Non è che si
voglia dare all’euro la colpa di tutto, compreso se il Milan va male o se non
nevica in montagna…
Ma le
disfunzionalità dell’Eurosistema influenzano negativamente l’economia di tutto
il mondo, e i mercati finanziari finiscono per risentirne.
Le ragioni sono meno
evidenti a chi non risiede in uno dei paesi depressi dell’Eurozona. Questo articolo ad esempio elenca una serie di giustificazioni, (grosso modo quelle che si
leggono dappertutto sui media internazionali) per la caduta degli indici di
borsa USA da inizio anno ad oggi (-8% per l’SP500, alla faccia del "January Effect"...)
Vengono
debitamente elencati il calo del prezzo del petrolio, le incertezze sull’economia
e sulla borsa cinese, il rafforzamento del dollaro che penalizza i risultati
delle multinazionali USA, i dubbi sul mercato del credito statunitense, gli
interrogativi sulle prossime mosse della Federal Reserve.
L’euro non viene
menzionato, ma è (che gli autori dell’articolo se ne rendano conto o meno –
probabilmente no) il convitato di pietra.
In
corrispondenza con il varo dell’euro-QE, il dollaro si è fortemente rafforzato
rispetto all’euro. Come s'era detto allora, la svalutazione competitiva dell’euro
era l’unico canale tramite il quale il QE poteva dare un qualche apprezzabile
sostegno alla crescita dell’Eurozona.
Ma: la valuta
cinese si è rafforzata di pari passo con il dollaro, essendogli agganciata. A
partire dall’estate, si è cominciato a sospettare che la Cina facesse fatica a
reggere questa rivalutazione.
Ma: se la Cina svalutasse
repentinamente rispetto al dollaro, gli USA ne risentirebbero in modo per loro
difficilmente accettabile, e con ogni probabilità stanno facendo pressioni sui
cinesi per evitarlo.
Ma: la Cina
intanto rallenta, importa meno petrolio e commodities, il calo dei prezzi si
accentua e aumentano le difficoltà per i paesi che le producono.
Ma: gli utili
delle aziende USA non sono tonici come si pensava, e anche il mercato del
credito (high-yields in particolare) mostra alcune crepe.
Ma: la Federal
Reserve tra molti tentennamenti a dicembre aveva attuato, finalmente, un
incremento di un quarto di punto nei tassi di riferimento, che doveva attestare
l’uscita dalla “trappola della liquidità” ed essere l’inizio di un graduale
processo di normalizzazione rispetto ad anni di tassi ultra bassi. Ed ora si è
in dubbio sui tempi di questa normalizzazione. Anzi, diventa più credibile chi
già prima dubitava che lo stesso quarto di punto dicembrino fosse una mossa opportuna…
Che questi
malesseri diffusi debbano portare a grossi sconvolgimenti, continuo a ritenerlo
improbabile. Il rischio però non è nullo, come le borse hanno debitamente
registrato. E il nesso con le disfunzionalità dell’Eurosistema mi appare indubbio.
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