venerdì 3 giugno 2016

Non temere la disoccupazione tecnologica

Un’argomentazione che sento e leggo di frequente, e non da oggi (ma più spesso ancora in questi anni di crisi) può essere riassunta come segue: gli aumenti di produttività ottenuti grazie all’innovazione tecnologica tendono a ridurre la forza lavoro impiegata. Aumentando la produttività, quindi, diminuisce l’occupazione.

E’ una linea di pensiero che non condivido, perché sono trecento anni, dall’inizio della Rivoluzione Industriale, che gli aumenti di produttività derivano da miglioramenti tecnici. Si resta colpiti dalle realizzazioni tecnologiche che spostano l’asticella della produttività sempre più in alto – perché l’applicazione della tecnologia è un processo cumulativo – ma se ragioniamo in termini di VARIAZIONI, con ogni probabilità l’introduzione dell’aratro meccanico o della macchina a vapore hanno prodotto incrementi marginali di produttività ben superiori a quelli che si stanno verificando in questi anni.

Non siamo in presenza di una discontinuità, ma del proseguimento (a ritmi non certo accelerati, casomai il contrario) di un processo che dura da secoli. L’innovazione tecnologica di per sé non implica né disoccupazione strutturale né polarizzazione nella distribuzione del reddito.


Il pieno impiego è possibile, un’equa distribuzione del maggior valore aggiunto prodotto anche. L’innovazione rende possibile ottenerli a livelli di reddito totale e procapite crescenti. Vanno gestite le opportune e necessarie riqualificazioni professionali e riallocazioni di risorse. Ma è possibile, e non particolarmente difficile. Se non lo si fa, è perché non si vuole. E’ un problema politico, non l’effetto di una discontinuità storica.

22 commenti:

  1. Marco, sono d'accordo con te per il titolo: non bisogna temere la disoccupazione tecnologica. Ma sai che non sono d'accordo sulle motivazioni: la discontinuità esiste e in effetti è iniziata diversi decenni fa, prima con la sostituzione della forza fisica, poi con l'introduzione della meccanica e dell'elettronica di precisione. Tutti questi passaggi hanno spiazzato il lavoro umano, che si è ovviamente indirizzato altrove: verso i lavori più elementari e così mal retribuiti che sarebbe più costoso tentare di automatizzare e verso il lavori più complessi, che richiedono competenze superiori. Ma da una decina di anni, con grandi progressi negli ultimi due, si sta sviluppando la tecnologia cognitiva. Computer che pensano. Sul serio dico. Concettualizzano la realtà come un essere umano ma con capacità che l'essere umano non può avere. Ad esempio la capacità di immagazzinare e ricordare ogni cosa e di individuare un pattern minuscolo all'interno di un input enorme. Se ti chiedessi di analizzare un milione di fotografie e identificare dei pattern che si ripetono, tu forse puoi trovare quelle rappresentano facce, animali, piante, paesaggi. In ogni caso si tratta di soluzioni in cui il pattern utilizza la maggior parte dell'informazione. I sistemi di intelligenza artificiale fanno questo e molto di più. Possono trovare pattern in cui l'input è impercettibile per un essere umano. Come rilevare un pattern genetico fra le milioni di informazioni di un DNA.

    Tu dici che non è così e porti come argomentazione principale il passato: finora la tecnologia ha sempre spostato l'uomo da un tipo di lavoro a un altro e quindi lo farà ancora. Ma sulla base di quest'argomentazione non sarebbero mai dovute esistere le auto, perché l'uomo per millenni si è sempre spostato con i cavalli. E non avrebbe mai dovuto volare, perché non l'aveva mai fatto nei millenni precedenti. Invece è successo. E l'intervallo intercorso fra una scoperta e l'altra è stata meno di un secolo. C'era già stato un cambio di passo nella velocità di innovazione. Dall'ordine dei millenni a quello dei secoli. Ora siamo all'ordine dei decenni e fra un decennio arriveremo all'ordine di pochi anni per ottenere lo stesso livello di discontinuità che prima richiedeva millenni.
    Immagino tu conosca già il grafico che mostra come negli ultimi decenni la produttività abbia conosciuto una crescita a 3 cifre, mentre i salari della fascia mediana di lavoratori sia stagnante.
    http://scenarieconomici.it/wp-content/uploads/2014/01/produttivita.jpg

    Ma un altro dato importante è il tasso di impiego rispetto alla popolazione.
    http://www.washingtonpost.com/blogs/wonkblog/files/2013/09/EmployPop2554Aug.jpg

