sabato 23 febbraio 2019

Ancora sul finanziamento monetario del deficit


Un ulteriore interessante spunto di riflessione, basato sul commento di un lettore all’ultimo post.

Affermare che emettere titoli per finanziare il deficit è meno inflazionistico che emettere moneta, argomenta il lettore, non ha senso neanche analizzando il comportamento degli attori in gioco. Lo Stato spende sempre cash,  e chi lo riceve (il cash) non si chiede certo se provenga da un’emissione diretta di moneta o dal collocamento di un titolo. L’immissione di potere d’acquisto e l’impatto sulla domanda di beni e servizi reali è quindi, evidentemente, lo stesso in entrambi i casi.

Chi compra titoli di Stato invece lo fa per dare una destinazione al suo risparmio, quindi utilizzando potere d’acquisto che al momento non ha comunque intenzione di spendere nell’economia reale. Se dovesse cambiare idea, li può peraltro vendere in qualsiasi momento – ottenendo moneta spendibile.

Aggiungo io: si potrebbe obiettare che l’emissione di titoli di Stato è una forma sicura (se è di fatto garantita dalla potestà di emissione monetaria dello Stato stesso) di impiego del risparmio, o quantomeno del suo valore nominale. L’esistenza dei titoli di Stato potrebbe quindi agire da incentivo a risparmiare di più (perché si dispone di una possibilità di impiego di ottima qualità e affidabilità) e quindi a consumare di meno.

E’ un’affermazione difficile in pratica da verificare, ma in ogni caso se i titoli di Stato non esistessero, con ogni probabilità altre forme di destinazione del risparmio assumerebbero, semplicemente, maggior peso. E potrebbero anche essere altrettanto sicure: per esempio si potrebbero semplicemente lasciare più saldi liquidi in depositi bancari, garantiti dallo Stato fino a un importo massimo fissato per legge (come avviene negli USA, dove la Federal Deposit Insurance Corporation li garantisce fine a 250.000 dollari).

Ma anche supponendo che l’esistenza dei titoli di Stato induca la popolazione a risparmiare di più, questo implicherebbe minore velocità di circolazione della moneta, a fronte della quale lo Stato stesso potrebbe comunque raggiungere l’obiettivo di piena occupazione spendendo un po’ di più (o tassando un po’ di meno), senza impatti inflazionistici. Nella tautologica equazione MV = PQ, M sarebbe più alto, V più basso mentre P e Q non avrebbero ragione di modificarsi.

Personalmente non ho nulla contro l’emissione di titoli di Stato in moneta propria, garantiti dalla potestà di emissione monetaria dello Stato, se ed in quanto costituiscano un servizio di gestione del risparmio offerto ai propri cittadini.

Il problema è che si è diffusa e viene strumentalizzata la colossale menzogna che il debito pubblico sia un problema in quanto tale. Problema che diventa reale solo quando ci si indebita in moneta estera, come avviene nell'Eurozona, dove l’emissione della moneta è stata messa nelle mani di un organismo sovranazionale e non responsabile nei confronti di Stati e cittadini.

In ogni caso, le argomentazioni di cui sopra costituiscono ulteriori rafforzamenti della tesi secondo la quale il finanziamento monetario del deficit non è né più né meno inflazionistico del finanziamento a debito.


12 commenti:

  1. Pur concordando che il problema attuale non è quello del pericolo dell'inflazione, che anzi è troppo bassa causando infiniti problemi, la considerazione del post non mi sembra esatta proprio perché la velocità di circolazione della moneta è più alta del debito pubblico.Se fosse possibile l'emissione di moneta ( non incrementeremmo il debito) e la spinta inflattiva sarebbe in ogni caso estremamente contenuta ( il totale delle banconote dovrebbe rappresentare circa il 3% del totale dei mezzi di pagamento)si avrebbe con offerte di beni e servizi non aumemtati e capacità produttiva addizionale non disponibile ( cioè piena occupazione). Quindi anche qualora tutte queste condizioni fossero presenti l'aumento sarebbe limitato e salutare.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. La velocità di circolazione della moneta è con ogni probabilità più alta di quella dei titoli del debito pubblico, ma quando lo stato immette potere d'acquisto nell'economia, l'immissione avviene comunque sotto forma di moneta, non di debito. Se poi contemporaneamente viene offerta una pari quantità di titoli, questa verrà sottoscritta da investitori utilizzando moneta che non si desiderava, comunque, spendere (bensì risparmiare). Questo è il punto del post. Per il resto mi pare che siamo d'accordo: il deficit è inflattivo (in misura significativa) solo se stimola domanda in assenza di capacità produttiva addizionale; altrimenti no. Ma questo a prescindere che il finanziamento del deficit sia monetario o a debito.

