I problemi del
sistema bancario, il decreto “Salvabanche”, i rischi di bail-in introdotti dalla
normativa UE in vigore dal 2016 aumentano le inquietudini in merito all’economia
italiana, depressa e stagnante ormai da oltre sette anni.
Il PIL è cresciuto
dello 0,8% circa nel 2015. Il Ministero dell’Economia prevede (aggiornamento
Documento di Economia e Finanza, settembre scorso) un’accelerazione all’1,3%-1,5%
nel periodo 2016-2019.
Zero virgola o uno
virgola non è ripresa. Ripresa è se l’Italia crea lavoro e recupera il milione
di posti persi tra 2008 e 2014. A questi ritmi, al massimo l’occupazione non
peggiora.
Renzi ne è consapevole:
spesso ripete che le regole dell’Eurosistema – soprattutto i limiti al rapporto
deficit pubblico / PIL – insistono troppo sul consolidamento fiscale a scapito
dello sviluppo. Regolarmente però aggiunge “sono sbagliate ma le rispetteremo”.
Ma senza una vera ripresa
produttiva e occupazionale, il consolidamento fiscale è controproducente e peraltro
destinato a fallire.
Una situazione
irrisolvibile ? non sulla base della proposta elaborata da un gruppo di
ricercatori, tra cui Biagio Bossone, Massimo Costa, Enrico Grazzini, Stefano
Sylos Labini, Giovanni Zibordi, il compianto Luciano Gallino e l’autore del
presente articolo. Il responsabile ufficio studi di Mediobanca Securities,
Antonio Guglielmi, l’ha analizzata in un recente rapporto.
Si tratta di
introdurre un nuovo strumento finanziario, i Certificati di Credito Fiscale
(CCF): titoli da assegnare gratuitamente a una pluralità di soggetti –
lavoratori, aziende, pensionati, disoccupati, fornitori del settore pubblico.
Un CCF permette di
ridurre pagamenti futuri dovuti alla pubblica amministrazione, per qualsiasi causale
(tasse, imposte, contributi, tariffe, ticket sanitari). In pratica sono diritti
a sconti fiscali futuri.
Il titolare può
monetizzarli in anticipo: un CCF emesso oggi, e utilizzabile come sconto
fiscale a partire (ad esempio) dal 2018, ha valore fin da subito. E’ infatti negoziabile
e trasferibile, e avrà un prezzo di mercato pari al valore facciale (lo sconto
fiscale usufruibile alla scadenza) al netto di un fattore di attualizzazione
finanziaria (prevedibilmente modesto) che incorpora l’effetto del differimento.
Molto
probabilmente, si diffonderà anche l’utilizzo diretto dei CCF come
corrispettivo di operazioni di compravendita.
Mediobanca ha
esaminato gli effetti di un’emissione di 20 miliardi di CCF nel 2016,
incrementati a 40 dal 2017 in poi. Benché più contenuto rispetto ad altre
ipotesi elaborate dal nostro gruppo di ricerca, il conseguente accrescimento di
potere d’acquisto in circolazione e domanda aggregata porta lo sviluppo del PIL
al 3% annuo circa.
La crescita
inoltre aumenta il gettito, compensando gli sconti fiscali ottenuti, a
scadenza, dai titolari dei CCF. Il maggior denominatore riduce il rapporto
debito pubblico / PIL, e la differenza tra spese e incassi pubblici annui (in
euro) cala a zero.
Le assegnazioni di
CCF andranno, inoltre, in parte alle aziende, in funzione dei costi di lavoro
sostenuti. Questo riduce il costo del lavoro effettivo, migliora la
competitività ed evita che la ripresa squilibri i saldi commerciali esteri: la
maggiore competitività consentirà alle aziende di esportare di più e di
guadagnare quote di mercato interno nei confronti della concorrenza estera,
compensando le maggiori importazioni dovute alla ripresa.
Inoltre, i CCF
consentono un sistema di “clausole di salvaguardia non-procicliche”. Se in un
dato anno la congiuntura mette a rischio l’equilibrio entrate-uscite in euro,
il governo può sostenere in CCF (e non in euro) alcune spese, o introdurre
imposte a fronte delle quali il contribuente riceve una compensazione in CCF.
Se Monti avesse utilizzato
questi strumenti, il consolidamento fiscale non avrebbe causato la pesante
caduta di PIL (5%) e occupazione (500.000 posti persi) prodottasi nel 2012-2013.
Si raggiungono
così anche le finalità del Fiscal Compact. L’Eurosistema prevede che la BCE
garantisca i debiti pubblici purché ogni paese s’impegni al pareggio di
bilancio e a ridurre il rapporto debito / PIL. In pratica la BCE garantisce gli
attuali livelli di debito, purché non si incrementino.
Ma i CCF non sono debito
da rimborsare. Lo stato emittente si impegna solo ad accettarli a riduzione di
pagamenti futuri. Nessuna garanzia è richiesta alla BCE: il valore dei CCF è
assicurato dall’impegno di accettazione dello Stato.
Tutto ciò risolve le
attuali disfunzionalità dell’Eurosistema senza rompere la moneta unica, e senza
che l’Italia debba chiedere maggiori garanzie o sostegni finanziari a nessuno.
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