    Negli Stati Uniti, l'economia avanzata per eccellenza, che non va nemmeno tanto male in termini di PIL, dagli anni '90, cioè dall'inizio dell'era di internet, ha cominciato a stagnare e da una decina d'anni è in calo. Questo significa che una fetta sempre meno ampia di popolazione lavora. Nonostante l'aumento della produttività a 3 cifre. Dunque è evidente che questa produttività non è frutto del maggior lavoro umano. Anzi, verrebbe da dire che è frutto, dagli anni '70 agli anni '90 di una maggiore efficienza del lavoro umano, grazie all'informatizzazione, dagli anni '90 in poi alla sua sostituzione da parte di processi automatici.

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  2. Ci sono quindi tutte le premesse per prevedere che l'uomo verrà totalmente spiazzato nel giro di qualche decennio. E avremo anche la possibilità di assistere a questo processo, tanto è vicino. Cosa fare quindi? Da un punto di vista evolutivo è tutto da scoprire. Dal punto di vista del benessere sociale però, do la tua stessa risposta: il problema è politico. Se si riuscirà a redistribuire questa enorme capacità produttiva senza ostinarsi a voler utilizzare il reddito da lavoro (che ormai è in declino) sarà una grande conquista sociale e un'epoca di benessere. Altrimenti assisteremo a una povertà dilagante insieme alla disoccupazione e all'inesorabile deflazione salariale.

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    1. "Finora la tecnologia ha sempre spostato l'uomo da un tipo di lavoro a un altro e quindi lo farà ancora. Ma sulla base di quest'argomentazione non sarebbero mai dovute esistere le auto, perché l'uomo per millenni si è sempre spostato con i cavalli. E non avrebbe mai dovuto volare, perché non l'aveva mai fatto nei millenni precedenti. Invece è successo." Non vedo il nesso: introdotti le auto e gli aerei, si è cominciato a volare, e ci si è spostati molto meno di prima a cavalli, perché, appunto, diventano disponibili mezzi di trasporto più efficaci: ma la disoccupazione non è aumentata per effetto delle auto o degli aerei...

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    2. "Dunque è evidente che questa produttività non è frutto del maggior lavoro umano": certo che no, per definizione, perché la maggiore produttività consente di aumentare produzione e reddito a parità di lavoro. Ma i livelli di occupazione inaccettabilmente bassi non sono dovuti al fatto che si producono tutti i beni e tutti i servizi che servono senza bisogno di impiegare tutte le persone che vorrebbero lavorare: ci sono gli inoccupati e nello stesso tempo ampie fasce di popolazione sono sottoposte a privazioni materiali, e gli investimenti infrastrutturali e la manutenzione dei beni pubblici sono carenti. Il che vuol dire che ESISTE il bisogno di produrre di più, ESISTONO persone che, messe al lavoro, sarebbero in grado di produrre quel "di più", ma NON STA FUNZIONANDO il meccanismo di allocazione delle risorse e di incentivo alla produzione che permetterebbe di impiegare gli inoccupati e di ottenere livelli di reddito nazionale più alti e più equamente distribuiti. Non riesco a vedere come questo dipenda dalla tecnologia e della produttività, mentre vedo benissimo come questo abbia a che vedere con il sistema finanziario e con decisioni di natura politica...

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  3. Quando le auto sono state introdotte, hanno sostituito i cavalli come mezzo di locomozione. Esisteva altro spazio che i cavalli potessero occupare come mezzo di produzione? Sì, nei circhi, nelle attività da diletto e turismo, nell'industria alimentare. E a quello sono rimasti confinati. Ha garantito lo stesso livello occupazionale dei cavalli? È evidente che no. L'impiego di massa dei cavallo è sparito.

    Quando l'automazione meccanica è stata introdotta, l'uso della forza fisica umana è stato sostituito. Esistevano altri ambiti in cui l'uomo poteva essere impiegato? Sì, le attività di concetto e di precisione. Potevano garantire lo stesso livello occupazionale? Sì. E così è stato.

    Quando la meccanica di precisione, l'elettronica sono state introdotte, il lavoro di precisione umano è stato sostituito da quello automatico. Esistevano altre attività in cui l:uomo poteva essere impiegato? Sì, le attività di concetto. Erano sufficienti a garantire lo stesso livello occupazionale? Sì ma già con delle criticità derivanti dalla necessità di un'adeguata formazione. L'istruzione ha cessato di essere opzionale ma è diventata una necessità.

