domenica 14 dicembre 2025

Moneta e debito pubblico

 

Elaborazione su spunti di Giovanni Piva

Al momento della sua formazione, uno Stato acquisisce il diritto a creare moneta. La moneta è un monopolio dello Stato medesimo.

I soggetti privati non creano moneta, con l’eccezione delle banche commerciali, che tuttavia creano moneta erogando finanziamenti ma nello stesso tempo contraggono passività nei confronti dei depositanti. Questo, in quanto all'erogazione di ogni finanziamento corrisponde la formazione di un deposito nel sistema bancario. E le banche commerciali possono garantire integralmente i depositi solo grazie all’accesso al rifinanziamento della banca centrale (BC), e fintantoché dispongono di questo accesso.

Gli organismi statali che presiedono alla gestione del monopolio monetario sono il Ministero dell’Economia (ME) e la BC. Non esiste una ragione logica o tecnica per la quale le due entità debbano essere separate. E’ un assetto istituzionale che gli Stati si sono dati, ma le due entità potrebbero benissimo essere accorpate.

Il ME immette moneta nell’economia mediante il deficit pubblico, cioè mediante l’eccesso di spesa rispetto al prelievo fiscale. Nella prassi (anche se non è, neanche in questo caso, una necessità) la creazione di moneta conseguente al deficit pubblico viene attivata mediante una sorta di “gimcana”. Il ME emette titoli che vengono sottoscritti da banche commerciali, le quali ottengono la moneta mediante finanziamenti erogati dalla BC contro garanzia dei titoli stessi.

L’alternativa è che il ME utilizzi uno scoperto di conto corrente, cioè una linea di credito presso la BC. Questo avviene negli USA mentre è proibito nell’Eurozona, perché gli Stati dell'Eurozona hanno rinunciato a esercitare l'emissione monetaria e a esserne monopolisti.

Quando il ME attua un deficit pubblico, si viene a determinare un surplus per il settore privato. Famiglie e imprese si ritrovano con attività finanziarie corrispondenti alle passività finanziarie dello Stato.

Queste passività statali, peraltro, se emesse nella moneta di cui lo Stato è monopolista, sono in sostanza una finzione. Lo Stato non può essere forzato all’insolvenza su queste passività. L’unica preoccupazione è che l’immissione di moneta nel settore privato non stimoli domanda eccedente la capacità produttiva del sistema economico, generando inflazione invece di produzione e occupazione.

Il surplus del settore privato può essere impiegato in titoli emessi dallo Stato, ma questa emissione non ha lo scopo di finanziare lo Stato medesimo. E’ una forma di impiego per il risparmio finanziario che SI E’ GIA’ FORMATO nel settore privato come conseguenza del deficit pubblico. E’ solo uno spostamento del risparmio finanziario da un conto corrente a un conto titoli. E’ come travasare un litro d’acqua da un bottiglia di plastica a una bottiglia di vetro.

I titoli di Stato giungono periodicamente a scadenza e ne vengono emessi di nuovi. Se i nuovi non venissero, in tutto o in parte, sottoscritti, la BC potrebbe in qualsiasi momento acquistarli. L’”acqua” in circolazione resterebbe la stessa, cambierebbe solo il contenitore.

Il debito pubblico diventa un vero debito solo nel caso in cui i titoli vengano emessi in una moneta di cui lo Stato non ha il monopolio di emissione. Come nell’Eurozona.

 

giovedì 11 dicembre 2025

La moneta è il carburante

 

A pranzo con alcuni amici, pochi giorni fa, spiegavo un concetto ben chiaro ai lettori di questo blog: che per uno Stato un bilancio pubblico in deficit non è un’aberrazione ma, al contrario, una situazione totalmente normale. Perché un’economia, via via che si sviluppa, ha bisogno di incrementare le attività finanziarie in circolazione, il potere d’acquisto in circolazione, la moneta in circolazione. E il deficit pubblico è il sistema più efficace per attuare questo incremento.

Non mi ha sorpreso sentire controbattere a questa argomentazione un’obiezione tipicissima: che bisogna però che il deficit sia ben impiegato, ben indirizzato, che i soldi siano spesi bene.

E chi lo nega ?

