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mercoledì 3 settembre 2014

L’onere della prova


Sento spesso affermare che un’azione espansiva della domanda, attuata oggi in Italia, non porterebbe grandi benefici a causa di strozzature di offerta e problemi di competitività. In pratica, un’affermazione del genere equivale a dire che incrementare la domanda genererebbe un incremento dell’inflazione, più che della produzione e dell’occupazione.

Questo dubbio sarebbe legittimo se fossimo nella situazione degli anni Settanta: ristagno del PIL e inflazione elevata. Situazione, naturalmente, che ai tempi fu strettamente connessa alla crisi petrolifera: un quadro completamente diverso da quello odierno.

Oggi abbiamo, invece, una paurosa carenza di domanda, disoccupazione massiccia e dinamica dei prezzi che scivola verso la deflazione, o probabilmente ci è già arrivata.

In questa situazione mi appare evidente che la direzione in cui andare è: più domanda e più moneta. Se, comunque, si teme che limiti nell’offerta potrebbero far insorgere problemi dal lato dell’inflazione, le linee di politica macroeconomica da adottare sono molto semplici: invece di applicare fin da subito un’azione espansiva delle dimensioni necessarie a riportare la domanda ai livelli antecedenti alla crisi, mettiamola in atto, per esempio, al 50%. Se si verifica una rapida risalita dell’inflazione verso l’obiettivo BCE del 2%, ci fermiamo per dare tempo alle azioni sull’offerta di fare il loro corso. Se, come ritengo molto più probabile, questa risalita dell’inflazione non c’è o è molto graduale, acceleriamo, con più moneta e più domanda.

Fermo restando che, se destiniamo una parte dell’azione espansiva a ridurre la fiscalità che grava sulla produzione domestica, abbiamo già migliorato, e di parecchio, le condizioni dell’offerta. Ed evitato, nello stesso tempo, la formazione di squilibri commerciali e di indebitamento finanziario verso l’estero.

L’onere della prova, che l’offerta del sistema economico italiano non sia adeguata a permettere di riportare produzione e occupazione ai livelli precrisi, spetta a chi fa questa affermazione. E l’unica prova è attuare un’azione espansiva della domanda, per verificare se crea o no più inflazione del previsto. Non ci sono scuse per non agire in questo senso: oggi domanda, produzione, occupazione e dinamica dei prezzi sono TUTTE troppo basse. La direzione in cui spingere è evidente. L’intensità a cui è opportuno arrivare la constateremo. Ma da che parte andare, è chiarissimo.
 
Ed è l’esatto contrario di quello che si continua a fare nell’Eurozona…

martedì 12 marzo 2013

Manifesto di politica macroeconomica

Due precisazioni: i punti che seguono si trovano formulati, in forma maggiormente discorsiva, qui. E quando parlo di strumenti monetari complementari da introdurre nelle sigole nazioni dell'area euro, chiaramente faccio riferimento ai Certificati di Credito Fiscale.

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UNO: la piena occupazione e la stabilità dei prezzi sono gli obiettivi della politica macroeconomica.

 

DUE: in una nazione che controlla l’emissione della propria moneta, i due obiettivi sono quasi sempre compatibili.

 

TRE: nell’ultimo secolo l’unica eccezione rilevante rispetto al punto DUE è stato lo shock petrolifero degli anni Settanta.

 

QUATTRO: normali oscillazioni del ciclo economico possono essere gestite dalla banca centrale, abbassando i tassi e facilitando il credito quando la domanda rallenta o, al contrario, aumentando i tassi e rendendo più stringenti le condizioni di concessione del credito quando i prezzi salgono troppo velocemente.

 

CINQUE:  sono invece anormali le situazioni di trappola della liquidità (TL) che si producono quando la domanda cala a livelli molto depressi e la riduzione a zero dei tassi d’interesse non basta a riportarla al livello necessario per la piena occupazione.