    Quando l'informatica ha cominciato ad automatizzare alcuni processi cognitivi ben codificati, molte attività concettuali sono state sostituite. Ma è stato il networking diffuso, internet, che ha reso accessibile a chiunque questo tipo di automazione. Attività come quella di rappresentanza, di vendita, operazioni di front e back office, che prima erano attività di concetto svolte da esseri umani, sono state sostituite da processi automatici accessibili via internet. Questo processo è ancora in corso e non ha ancora completato la sostituzione. Esistono comunque attività che possono essere svolte da esseri umani? Sì, quelle altamente specializzate e creative, nonché quelle che richiedono un coinvolgimento emotivo. Sono sufficienti a garantire gli stessi livelli di occupazione? A produttività crescente osserviamo già una stagnazione dell'occupazione.

    Da un paio di anni le ricerche sull'intelligenza artificiale sono passare dall'ambito ludico (la sfida di Big Blue ai campioni di scacchi) all'ambito produttivo. Abbiamo call center automatici, medici e avvocati virtuali, ricercatori genetici... Tutti molto più efficienti di un intero gruppo di lavoratori umani formati e specializzati. A differenza di prima, questi non sono processi cognitivi codificati ma sono progettati per apprendere. E possono farlo meglio degli esseri umani, superando diversi limiti di percezione che abbiamo e a una velocità di elaborazione superiore.
    Resterà ancora spazio per le attività umane? Qui il potenziale dell'IA è appena agli albori e già lascia presagire che non resterà alcuna attività concettuale in cui l'uomo potrà competere, in futuro. Ci sarà margine per mantenere gli stessi livelli occupazionali? Resteranno solo quelli a valore empatico ed emozionale e si sta lavorando a macchine che saranno in grado di farlo. In ogni caso si tratta già di attività numericamente marginali e del tutto insufficienti a garantire un lavoro a tutti. E dall'inizio del secolo il rapporto fra persone impiegate e popolazione pari cominciato a calare.

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  4. Esistono ancora attività di cui abbiamo bisogno e su cui lo Stato è negligente? Ovviamente sì. Ma ormai quasi attività è destinato a erodere lavoro umano, non ad aggiungerlo. La tutela del patrimonio culturale passa soprattutto perla digitalizzazione di archivi storici, l'automazione delle biblioteche. Sicuramente c'è da sistemare il territorio ma ormai si fa tutto con pochi mezzi. Avevo trovato un documento di una società che con 600 persone in organico ha bonificato un'area vasta come la Sardegna.
    E poi ci sarebbe da digitalizzare tutta la PA. Offrire servizi più efficienti al cittadino significa eliminare l'agente umano intermedi. O controlli si fanno più velocemente ed efficacemente in automatico che con una serie di addetti che controlla, fa un sacco di errori ed esercita il suo potere di vessazione perché così può giustificare il suo posto di lavoro.

    Migliorare la produttività oggi significa aumentare la disoccupazione. Se si vuole aumentare l'occupazione, l'unica strada è scegliere l'inefficienza produttiva, lavorare con metodi arcaici. Come se oggi scegliessimo di usare i cavalli per spostarci, per non doverli lasciare a casa. E non mi sembra una via razionale. Per questo sono per la massima efficienza (e quindi via libera alla disoccupazione tecnologica), accompagnata da una redistribuzione della ricchezza che la tecnologia rende possibile, tramite il reddito di base universale.

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    1. Quando dici "A produttività crescente osserviamo già una stagnazione dell'occupazione" e precisi successivamente che "Dall'inizio del secolo il rapporto fra persone impiegate e popolazione ha cominciato a calare" stai facendo riferimento a un periodo di tempo, dal 2000 a oggi, che ha visto una grave crisi finanziaria mondiale nel 2008, aggravata dalla crisi dell'Eurosistema particolarmente a partire dal 2011. Un periodo di tempo durante il quale le economie praticamente di tutto il mondo economicamente sviluppate sono cadute in una situazione di trappola della liquidità e di sottoccupazione cronica. Tutto questo non dipende dal fatto che non ci sia desiderio di consumare di più. Ci sono decine di milioni di disoccupati, inoccupati e sottoccupati che hanno desiderio sia di lavorare di più che di consumare di più. Si trovano però in situazione di capacità di spesa inadeguata e frequentemente addirittura di privazione materiale. La capacità produttiva di beni e servizi per soddisfare le loro esigenze esiste, la domanda potenziale di beni e servizi anche. Se non abbiamo il pieno impiego, OGGI, è per un problema di disfunzioni del sistema economico-finanziario che non si sa o non si vuole risolvere. Non perché abbiamo saturato i bisogni materiali senza bisogno di far lavorare tutti quelli che hanno voglia di farlo.

