sabato 7 aprile 2018

Moneta Fiscale e governance dell’Eurosistema: il punto sostanziale


Le ragioni formali – legali e contabili – per cui la Moneta Fiscale (MF) è totalmente in regola con la struttura dell’Eurosistema sono state chiarite in molti articoli che ho pubblicato in questo blog, e in molti altri predisposti dal nostro gruppo di ricerca. Vedi, tra i tanti, questo.

Ma il punto di maggiore sostanza, che è importante avere ben chiaro prima ancora di esaminare (e senza volerne sminuire l’importanza) i temi formali, è il seguente.

La regola del pareggio di bilancio nonché il Fiscal Compact hanno un senso in quanto fin dal momento in cui l’euro è stato creato, ci si è basati sul principio che nessun paese fosse obbligato a farsi carico delle passività di un altro.

In realtà questo principio è stato disatteso in varie circostanze, la principale delle quali è stato il whatever it takes di Mario Draghi. Senza il quale, peraltro, l’euro sarebbe collassato nell’estate del 2012.

Ora, se i debiti pubblici degli Stati non sono garantiti dalla potestà di emissione monetaria degli Stati medesimi, o da una banca centrale a cui la potestà medesima viene demandata, il rischio di una crisi dei debiti sovrani è sempre presente.

E non esiste un livello di debito pubblico (rispetto al PIL) che dia certezza sul fatto che il mercato non scommetterà contro la solvibilità dello Stato. Rapporti del 30 o del 40% non hanno impedito alla Spagna o all’Irlanda di andare in crisi nel 2011, come non l’avevano impedito all’Argentina nel 2001.

Se il whatever it takes viene meno, in altri termini, i debiti sovrani dell’Eurosistema assumono immediatamente un grado di rischio completamente diverso, enormemente più elevato. E le probabilità che il sistema salti in tempi rapidissimi, come stava saltando nel 2012, diventano (a quel punto) estremamente significative.

Semplicemente, il whatever it takes non può venire meno se si vuole preservare l’euro.

L’impegno della BCE tuttavia è stato assunto nello stesso periodo in cui si introduceva il Fiscal Compact. L’assetto attuale dell’Eurosistema in pratica prevede un impegno reciproco: garanzia dei debiti sovrani da parte della BCE purché gli Stati raggiungano, nei tempi più rapidi possibili, il pareggio di bilancio “strutturale” (corretto per le condizioni congiunturali) e riducano gradualmente (fino al 60% nel giro di vent’anni) il rapporto debito pubblico / PIL.

La Moneta Fiscale non rientra nel debito pubblico da garantire non solo perché, sul piano formale e legale, non è debito. Non vi rientra perché non serve nessuna garanzia da parte della BCE. Lo Stato che emette la Moneta Fiscale si impegna ad accettarla a riduzione di impegni finanziari nei suoi confronti (in primo luogo, relativi al pagamento di tasse e imposte). Nessuno può forzare lo Stato a disconoscere questo impegno. Non ci sono euro da procurarsi per rimborsare un debito nel momento in cui scade.

Se uno Stato emette Moneta Fiscale e la utilizza per attuare le sue azioni di politica economica (azioni espansive nella misura necessaria a riassorbire gli attuali, enormi livelli di sottoccupazione e sottoutilizzo delle risorse produttive) e nello stesso tempo blocca la crescita del debito pubblico, vengono raggiunti i risultati che il Fiscal Compact si proponeva di ottenere.

Per recuperare l’attuale enorme output gap dell’economia italiana, e riportare la situazione del mercato del lavoro ai livelli pre-crisi (quelli del 2007) riassorbendo tutta la disoccupazione e la sottoccupazione che si è creata nel frattempo, occorre immettere maggiore potere d’acquisto fino a un massimo di circa 100 miliardi annui. La crescita, sulla base di ipotesi molto prudenziali (moltiplicatore keynesiano pari a 1x più una ripresa del rapporto investimenti privati / PIL pari a metà della flessione registrata rispetto al 2007), genera maggior gettito che compensa gli sconti fiscali ottenuti mediante la MF.

Ed eventuali discrasie dovute a situazioni congiunturali sfavorevoli sono facilmente gestibili, dato l’amplissimo rapporto tra entrate lorde del settore pubblico (oggi pari a circa 800 miliardi) e sconti fiscali conseguiti annualmente dai possessori di MF: esiste un ampio ventaglio di azioni attivabili.

Tutto questo è attuabile immediatamente, senza bisogno di chiedere alcun ulteriore impegno o garanzia, né alla UE, né alla BCE, né a nessun altro. Basta che rimanga in essere il whatever it takes nella forma in cui già oggi è stato assunto (e in assenza della quale l’Eurosistema comunque non sopravviverebbe).


6 commenti:

  1. Antonio Zito: In cosa si differenzia un ciclo espansivo della domanda che si fonda sui CCF da uno che si fonda sulla riconquistata sovranità monetaria? Credo che nel caso dei CCF la domanda per beni di importazione dall'estero in Italia aumenterebbe molto di più. Favorendo ancora una volta i paesi esportatori nell'area euro più che l'Italia. Al limite potrebbero presentarsi problemi di bilancia dei pagamenti in deficit. Paradossalmente il maggior potere di acquisto degli italiani avvantaggiarebbe i paesi come la Germania. Cosa pensi di questa osservazione Marco?

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    1. Che non è così perché le assegnazioni di CCF vanno anche a beneficio delle aziende per ridurre il cuneo fiscale, permettendo quindi di fare espansione senza peggiorare i saldi commerciali esteri. Vedi post del 15.9.2013.

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    2. Antonio Zito: Se ho compreso bene il ragionamento è il seguente: gli italiani compreranno soprattutto in Italia in costanza di CCF perché i prezzi caleranno a seguito dello sgravio fiscale che con i ccf daremo alle imprese. Meno tasse (sul lavoro) per le imprese=prezzi più bassi in Italia= più vendite in Italia: giusto?

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    3. Esattamente ! usare una parte delle emissioni di CCF per ridurre il cuneo fiscale effettivo produce effetti simili a quelli di un riallineamento valutario.

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  2. Per prima cosa occorre spostare gradualmente, l'applicazione del cuneo fiscale a tutti i contribuenti alla soglia del reddito medio con l'introduzione dell'imposta piatta. Non importa chi sta al governo, basta che si faccia subito, in pieno accordo con Francia e Germania.

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    1. Meglio una riduzione degli oneri sui fattori produttivi, direttamente o mediante erogazione di MF.

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