martedì 10 novembre 2015

La BCE attuerà l’Helicopter Money (o un suo equivalente ?)


C’è un nesso molto stretto tra gli articoli di Biagio Bossone e di Guido Tabellini (vedi i recenti post – questo e questo). L’elemento chiave è la relazione tra “secular stagnation”, politiche finalizzate a superarla e la conclusione che ne emerge: banalmente, stiamo vivendo una crisi da insufficienza di domanda aggregata, risolvibile in tempi ragionevoli solo agendo su quella.
 
L’esperienza di questi ultimi anni evidenzia che il QE - come ampiamente prevedibile e previsto - non è sufficiente, e che altre proposte, come la krugmaniana “credible promise to be irresponsable” riguardo all’inflazione, sono di dubbia efficacia e comunque politicamente irrealizzabili - soprattutto nel contesto dell’Eurozona.
 
Poiché la bassa domanda va di pari passo con un livello di inflazione nettamente inferiore agli obiettivi BCE, ne deriva che un’azione diretta di stimolo (“stampare più moneta, versandola direttamente sui depositi e sui conti correnti dei cittadini” nelle parole di Tabellini) con strumenti quali l’Helicopter Money, o i Certificati di Credito Fiscale, dovrebbe essere presa in seria considerazione dalla BCE stessa.
 
Per quanto il mandato BCE non sia “duale” come quello della Federal Reserve USA – la BCE si deve preoccupare dell’inflazione e non dello sviluppo di PIL e occupazione – se la dinamica dei prezzi continua a rimanere sopita, si giustificano azioni espansive della domanda aggregata, in piena coerenza con i trattati. Si può tranquillamente argomentare che a questo punto la BCE non “può”, ma “deve” prendere in considerazione di sostenere direttamente la domanda di beni e servizi.
 
Suona irrealistico ? bene, pochi giorni fa Mario Draghi, nel suo discorso di inaugurazione dell’anno accademico alla Cattolica di Milano, ha affermato testualmente:
 
“Il nostro obiettivo è un tasso d’inflazione inferiore ma non discosto dal 2% nel medio termine. Si noti che la definizione è simmetrica: l’inflazione non dev’essere durevolmente né troppo alta né troppo bassa. La storia insegna che la deflazione, ancorché relativamente più rara, può comportare conseguenze altrettanto destabilizzanti di un’inflazione eccessiva; soprattutto per i giovani, che sono generalmente debitori netti, queste possono essere particolarmente dolorose”.
 
La mia impressione è che Draghi stia preparando il terreno (a passi di un’esasperante lentezza – ma qui entra in gioco la politica) a una soluzione HE o equivalente. In tempi che non mi aspetto inferiori ai dodici mesi – ma neanche superiori a 24.
 
In questo scenario, i CCF possono giocare un ruolo chiave perché consentono di ottenere gli effetti dell’HE in modo selettivo (solo nei paesi dove l’azione espansiva della domanda è più necessaria, in altri termini). Naturalmente qualsiasi azione marchiata, avallata, o anche semplicemente non osteggiata dalla BCE si dovrebbe presentare non come un passaggio verso lo scioglimento finale dell’euro, ma come la via per preservarlo. E dovrebbe essere accompagnata da un sistema di clausole di salvaguardia non procicliche, tali da dar certezza alla BCE che la sua garanzia sui debiti pubblici nazionali riguarderà livelli di indebitamento stabili in valore assoluto, e decrescenti in rapporto al PIL: che è il modo di raggiungere gli obiettivi del Fiscal Compact evitando che l’Eurozona continui ad avvitarsi in uno scenario economico deflattivo e depressivo.
 
Le dimensioni del programma CCF, in questa eventualità, sarebbero presumibilmente inferiori a quelle della proposta originaria – che ipotizza (nel caso dell’Italia) emissioni annue fino a un massimo di 200 miliardi, da raggiungersi in tre anni, puntando a colmare rapidamente l’intero “output gap” prodottosi dal 2008 a oggi.
 
Un programma CCF “BCE-backed”, “BCE-endorsed”, o semplicemente “BCE-benign-neglected” molto più probabilmente verrebbe attuato su dimensioni inferiori. Per esempio (sempre riguardo all’Italia) 40 miliardi massimi annui: che sarebbero comunque sufficienti a generare una crescita del PIL del 3% annuo circa, per sei-sette anni consecutivi. Un recupero dell’”output gap”, e quindi dell’occupazione, più graduale, ma comunque forte e continuo, tra l’altro evitando rischi (per quanto modesti, partendo dall’attuale situazione di domanda fortemente depressa) di “overshooting” dell’inflazione e dei saldi commerciali esteri.
 
Potrebbe anche trattarsi, dicevo, di un programma su cui la BCE assume un atteggiamento di “benign neglect”. Un’azione dei singoli stati, che Francoforte non avrebbe neanche bisogno, in effetti, di avallare esplicitamente. Basterebbe lasciar intendere che non la sgradisce…

4 commenti:

  1. più stampate più create posti di lavoro nei paesi emergenti togliendoli dalla vostra economia. l'inflazione non sale. e quella che sale è frutto di consumismo assistito che non crea lavoro e che quindi peggiorerà la situazione dei poveri aggiungendo inflazione su disoccupazione.

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    1. quelle del post precedente ovviamente . Ottime considerazioni quelle di Cattaneo.....

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