giovedì 5 gennaio 2017

Il gap con la Germania (che non è il problema)


Riflessione a valle di una domanda posta da Giovanni Albin (ma altri mi esprimono spesso dubbi analoghi). Se l’Italia, adottando il progetto Moneta Fiscale, migliora la competitività delle sue aziende, che cosa impedisce alla Germania di mettere in atto azioni simili, mantenendo il gap invariato ?

Risposta: può essere, ma non è nulla di cui ci si debba preoccupare. L’equivoco da chiarire è che i problemi economici italiani, dall’aggancio all’eurosistema in poi, siano dovuti soprattutto all’impossibilità di riallineare il cambio per compensare il deficit di competitività rispetto, in particolare, alla Germania.

E’ accaduto anche questo, certamente, ma il maggiore problema dell’economia italiana non è la scarsa competitività nell’interscambio internazionale. E’ che il sistema attuale impedisce di attuare politiche espansive della domanda in presenza di un massiccio sottoutilizzo delle proprie risorse produttive (output gap) che implica inaccettabili livelli di disoccupazione e di sottooccupazione.

L’Italia nel 2016 ha generato un surplus di circa 60 miliardi nell’interscambio di beni e servizi con l'estero. E’ vero che il surplus è in larga misura dovuto al basso livello di spesa interna e quindi di importazioni. Ma l’export è, comunque, l’unica macrocomponente del PIL il cui livello è superiore a quello precrisi (2007).

Le importazioni sono pari a circa il 25-30% del PIL, il che implica che l’Italia potrebbe incrementare la propria domanda interna e recuperare tutto l’ammanco di PIL rispetto al 2007 (circa 140 miliardi) e rimanere comunque in posizione di surplus nell’interscambio estero.

Ma si può (e deve) fare ancora meglio: espandere domanda e PIL a saldi esteri invariati, dedicando una parte dell’azione espansiva alla riduzione del cuneo fiscale (vedi per esempio il punto 9., qui).

Tutto questo prescinde da quanto farà la Germania. I tedeschi potrebbero guadagnare ulteriore competitività, per esempio riducendo a loro volta la tassazione indiretta sul lavoro. Ma l’Italia commercia con tutto il mondo: l’interscambio con la Germania è rilevante ma è ben lontano dall’essere maggioritario. Peraltro, politiche tedesche rivolte all’ulteriore crescita del loro surplus commerciale li porterebbero in diretta collisione con gli USA, che stanno già alzando i toni e segnalando una sempre maggiore insofferenza nei confronti dell’attuale deficit bilaterale Germania – USA.

Il problema dell’Italia è il pesante vincolo finanziario dovuto a un debito pubblico espresso in una moneta emessa e gestita da terzi (l’euro). Questo vincolo rende l’Italia simile a un’automobile che può viaggiare a 120 km/h ma si autolimita a 60. L’Italia può e deve recuperare la propria velocità di crociera. Se poi la Germania viaggia a 140 e può salire a 150 buon per loro, la cosa non ci crea problemi.

E qual è il presupposto per il venir meno di questa autolimitazione ? la presa d’atto che non ci sono vincoli all’espansione economica, in un dato momento storico, se non quelli prodotti dalle risorse fisiche – umane, impiantistiche, tecnologiche, di know-how. Queste risorse oggi sono, in Italia, pesantemente sottoutilizzate e rappresentano quindi (questo è il rovescio della medaglia) un enorme potenziale inespresso.

Quando il ministro Padoan e altri, in sede di formulazione delle politiche economiche nazionali, affermano che “le risorse a disposizione sono poche”, dicono il falso o – più precisamente – formulano un’affermazione che si giustifica solo accettando come invalicabili e insopprimibili i vincoli dell’eurosistema.

Questi vincoli invece sono totalmente artificiali: il punto è identificare e percorrere la via più appropriata per superarli. Fatto questo, diventano evidenti due cose: che le risorse inutilizzate dall’economia italiana sono, al contrario, rilevantissime, e che quanto farà la Germania è per noi un tema secondario.


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