Elaborazione su spunti di Giovanni Piva e di Fabio Bonciani
La maggioranza della pubblica opinione ritiene che il finanziamento del deficit pubblico richieda il collocamento di titoli sul mercato. Questa convinzione deriva dal fatto che da alcuni decenni nella maggior parte dei paesi è vietato, o comunque non è praticato, il finanziamento diretto del governo da parte della BC (Banca Centrale).
Il divieto si applica a finanziamenti sia sotto forma di acquisto diretto di titoli, sia mediante utilizzo in scoperto di conti del governo presso la BC (per la verità quest’ultimo è vietato nell’Eurozona dall’art. 123 comma 1 del TFUE; in altri paesi invece è in teoria possibile, con limiti operativi diversi da caso a caso).
La conseguenza è che il debito pubblico dei vari paesi aumenta di pari passo con l’accumulo dei deficit pubblici, appunto perché a fronte dei deficit pubblici vengono – per prassi o per legge, NON per necessità tecnica – emessi titoli.
A questo punto sorge però un dubbio. Come possono aumentare i debiti pubblici se lo Stato raccoglie sul mercato moneta GIA’ ESISTENTE (in quanto, come detto sopra, le BC non la emettono in presenza di deficit pubblici)? Da dove viene la maggior quantità di moneta necessaria a sottoscrivere i titoli di nuova emissione?
La risposta è che il governo emette 100 di titoli di Stato contemporaneamente all’immissione sul mercato di 100 di moneta, perché il deficit è la differenza tra spesa e tasse, e quando lo Stato spende, spende MONETA.
Il risultato finale è che la moneta in circolazione non varia ma i titoli di Stato aumentano di 100. Come se (nella sostanza, non nella forma) lo Stato avesse pagato direttamente con titoli di Stato i percettori del deficit.
In realtà le BC di tutto il mondo potrebbero comprare tutto il debito pubblico in circolazione, dando in cambio moneta (oggi detengono già il 19% di circa 330.000 miliardi di debito pubblico in circolazione. Il debito pubblico scomparirebbe e il settore privato sostituirebbe un’attività finanziaria (i titoli di Stato) con un’altra (la liquidità).
Il che mette in evidenza un’altra cosa che dovrebbe essere evidente (ma a molti non lo è): il debito pubblico è CREDITO, non debito, del settore privato.
Anche nel caso dell’Italia e dell’Eurozona, è sempre stato vero che il debito pubblico è ricchezza privata. Esiste però un rischio di insolvenza dovuto al fatto che la BCE non garantisce incondizionatamente la sottoscrizione dei titoli emessi, nel caso in cui il mercato non li compri per intero.
Dal luglio 2012 il whatever it takes di Draghi ha modificato la situazione comunicando ai mercati che un fenomeno di insolvenza di grandi dimensioni, tale da mettere a rischio la tenuta dell’Eurozona, “non sarebbe stato accettato” e che sarebbe stata fatta “qualunque cosa necessaria” per evitarlo.
Il mercato ha interpretato l’affermazione di Draghi come una garanzia, anche se sul piano giuridico non lo è (prova ne è che lo spread tra i rendimenti dei titoli dei vari paesi si è ridotto ma non si è azzerato; se la garanzia fosse stata giuridicamente blindata e incondizionata, sarebbe andato a zero).
In effetti è stato un bluff di Draghi,
rischioso ma di successo perché il mercato non si è sentito di “andarlo a vedere”.
L'emissione di titoli di Stato non ha alcuna necessità né tecnica né economica. Ci torneremo.
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