 

SEI: la TL si è prodotta varie volte a seguito dell’esplosione di bolle speculative: crescita dei valori di azioni, immobili o altri beni a livelli irrazionali; massicci fenomeni di acquisti a credito; repentina caduta che ha lasciato investitori e pubblico gravati di debiti a rischio di insolvenza, e gli intermediari finanziari carichi di crediti di dubbia esigibilità.

 

SETTE: in situazione di TL, è necessaria un’azione diretta di sostegno della domanda: spesa pubblica, riduzione delle imposte, erogazione diretta di contributi ai cittadini o una combinazione di questi interventi.

 

OTTO: l’azione diretta di sostegno alla domanda deve essere finanziata con moneta di nuova emissione. Non ci sono aumenti significativi di inflazione né di tassi d’interesse, fino a quando l’occupazione non ritorna a livelli normali. Il cambio estero della moneta tende invece a deprezzarsi, il che peraltro aiuta la domanda grazie al miglioramento del saldo commerciale.

 

NOVE: il “quantitative easing” (la banca centrale compra titoli di Stato o altre attività finanziarie) dà invece benefici limitati. Si immette liquidità nel sistema bancario che però alimenta credito e domanda solo in misura modesta. Dopo la scoppio di una bolla speculativa, le banche sono cariche di crediti problematici e poco propense a erogare nuovi finanziamenti.

 

DIECI: il governo e la banca centrale devono quindi agire in modo coordinato: la banca centrale deve in effetti essere un’agenzia governativa.

 

UNDICI: ogni nazione, o più esattamente ogni ente pubblico territoriale che gestisce tutte (o la parte preponderante delle) politiche fiscali (tassazione e spesa) in vigore sul territorio, deve quindi essere in grado di emettere uno strumento di natura monetaria.

 

DODICI: per “strumento di natura monetaria”, più brevemente “moneta”, si intende un’attività finanziaria emessa da un’entità pubblica, che quest’ultima NON si impegna a rimborsare BENSI’ ad accettare a saldo delle obbligazioni verso di sé (ad esempio, le tasse).

 

TREDICI: i cambi flessibili tra le monete nazionali ammortizzano gli squilibri di competitività e prevengono la formazione di sbilanci nei saldi commerciali. Se più nazioni usano la stessa moneta, come oggi l’eurozona, è indispensabile introdurre strumenti monetari complementari nazione per nazione, finanziare politiche di detassazione dei costi produttivi e riprodurre lo stesso livello di flessibilità assicurato dalle valute nazionali a cambio fluttuante.

 

QUATTORDICI: il debito pubblico denominato nella moneta dello stato emittente non ha per definizione rischio di default, salvo che si decida volontariamente di non rimborsarlo. Casomai ci può essere un rischio di svalutazione della moneta di denominazione, se lo stato la emette in quantità che spingono la domanda al di sopra della capacità produttiva del sistema economico, e quindi producono una salita generale dei prezzi interni.

 

QUINDICI: se un sistema economico è in condizioni normali (non è in TL) l’incremento del sostegno a determinate forme di domanda (più spesa pubblica o meno tasse) causa un decremento di altre (spiazzamento). Se finanziato a debito, aumenta i tassi d’interesse. Se finanziato con emissione di moneta, aumenta i prezzi interni. Viceversa per il decremento del sostegno alla domanda. Quindi se l’economia non è in TL, sostenere determinate forme di domanda è utile per riallocare risorse, non per aumentare l’occupazione.

 

SEDICI: come detto al punto TRE, nell’ultimo secolo lo shock petrolifero degli anni Settanta è stato l’unico caso rilevante in cui piena occupazione e stabilità monetaria sono risultati temporaneamente incompatibili. Questo perché la crescita dei costi di produzione ha abbassato di colpo il PIL potenziale. Se non si fosse accettato un certo livello di inflazione, i redditi sarebbero calati non solo in termini reali ma anche nominali, creando massicce insolvenze di aziende e privati, TL e depressione dell’economia.

 

DICIASSETTE: nella rara e temporanea situazione di incompatibilità di cui a TRE e SEDICI, l’obiettivo della piena occupazione deve prevalere su quello della stabilità monetaria.