sabato 24 dicembre 2016

Quelli che ”il petrolio non lo paghi con la Moneta Fiscale”

Rispondo a uno dei dubbi più ricorrenti espressi in merito al progetto Moneta Fiscale. I CCF, o titoli di sconto fiscale, o Moneta Fiscale che dir si voglia, hanno valore in quanto vengono accettati dalla pubblica amministrazione per ridurre pagamenti che le sono (altrimenti) dovuti: in primo luogo, tasse e imposte.

Si parla di pubblica amministrazione del  paese emittente, quindi dell’Italia nel caso in cui sia il nostro paese ad adottare il progetto. Ora, un commento tipico è “come paghi le importazioni ? la Moneta Fiscale serve a un residente italiano, che ha obbligazioni finanziarie verso il settore pubblico italiano. Il venditore estero di materie prime o di qualsiasi altro prodotto o servizio non le accetterà mai”.

Bene: quando c’era la lira, si trattava di una moneta che aveva corso legale in Italia, e solo in Italia. Nessuno era obbligato ad accettarla, all’estero. Non potevamo, per questo, pagare le importazioni ?

L’Italia era, ed è tuttora, un paese trasformatore, ed è in grado mediamente di generare valori aggiunti che mantengono in equilibrio i saldi commerciali esteri. Tanto è vero che nel 2016 ha registrato un surplus commerciale vicino a 60 miliardi.

Questo surplus naturalmente è dovuto in misura rilevante al basso livello delle importazioni, generato a sua volta dalla domanda interna depressa. Ma l’import è pari a poco più del 25% del PIL: ne segue che il PIL italiano potrebbe crescere di oltre 200 miliardi senza squilibrare i saldi  commerciali esteri. E questo, senza neanche mettere in conto che il progetto Moneta Fiscale prevede di destinare una parte delle emissioni di CCF alla riduzione del cuneo fiscale, il che implica maggiore competitività dell’export italiano e anche possibilità di sostituire importazioni di semilavorati e prodotti finiti con produzioni interne.

Le importazioni non si pagano "perché usi l'euro". Si pagano perché sei in grado di esportare tanto quanto importi (o di più). Alternativamente ti indebiti verso l’estero – con tutti i rischi che ne seguono. Il progetto Moneta Fiscale rilancia insieme domanda interna e competitività, e non crea nessun effetto negativo riguardo al pagamento delle importazioni in moneta estera.

Altrimenti detto: l’Italia nel suo complesso genera flussi commerciali esteri attivi superiori ai flussi passivi. Non ha bisogno di far conto sull’accettazione della Moneta Fiscale da parte di controparti estere per gestire la situazione senza squilibri.

Tutto questo, anche ipotizzando che la Moneta Fiscale non abbia nessun tipo di mercato o di accettazione al di fuori dell’Italia. Ipotesi peraltro irrealistica: la lira era una moneta convertibile – non “pagavi” le importazioni in lire, ma con le lire compravi dollari, o marchi, o yen, o sterline, o franchi svizzeri. E le controparti estere accettavano lire contro dollari ecc. a un certo cambio non (necessariamente) perché avevano necessità di effettuare acquisti in lire, ma perché sapevano che altri avrebbero richiesto lire per spenderle in Italia.

Analogamente, la Moneta Fiscale nazionale avrà un mercato e una quotazione, così come l’aveva la lira. La quotazione della Moneta Fiscale sarà peraltro tendenzialmente stabile, perché il suo valore resterà “agganciato” all’euro, grazie al fatto di poter utilizzare indifferentemente euro o Moneta Fiscale per estinguere obbligazioni finanziarie verso la pubblica amministrazione.

La chiave della stabilità della Moneta Fiscale è che le emissioni che giungono  a scadenza in ogni singolo anno siano in quantità limitata rispetto agli impegni per pagamenti di tasse, imposte, contributi ecc. verso la pubblica amministrazione italiana. Il progetto prevede che l’ordine di grandezza delle emissioni annue di Moneta Fiscale parta da 30 miliardi e salga fino a un massimo di 200, ma più probabilmente 100 miliardi circa (la cifra esatta dipenderà dalla velocità di recupero dell'economia, e tra l'altre cose dal ritmo con cui la ripresa della domanda riattiverà gli investimenti privati). Gli incassi totali del settore pubblico italiano ammontano a circa 800. Stiamo parlando quindi di un tasso di copertura non inferiore a quattro volte, e con ogni probabilità ben superiore.


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