonte di legislatura quindi.
Un esempio è una
frase pronunciata in pubblico pochi giorni fa: “la carenza di crescita non si
risolve con il deficit spending”.
Frase interpretata
da qualcuno come indicativa del fatto che Tria non creda alla valenza di
immettere nell’economia più potere d’acquisto, tramite più spesa pubblica, più
trasferimenti, o minori tasse.
E dagli operatori
di mercato finanziario come un’indicazione che non ci si lancerà in programmi
di spesa “folli e incontrollati” (cosa che ovviamente, in realtà, non aveva mai
proposto nessuno: ma non guasta chiarire il fraintendimento una volta di più
piuttosto che una di meno).
Chiarire l'equivoco è semplice. Il deficit spending, o più esattamente, appunto, l'incremento del potere d'acquisto immesso nell'economia, non incrementa, di per sé e direttamente, il tasso di crescita potenziale dell'economia.
Ma svolge
un’altra, fondamentale, funzione: riduce l’output
gap, cioè il minor livello di produzione rispetto alle capacità del sistema
economico, nel momento in cui questa minore produzione è dovuta a una pesantissima e conclamata carenza di domanda.
Detto in soldoni:
se l’automobile sta viaggiando a 80 kmh mentre ha una velocità di crociera ottimale di
130, il deficit spending (nel senso
sopra definito) non la porta (la velocità di crociera) a 150. Ma equivale a schiacciare l’acceleratore,
salendo appunto da 80 a 130.
E per l’automobile
/ sistema economico, raggiungere la velocità di crociera significa sfruttare al
meglio le risorse produttive e abbattere la disoccupazione.
Sul potenziale di
crescita, peraltro, raggiungere e mantenere la velocità di crociera ha tutta
una serie di benefici indiretti, non istantanei ma evidenti già a breve-medio
termine. Tornare a un livello ottimale di occupazione migliora enormemente
anche la redditività e la produttività delle aziende e dà loro le risorse,
nonché l’incentivo, a innovare, a fare ricerca, e a investire.
Quindi la carenza
di crescita non si risolve – direttamente – con il deficit spending. Ma la disoccupazione e il sottoutilizzo di
capacità delle aziende sì.
E l’innalzamento
del potenziale produttivo del paese viene di conseguenza.