      Elimina
  2. Assenza di capacità produttiva addizionale in presenza di carenza di beni dei quali ci sia domanda, aggiungerei, altrimenti la liquidità in eccesso verrebbe tesaurizzata senza spinte inflattive.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. OK, comunque se distribuisco più potere d'acquisto, un incremento di volontà di spendere (più o meno accentuato) mi pare inevitabile.

      Elimina
  3. Mi perdoni, ma tutto questo ragionamento non implica che l'output gap e la disoccupazione involontaria sia sempre "aggiustabili" dalla spesa pubblica? L'intervento di Greco mi pare pertinente. MMT assume che sua sempre possibile raggiungere piena occupazione e output gap più o meno nullo, senza alcuna considerazione dell'impatto sulla qualità tanto della capacità produttiva quanto Dell'"impiegabilità" del lavoro disponibile. Attrattività degli investimenti, impatto sulle aspettative, impatto sui ritorni del capitale, è tutto fisso? Basta creare potere d'acquisto pubblico e l'impatto dinamico di tutto ciò è irrilevante?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. La qualità delle azioni di spesa conta, certo, ma nel momento in cui si mette in circolazione potere d'acquisto (anche per promuovere attività in prima battuta inutili !) questo potere d'acquisto stimolerà la domanda di produzioni e consumi utili de minimis per chi lo riceve. Vedi il post del 13.5.2014. Quanto all'"impiegabilità" del lavoro disponibile, se il lavoro fosse "inimpiegabile" l'output gap sarebbe minore di quanto appare. L'esperienza storica mostra invece che quando si riavvia la domanda, le opportunità di lavoro emergono anche per chi ha "skills" sotto la media. Vedi il caso, eclatante, dell'azzeramento della disoccupazione USA dal 1939 in poi causato dal riarmo e poi dalla spesa bellica (la forma di spesa pubblica più inutile se pensiamo ai suoi effetti diretti: anzi peggio che inutile, distruttiva).

      Elimina
  4. Ma, per capire, lei parla di un intervento pro-tempore post crisi o pensa che questo meccanismo funzioni strutturalmente, in ogni circostanza. Cioè lo Stato avrebbe la capacità di mantenere costantemente il pieno impiego senza impatti apprezzabili sulle aspettative, sulla competitività internazionale, sulla dinamica del capitale etc.? A mio avviso fa un'enorme differenza

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Io penso che strutturalmente la spesa netta dello Stato debba superare di qualche punto percentuale la tassazione, per le ragioni spiegate nel post del 28.4.2019. Questo come dato medio durante il ciclo. Se la media è il 4% del PIL, possiamo avere anni di congiuntura molto forte in cui si scende anche a zero, ed anni in cui per superare una crisi si arriva all'8% o magari anche oltre (come hanno fatto gli USA, e non solo loro, dopo il 2008, del resto).

      Elimina
  5. Può anche essere, ma il mio dubbio su tutta questa discussione risiede sul fatto che si ragiona in termini di % e di saldi settoriali ma senza mai specificare gli impatti sulla produttività, sulle aspettative degli operatori, sulle determinanti della crescita e dei rendimenti del capitale, su cosa rende un'economia forte e sana.....quello che mi preoccupa di MMT è questo, mi pare si diano per scontate troppe cose....capisco l'afflato "sociale", ma temo non funzioni così semplicemente

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Guardi, "gli impatti sulla produttività, sulle aspettative degli operatori, sulle determinanti della crescita e dei rendimenti del capitale" equivalgono a studiare come guidare un'automobile in modo ottimale. Immettere potere d'acquisto nel sistema economico quando manca, equivale a fare il pieno se il serbatoio è a secco. Giudichi lei che cosa è più importante per mettere in modo l'auto.

      Elimina
  6. Beh, questo è vero in situazioni di crisi, in situazioni ordinarie non è necessariamente così. Il governo come employer of last resort ha impatti notevoli. Usare le imposte come variable di controllo dell'inflazione anche...etc.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ma il governo come "employer of last resort" - i piani di lavoro garantito della MMT, in altri termini - ha un impatto, appunto, soprattutto in tempi di crisi. In condizioni normali di ciclo pesa molto meno. E usare le imposte per controllare l'inflazione non mi sembra a priori più distorsivo che usare i tassi d'interesse.

      Elimina