L’osservazione è corretta ma porta fuori strada. E’ come dire: l’auto è a secco ma se fai il pieno certo, si rimetterà in moto, “ma poi bisogna vedere come guidi”.

Per carità. Una volta che l’auto parte, sarà meglio non mandarla a sbattere contro un muro.

Ma l’alternativa non è lasciarla a secco e rimanere fermo.

E l’Italia invece da venticinque, trent’anni, da Maastricht e dall’euro in poi, è ferma perché qualcuno ci ha raccontato, e ci racconta ancora, che è giusto stare a secco e che bisogna vergognarsi di fare il pieno.

 

lunedì 8 dicembre 2025

La follia dell’ingresso italiano nell’euro

 

L’economia italiana ha smesso di crescere nel momento in cui ha adottato l’euro. Di fronte a questa constatazione, si sente spesso obiettare che l’euro ce l’hanno anche gli altri (paesi dell’Eurozona).

La risposta è duplice. In primo luogo, l’euro per metà dei paesi dell’Eurozona è una moneta più forte rispetto alla precedente moneta nazionale. Per l’altra metà, è più debole. I secondi, al contrario dei primi, hanno avuto un vantaggio in termini di competitività internazionale.

Però altri paesi a valuta debole, tipo Spagna e Portogallo, se la sono cavata meglio dell’Italia. Motivo ? semplice: l’Italia ha preso molto più sul serio i vincoli fiscali UE, si è sforzata molto di più di rispettare il vincolo del 3%.

La ragione ? l’Italia è entrata nell’euro con un’incidenza del debito pubblico sul PIL più alta degli altri. Quindi questa incidenza andava comunque ridotta, anche se avessimo tenuto la lira, no ?

No.

Il debito pubblico denominato in moneta nazionale era assolutamente un non problema. Era un utile strumento di impiego del risparmio finanziario privato, e non creava nessun rischio di insolvenza. Nessuno ti può mandare in default per un “debito” espresso nella moneta che emetti tu.

La conversione del debito pubblico da lire ad euro ha creato un problema dove non ce n’era nessuno.

L’euro è un progetto insensato e disfunzionale. Ma non ha danneggiato nessun paese quanto l’Italia.

Se non si comprende questo, tutte le altre analisi, diagnosi e proposte in merito al malessere economico italiano sono chiacchiere prive di interesse e di contenuto.

sabato 6 dicembre 2025

Invertire il declino demografico

 

Credo non sia sufficientemente chiaro che il mondo economicamente sviluppato, anzi tutto il mondo fatta eccezione (per ora) per l’Africa e per alcuni paesi islamici, va incontro a un fenomeno di contrazione della popolazione.

Questo è particolarmente evidente in Italia, dove anno dopo anno si assiste a un declino delle nascite, ormai poco sopra le 300.000, contro il milione annuo del periodo del baby boom. Ma è un fenomeno rilevabile, in termini più o meno accentuati, praticamente in tutta Europa, Asia e America.

Come ho già detto, l’austerità fiscale enfatizza il problema ma una volta tanto non ne è la causa principale. La causa principale è l’evoluzione della società. In termini molto crudi e magari imputabili di non essere politically correct, le donne oggi hanno alternative rispetto al fare figli per assumere un ruolo nella società.

Alternative che in un passato non lontanissimo non erano disponibili, perlomeno nella stragrande maggioranza dei casi. Sempre per essere molto chiaro: quando ero un ragazzino una trentenne non sposata e senza figli era considerata una sfortunata zitella. Forse non da tutti, ma nel comune sentire popolare era così. Oggi non più, e io non rimpiango certo il passato. Ma l’origine del declino demografico è questa.

Se vogliamo riportare le nascite sopra il tasso di sostituzione, che per l’Italia significa almeno 500.000 nati all’anno, e salvo ipotizzare che prenda piede l’ectogenesi (ma non mi è chiaro se i problemi tecnologici, e ancora di più quello etici e legali, siano superabili) è necessario che la maternità torni a essere un’attività socialmente ambita, nonché sostenuta da adeguati incentivi economici.

Quest’ultimo punto magari sembra intuitivo ma temo sfugga che cosa dovrebbero essere gli “adeguati incentivi economici”. Non qualche migliaio di euro una tantum ma qualche DECINA di migliaia di euro TUTTI gli anni per ogni figlio minorenne.