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    2. Questa è la situazione DI OGGI e questi sono i problemi DI OGGI. Concettualmente è possibile immaginare un futuro in cui qualsiasi tipo di attività produttiva di beni e servizi necessari al benessere materiale, definito nella forma più estesa, possa essere svolto impiegando una frazione minima della popolazione. Ma non so quanto la realizzazione pratica di questo scenario sia distante nel tempo. A me non sembra vicina, ma mi riesce difficile formulare una previsione. La cosa di cui sono sicuro è che i problemi odierni non derivano dal fatto che questo scenario sia vicino ad attuarsi. Oggi un paese come l'Italia (ma in effetti quasi tutto l'Occidente) produce molto meno di quanto vorrebbe e potrebbe, impiega male il suo potenziale, lascia sottoccupate moltissime persone, il che rende più diseguale la distribuzione del reddito e deteriora il tessuto sociale. Tutto questo NON deriva in alcun modo da discontinuità tecnologiche o da accelerazioni della produttività.

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    3. I dati sulla produttività e sul rapporto impiego/popolazione sono (per coerenza) entrambi degli Stati Uniti, che non sono nemmeno l'economia più disastrata.

      Qui c'è uno zoom del periodo 2000 - 2013.

      http://api.ning.com/files/u1yFp6ePHh4YhNzzuWjgd78fcdVI5GANJq3kdjFt4QTQVsLx47zbKE3mXn43JY43JiRCcWUkgauY64TxvYullRmGL62CAa57/wagesproductivitygraphic.png

      Come puoi vedere, la produttività non ha subito alcun rallentamento nei periodi di crisi. Anzi, proprio in coincidenza delle recessioni (2002 e 2008-2009), si verifica un'impennata di produttività, mentre il grafico del rapporto impiego/popolazione mostra dei cali di occupazione che, dal 2000 in poi non ha mai recuperato i valori precedenti alla recessione.
      Quindi come vedi c'è praticamente una relazione inversa fra crescita della produttività e tasso di occupazione.

      http://www.washingtonpost.com/blogs/wonkblog/files/2013/09/EmployPop2554Aug.jpg

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    4. Ma il calo di occupazione post 2000 negli USA l'ha prodotto principalmente la crisi 2008-9: una pesante recessione indotta dallo scoppio di una bolla finanziaria. Una crisi di domanda, non certo disoccupazione prodotta da tecnologia e aumento di produttività.

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    5. Una pesante recessione che ha prodotto una pesante riduzione dell'occupazione e un sensibile incremento della produttività, evidenziando la relazione inversa fra produttività e occupazione.
      Quindi io non sto attribuendo un principio di causalità. Ma sto rilevando che la produttività e l'occupazione, negli ultimi decenni, hanno un andamento di relazione inversa.
      La mia tesi (compatibile con i dati) è che entrambi i fattori siano influenzati dal processo di sostituzione del lavoro umano: innovando, aumento la produttività e riduco i costi tagliando la forza lavoro.

      Anche questo dato è significativo:

      http://cdn.static-economist.com/sites/default/files/imagecache/original-size/images/2013/09/blogs/free-exchange/20150613_woc538_1.png

      E' una chiara relazione inversa fra produttività e ore lavorate.
      Un dato che si può spiegare dicendo che chi lavora di meno produce di più (che è controintuitivo) oppure dicendo che sostituendo lavoro umano con lavoro automatico, poiché le macchine non entrano nel computo della forza lavoro, l'effetto statistico è un aumento di produttività dei lavoratori superstiti, che però in effetti non lavorano meno. Si fanno sempre le stesse ore di lavoro previste dal loro contratto.

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    6. "Una pesante recessione che ha prodotto una pesante riduzione dell'occupazione e un sensibile incremento della produttività, evidenziando la relazione inversa fra produttività e occupazione": negli USA sì, in UK e Italia, ad esempio, no.
      Il punto è che discontinuità tecnologiche che avrebbero dato luogo a un saldo quantistico di produttività semplicemente, in questi anni, non si sono viste. Mentre si è vista la peggiore depressione economica post anni Trenta, ancora oggi lontana dall'essere superata nei suoi effetti occupazionali (tanto è vero che non è ancora risolta neanche la situazione di trappola della liquidità).

