Riflessione a
valle di una domanda posta da Giovanni Albin (ma altri mi esprimono spesso dubbi
analoghi). Se l’Italia, adottando il progetto Moneta Fiscale, migliora la
competitività delle sue aziende, che cosa impedisce alla Germania di mettere in
atto azioni simili, mantenendo il gap invariato ?
Risposta: può
essere, ma non è nulla di cui ci si debba preoccupare. L’equivoco da chiarire è
che i problemi economici italiani, dall’aggancio all’eurosistema in poi, siano
dovuti soprattutto all’impossibilità di riallineare il cambio per compensare il
deficit di competitività rispetto, in particolare, alla Germania.
E’ accaduto anche
questo, certamente, ma il maggiore problema dell’economia italiana non è la
scarsa competitività nell’interscambio internazionale. E’ che il sistema
attuale impedisce di attuare politiche espansive della domanda in presenza di
un massiccio sottoutilizzo delle proprie risorse produttive (output gap) che
implica inaccettabili livelli di disoccupazione e di sottooccupazione.
L’Italia nel 2016
ha generato un surplus di circa 60 miliardi nell’interscambio di beni e
servizi con l'estero. E’ vero che il surplus è in larga misura dovuto al basso livello di
spesa interna e quindi di importazioni. Ma l’export è, comunque, l’unica
macrocomponente del PIL il cui livello è superiore a quello precrisi (2007).
Le importazioni
sono pari a circa il 25-30% del PIL, il che implica che l’Italia potrebbe
incrementare la propria domanda interna e recuperare tutto l’ammanco di PIL
rispetto al 2007 (circa 140 miliardi) e rimanere comunque in posizione di
surplus nell’interscambio estero.
Ma si può (e deve) fare
ancora meglio: espandere domanda e PIL a saldi esteri invariati, dedicando una
parte dell’azione espansiva alla riduzione del cuneo fiscale (vedi per esempio il punto 9., qui).
Tutto questo
prescinde da quanto farà la Germania. I tedeschi potrebbero guadagnare
ulteriore competitività, per esempio riducendo a loro volta la tassazione
indiretta sul lavoro. Ma l’Italia commercia con tutto il mondo: l’interscambio
con la Germania è rilevante ma è ben lontano dall’essere maggioritario. Peraltro,
politiche tedesche rivolte all’ulteriore crescita del loro surplus commerciale
li porterebbero in diretta collisione con gli USA, che stanno già alzando i toni e segnalando una sempre maggiore insofferenza nei confronti dell’attuale
deficit bilaterale Germania – USA.
Il problema
dell’Italia è il pesante vincolo finanziario dovuto a un debito pubblico
espresso in una moneta emessa e gestita da terzi (l’euro). Questo vincolo rende
l’Italia simile a un’automobile che può viaggiare a 120 km/h ma si autolimita a
60. L’Italia può e deve recuperare la propria velocità di crociera. Se poi la
Germania viaggia a 140 e può salire a 150 buon per loro, la cosa non ci crea
problemi.
E qual è il
presupposto per il venir meno di questa autolimitazione ? la presa d’atto che
non ci sono vincoli all’espansione economica, in un dato momento storico, se
non quelli prodotti dalle risorse fisiche – umane, impiantistiche,
tecnologiche, di know-how. Queste risorse oggi sono, in Italia, pesantemente
sottoutilizzate e rappresentano quindi (questo è il rovescio della medaglia) un
enorme potenziale inespresso.
Quando il ministro
Padoan e altri, in sede di formulazione delle politiche economiche nazionali,
affermano che “le risorse a disposizione sono poche”, dicono il falso o – più
precisamente – formulano un’affermazione che si giustifica solo accettando come
invalicabili e insopprimibili i vincoli dell’eurosistema.
Questi vincoli
invece sono totalmente artificiali: il punto è identificare e percorrere la via
più appropriata per superarli. Fatto questo, diventano evidenti due cose: che
le risorse inutilizzate dall’economia italiana sono, al contrario, rilevantissime,
e che quanto farà la Germania è per noi un tema secondario.
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