A regime, 500.000 nati all’anno vorrebbero dire nove milioni di bambini e ragazzi a fronte dei quali erogare alle famiglie, poniamo, 30.000 euro cadauno. Fa 270 miliardi annui, corrispondenti al 12% del PIL (odierno).

Vi pare molto ? non lo è, se pensate alle ricadute in termini di sviluppo economico. Se pensate all’alternativa in termini di spopolamento del paese. Se riflettete sul fatto che si discute serenamente di spendere il 5% del PIL per la difesa.

Io credo che qualcosa di simile possa diventare un’eventualità di cui si parlerà seriamente entro una decina d’anni, e che potrebbe essere attuata entro una ventina.

Basta liberarsi delle attuali credenze superstiziose in merito ai “vincoli di finanza pubblica”, e ci si rende conto che nulla di quanto sopra è impossibile.

 

martedì 2 dicembre 2025

Debito pubblico e debito estero, la solita confusione

 

I presunti, sedicenti esperti che si candidano ad assumere la conduzione dell’economia del paese, affermando di possedere diagnosi e ricette, cadono in terrificanti confusioni su concetti che dovrebbero ormai essere chiari a chiunque.

Poco fa Luigi Marattin vaneggiava su twitter, pardon su X, che l’Italia è il terzo paese più indebitato al mondo, dopo Giappone e Grecia, e tra poco sarà il secondo.

Quello a cui Marattin si riferisce in realtà è il rapporto tra debito pubblico e PIL. Ma il debito pubblico non è il debito DEL PAESE. E’ il debito del SETTORE PUBBLICO, appunto.

Se parliamo di debito del paese, l’indicatore rilevante è la NIIP (Net International Investment Position), cioè il saldo netto tra attività patrimoniali estere possedute da residenti italiani, e attività patrimoniali italiane possedute da residenti esteri.

Questo è il dato che possiamo considerare il migliore indicatore del debito (netto) estero. Solo che non è un debito. La NIIP dell’Italia al 30.6.2025, come riportano i dati Bankitalia, era POSITIVA per 238 miliardi. Era un CREDITO.

Come è possibile avere una NIIP a credito in presenza di un alto debito pubblico ? ma semplicemente perché il debito pubblico è in larga maggioranza detenuto da residenti italiani.

Suggerimenti sensati di politica economica possono provenire da chi è così fuori strada su un tema così elementare ? Non contateci.

sabato 29 novembre 2025

Finanza pubblica, sproloqui e come contrastarli

 

A tutti quelli che sproloquiano sul “deficit pubblico che impoverisce il paese” e sul “debito pubblico che incombe sulle future generazioni”, fate notare che

Ogni volta che si forma un deficit nei conti pubblici, significa che sono stati immessi nel settore privato dell’economia più soldi di quanti se ne siano prelevati con le tasse.

Ogni volta che il debito pubblico si incrementa, significa che il settore privato dell’economia si trova a detenere una maggior quantità di risparmio finanziario, sotto forma (in genere) di titoli di Stato.

Quindi: 

il cosiddetto “risanamento dei conti pubblici” significa prelevare risorse finanziarie dal settore privato e ridurre il risparmio finanziario detenuto dal settore privato.

mercoledì 26 novembre 2025

Procedure di deficit eccessivo

 

Se proprio si volesse dare un senso logico alla prassi UE di gestire la governance economica tramite l’apertura di “procedure per deficit eccessivo”

(…come se “UE” e “senso logico” potessero essere messe nella stessa frase…)

se proprio si volesse, l’unico approccio sensato sarebbe richiedere agli Stati di adottare misure fiscali utili al contenimento dell’inflazione, se quest’ultima rischia di diventare troppo elevata.

Ma attenzione: queste misure non devono necessariamente basarsi sulla riduzione del deficit pubblico. Misure antinflazionistiche appropriate, soprattutto in presenza di tensioni sui prezzi provenienti dal lato degli input, dell’energia, delle materie prime, possono benissimo basarsi sulla riduzione delle imposte indirette, della tassazione dei consumi, delle accise.

Siccome avrebbe senso logico, lungi da me sperare che a Bruxelles qualcuno spinga in questa direzione.