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    7. L'Italia ha i problemi di compressione del reddito e del PIL che conosciamo. UK sta resistendo meglio. Ma la tendenza di lungo periodo è osservabile non solo negli USA ma anche in Giappone e in tutta l'eurozona.
      La riduzione del tasso di partecipazione della forza lavoro non è una tendenza limitata alla depressione economica che stiamo vivendo. Ma è appunto una curva di lungo periodo che copre almeno 20 anni e che possiamo osservare soprattutto nei paesi tecnologicamente avanzati. Anche quelli che la crisi economica (intesa come crisi produttiva, misurata in variazioni del PIL) se la sono lasciata alle spalle da alcuni anni, come gli USA.
      Ci sono due fattori che agiscono insieme e questo rende difficile isolare gil effetti dell'uno e dell'altro:
      1) le politiche neoliberiste che impediscono la redistribuzione dei redditi per via statale e comprimono la domanda;
      2) la competitività globale, che spinge le imprese ad aumentare la produttività, riducendo i costi, inclusi quelli del lavoro. E anche questo comprime la domanda.

      La tecnologia è al tempo stesso input e output di questo processo. Le imprese producono tecnologia che poi reimpiegano nei processi produttivi. Questo meccanismo di retroazione rende esponenziale l'effetto dell'innovazione, al punto che ormai la tradizionale relazione positiva fra produzione occupazione sta diventando negativa, per una porzione sempre più ampia di settori produttivi.

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    8. Ma appunto in questi vent'anni abbiamo visto un po' dappertutto politiche deflattive, di compressione salariale, di tendenziale riduzione dell'occupazione - agevolate dall'euro per chi lo usa, dalla strumentalizzazione della crisi finanziaria per tutti. E sono stati anni di BASSA, non alta, crescita di PIL, investimenti e produttività. L'ultima cosa che s'è vista è un nesso causale produttività => disoccupazione. Casomai, al contrario, la compressione dell'occupazione e della quota salari ha innescato fenomeni che la produttività hanno condotto a ridurla...

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    9. Sì, certo, sono stati anni di bassa crescita del PIL, perché non è ragionevole immaginare che una società economicamente matura produca a ritmi forsennati. C'è un ragionevole ricambio ma è normale che a un certo punto la crescita tenda asintoticamente verso lo zero.
      E nonostante la bassa crescita del PIL la produttività è cresciuta a ritmi costanti, forse anche in leggera accelerazione.
      E se la produttività aumenta a ritmi decisamente superiori all'aumento del PIL, è logico aspettarsi un declino dell'occupazione. Ed è quello che abbiamo visto.
      Si produce, a ritmi decrescenti ma con una produttività crescente e un tasso di partecipazione della forza lavoro che è in declino da oltre 20 anni.
      La correlazione fra produttività e disoccupazione la vediamo nei dati. La causalità non c'è, perché entrambi i fattori sono influenzati da un terzo: la tecnologia, che aumenta la produttività più di quanto serva per mantenere l'andamento della produzione e quindi genera disoccupazione.
      Fenomeni di riduzione della produttività, come dici tu, io non ne vedo.

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    10. Io parlo di riduzione non della produttività, ma del suo tasso di crescita.
      Ma il punto è un altro: in questi anni il problema è stato - e continua a essere - il calo dell'occupazione indotto da crisi finanziarie gestite non al meglio, quando non malissimo (vedi eurosistema). La tecnologia, con i problemi occupazionali che si sono creati dal 2008 in poi, non c'entra.

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    11. Ma come fai a parlare di crisi finanziarie quando il declino della partecipazione della forza lavoro dura da oltre 20 anni? Abbiamo una crisi finanziaria ultraventennale?

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    12. L'accelerazione, nettissima, è dal 2008 in poi.

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    13. In realtà, se guardi gli USA, è una parabola perfetta dagli anni '90. Nessuna accelerazione ma una spinta costante verso il basso che porta dalla crescita al declino, in simmetria quasi perfetta. L'Italia ha un tasso di partecipazione della forza lavoro pressoché costante. Persino in leggera crescita dopo la crisi. Segno che più gente cerca un lavoro (anche se non lo trova). Ma se si guarda l'intera eurozona, la tendenza è simile a quella americana.

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    14. Non mi pare proprio, negli USA vedo staticità sostanziale fino al 2008, netto declino dopo.

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