Mi imbatto nell’ennesimo articolo che si lamenta dei boomers, i nati tra il 1946 e il 1964, “colpevoli” di non abbandonare le loro posizioni professionali e di bloccare l’ascesa dei più giovani.
Essendo del 1962, faccio parte del gruppo. All’estremo inferiore, quantomeno sono un giovane boomer. Ma ci rientro.
Lasciatemi quindi formulare una difesa della categoria, non d’ufficio ma molto sentita e penso anche motivata.
Corre l’anno 2022, quindi i boomers sono persone che si situano tra i 58 e i 76 anni di età. È scandaloso che occupino posizioni di responsabilità, e non le lascino ?
Francamente non credo. Vero, molti di loro non ne avrebbero più bisogno – sul piano economico. Ma mi pare giusto che certe attività continuino a essere svolte da chi, in termini di capacità, salute e motivazione, è in grado di farlo.
Salute e motivazione possono venir meno, a una certa età – ma anche no. E se no, perché allora ci si dovrebbe rassegnare al pensionamento inattivo ? a sedersi sulle panchine del parco o a scrutare i cantieri da dietro le staccionate ?
Perché in questo modo si impedisce ai (relativamente) giovani di crescere ? il punto è che non è vero.
Se i (relativamente) giovani hanno avuto meno occasioni, e in generale è vero che ne hanno avute meno, le ragioni sono altre. Io ho iniziato a lavorare nel 1985 e ho goduto di un ventennio abbondante di contesto favorevole, figlio della crescita economica, del mondo che pur tra tanti problemi si presentava pieno di opportunità.
Senza bisogno che si facessero da parte i 60enni, i 70enni, gli 80enni. L’uomo più potente della finanza italiana in quegli anni era Enrico Cuccia, classe 1907, che si è fatto da parte quando è morto, e non un minuto prima. Era un personaggio fuori da tutti gli schemi, certo; ma l’esempio è indicativo.
Dopo la crisi finanziaria mondiale e dopo la crisi dei debiti sovrani eurozonici le cose si sono fatte sicuramente più difficili. Fossi nato nel 1982, ed entrato nel mercato del lavoro nel 2005, avrei vissuto una situazione più “tosta”. Almeno restando in Italia.
Capisco il problema, mettendomi nei panni di un Marco Cattaneo con vent’anni in meno. Però al mio omologo quattro lustri più giovane tengo a precisare che le opportunità non gliele ho tolte io, ma un contesto esterno diventato molto meno favorevole.
E le ragioni, per chi segue questo blog, sono note. Sono un sistema di governance dell’economia che, specialmente, ripeto, in Italia, ha distrutto crescita e opportunità.
Non è una questione di numero di posti statico e di “attempati” che non si rassegnano a passar la mano. È questione di establishment che ha imposto regole antisviluppo. E mi riferisco naturalmente, in primo luogo, alle deliranti regole di governo dell'eurosistema.
Mettere in panchina gli “attempati” non risolve il problema. Il problema non è ridistribuire tra le generazioni una torta fissa di opportunità professionali, ma far crescere la torta.
E questo lo
capiscono i boomers meglio di chi è
arrivato dopo, appunto perché per 20 o 30 anni hanno vissuto dall’interno un
mondo differente. Molto differente.
Nicola di Cesare: Un appello ai giovani. Se il mondo non vi piace cambiatelo invece di stare su Facebook ad accusare gli avi. Però prima studiate la storia sennò fate solo peggio.
RispondiEliminaCondivido. Cambiarlo ovviamente non è semplice. Ma il punto di partenza è capire le cause.
Eliminada quello che sto vedendo e sentendo molti di questi giovani, di cui parlate, se ne stanno andando, alcuni con famiglia altri se la faranno quando arrivano a destinazione.
RispondiEliminaSi parla già ufficiosamente di 2 milioni di persone molto variegate come estrazione sociale, addirittura gli immigrati stanno tornando nel loro paese di origine. Molti lasciano il marito in Italia a lavorare e moglie e figli rientrano. Purtroppo ho potuto constatare di persona che la situazione sembra anche peggiore di quei dati che sono usciti.
Mi rifaccio al commento precedente: "cambiare il mondo" è difficile, e naturalmente è inevitabile che in parecchi, avendone l'opportunità, prendano strade alternative al di fuori del paese. Avessi 25 o 30 anni con buona probabilità lo farei io stesso, cosa che a 25 o 30 anni non sono stato costretto a fare. Però ai giovani deve essere chiaro qual è l'origine del problema. Poi se hanno possibilità esterne, e se le cose qui non cambiano, se ne andranno. Ma per chi rimane, il primo passo per indirizzare meglio le cose è capire che cosa ci ha portati in questa situazione.
EliminaSono un boomer che si è fatto da parte appena ha potuto, nauseato dalla piega che ha imboccato il sistema bancario nel quale ha lavorato per oltre 40 anni. Peccato che alle innumerevoli uscite di elementi qualificati (personalmente laurea e MBA) in posizioni apicali non seguiranno rimpiazzi di alcun tipo e quei pochi ingressi che ci saranno sono condannati a contratti da fame e mansioni infime (vendita di ciarpame assicurativo/finanziario) e, anche se preparati e volenterosi, non potranno mai aspirare ad occupare il mio posto (cosa che per me è stato invece il frutto "naturale" di impegno e studio) sic stantibus rebus. Le cause sono ormai note a chi ha sale in zucca e solo chi non vuole capirle insiste con la colpevolizzazione intergenerazionale.
RispondiEliminaA conferma di quanto detto nel post: in assenza di crescita, i boomers che lasciano l'attività lavorativa non creano spazi per nessuno.
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