In un periodo
storico in cui ben pochi “policymakers” godono di ampia stima presso la
pubblica opinione, Mario Draghi (i banchieri centrali sono policymakers, pochi
dubbi su questo) è un’eccezione.
E’ difficile
dubitare che sia un uomo dotato di forti competenze tecniche, ed allo stesso
tempo di riconosciuta autorevolezza.
L’economista
oggi probabilmente più letto e citato al mondo, Paul Krugman, che pure è
fortemente critico dell’eurosistema, afferma di ammirarlo e ritiene che solo l’azione
di Draghi abbia impedito, nel 2012, la deflagrazione della moneta unica
europea.
Però…
Lo stesso
Krugman nel formulare i suoi elogi dimentica (forse ai tempi gli è sfuggito ?) che
pochi mesi prima di pronunciare il “whatever it takes” che ha evitato il
collasso dell’euro, Draghi aveva anche formulato precise opinioni in merito all’insostenibilità
dello stato sociale europeo. Precise ma molto discutibili, e sicuramente ben
poco in linea con le opinioni della scuola keynesiana progressista di cui
Krugman è forse l’esponente più noto.
C’è un altro
punto. Draghi ha ottenuto, si dice, grandi successi politici con l’approvazione
di iniziative come l’OMT e, recentemente, il pacchetto di facilitazioni del
credito (TLTRO, acquisti di ABS eccetera). Grandi successi perché conseguiti
nonostante l’opposizione tedesca.
Ma… quanto è
stato utile tutto questo ? Draghi ha messo in atto esattamente quanto serviva a
evitare la deflagrazione della moneta unica, e niente più di questo. Ha evitato
che la malattia uccidesse il paziente, ma l’ha trasformata in uno stato di
malessere cronico. E a due anni di distanza dal “whatever it takes”, l’Eurozona
è più depressa di prima, ci sono milioni di disoccupati in più e sono fallite
decine di migliaia di aziende.
Sarebbe stato
diverso se alla guida della BCE ci fosse stato Jens Weidmann ? La risposta di primo
acchito è: sì, la rigidità tedesca portata alle estreme conseguenze avrebbe “spaccato”
l’euro nel 2012.
Magari vi
stupirà che lo dica io, che da due anni mi sforzo di spiegare come si può
riformare l’eurosistema e farlo funzionare senza arrivare alla rottura. Ma
sarebbe stato non lo scenario migliore, ma comunque molto, molto meno peggio, rispetto a quanto è in realtà accaduto.
Il breakup
avrebbe certamente causato problemi seri. Ed è lecito avanzare parecchi dubbi
su quanto efficacemente sarebbe stato gestito.
Ma a quest’ora
il problema sarebbe stato alle nostre spalle. I danni del breakup non sarebbero
stati maggiori di quelli causati da questi due anni di devastazione. E oggi
saremmo in piena ripresa.
E poi, Weidmann
avrebbe realmente fatto qualcosa di diverso ? E’ così rilevante che il capo
della Bundesbank vada nel consiglio della BCE e voti contro provvedimenti
destinati a essere comunque approvati ? State certi che Weidmann entra in consiglio
sapendo come voteranno gli altri.
Il dubbio è che
la Bundesbank abbia interesse a fare esattamente quello che ha fatto Draghi. Evitare,
cioè, la deflagrazione, senza però che vengano attuate le azioni di espansione
fiscale che risolverebbero la crisi – e farebbero venir meno, di conseguenza,
la posizione egemonica della Germania nell’ambito dell’Eurozona.
Non voglio
passare per dietrologo, non credo di esserlo. Ma pensando a Draghi mi balza
alla mente un romanzo di Stefano Benni, dove compariva un immaginario
presidente degli USA (una caricatura di Bill Clinton) descritto come “un uomo
assai potente, ma che non conta niente”.
Un uomo sulla
carta dotato di poteri enormi, in pratica vincolato a utilizzarli secondo
logiche e interessi che gli tolgono ogni effettiva libertà di azione.
Forse non è così
e sarei felice di essere smentito. Ma non considero assolutamente una smentita
le recenti mosse della BCE.
Cambierò idea se
vedrò Draghi supportare una di queste cose.
Per ora, il
dubbio che Draghi sia solo la faccia che annuncia ciò che sta bene a Weidmann,
togliendo a Weidmann l’imbarazzo di fare lui l’annuncio (anzi dandogli perfino
la comodità di formulare un irrilevante voto contrario) rimane.