giovedì 16 gennaio 2025

La moneta come strumento di controllo politico

 

La moneta incorpora due caratteristiche apparentemente così antitetiche da sembrare del tutto contraddittorie. E’, da una parte, un oggetto di uso quotidiano, probabilmente più di qualsiasi altro uno strumento imprescindibile, utilizzato da chiunque, noto a qualsiasi persona e a qualsiasi organizzazione. Ed è però anche un’entità che mette in difficoltà la persona media se gli si chiede di definirla e ancora di più di identificarne le funzioni, l’origine e le modalità di gestione.

Che cosa è esattamente la moneta ?

Chi la crea ?

Chi la gestisce ?

Come si è formata ?

E’ indispensabile che esista ?

Penso che anche persone di ottimo livello culturale e professionale sarebbero in seria difficoltà, se venisse loro chiesto di dare una risposta precisa e circostanziata a queste domande.

I manuali universitari di economia politica, che per qualche oscura (?) ragione tendono a parlare poco di moneta, a trattarla come un fatto di natura acquisito, come fosse l’aria o l’acqua, le rare volte che entrano in tema distinguono tre funzioni fondamentali della moneta:

Unità di conto: è il sistema di misura utilizzato per quantificare crediti, debiti, incassi, pagamenti, patrimoni eccetera.

Intermediario di scambio: barattare beni e servizi è possibile ma poco pratico. Uno strumento di compensazione omogeneo e standardizzato è quindi indispensabile per gestire un’economia minimamente complessa e articolata.

Riserva di valore: la popolazione tende a consumare una parte del proprio reddito e a risparmiarne un’altra parte, e il risparmio può essere accumulato in un’attività finanziaria utilizzabile per spese future. La moneta è una di queste attività finanziarie.

Fin qui tutto abbastanza chiaro. Ma non viene praticamente mai citata una quarta funzione.

La moneta è uno strumento di controllo politico.

Non viene mai citata, eppure è sotto gli occhi di tutti.

Nulla vieta di produrre la moneta a seguito di un accordo tra soggetti privati, tra cittadini e aziende, allo scopo di attivare il funzionamento di un circuito di compensazione multilaterale. Ce ne sono esempi interessanti e ben funzionanti, il WIR in Svizzera, il Sardex in Italia.

Ma in pratica è difficile utilizzarli al di sopra di dimensioni locali. Sono accordi contrattuali tra privati, che valgono nella misura in cui si riesce a creare una sufficiente varietà di interscambio di prodotti, e a tutelare il rispetto degli accordi.

Nella grande maggioranza dei casi la moneta è invece un bene pubblico, nel senso che è lo Stato a imporne il valore e quindi a determinarne l’utilizzo.

E lo strumento tramite il quale se ne impone il valore è la tassazione. Siccome una notevole parte della produzione di reddito è assorbita dal settore pubblico tramite tasse, accise, bolli, imposte dirette, imposte indirette, contributi sociali, se lo Stato prescrive che questi pagamenti debbano essere effettuati mediante una determinata entità, questa entità assume immediatamente valore, anche se il suo costo di produzione è pressoché nullo e la sua funzione d’uso (al di là dell’utilizzo nei sistemi di pagamento, in prima istanza verso lo Stato) è inesistente.

Non è una scoperta recente. “A prince, who should enact that a certain proportion of his taxes should be paid in a paper money of a certain kind, might thereby give a certain value  to this paper money”. Lo scriveva Adam Smith nel 1776, e non credo che sia stato il primo ad accorgersene.

Quindi lo Stato è il produttore naturale della moneta, anzi il monopolista naturale della produzione della moneta o quanto meno della maggior parte di essa.

Dovrebbe essere allora evidente che nell’interesse pubblico la funzione di produzione della moneta debba essere monitorata e monitorabile dalla collettività. Essere soggetta a controllo e scrutinio della cittadinanza, con la massima trasparenza concepibile.

E invece, a leggere e ad ascoltare la narrazione degli organi di informazione cosiddetti “accreditati”, per qualche ragione la funzione di emissione monetaria deve restare avvolta in un alone di sacralità, in una cortina di mistero, e soprattutto deve restare al di fuori del controllo dei politici impiccioni e incompetenti, quando non disonesti, e comunque sempre propensi a “comprare consenso con il denaro pubblico”.

Il punto è che i politici possono essere impiccioni, incompetenti, disonesti e propensi a comprare consenso – o meno. Ma sono soggetti a meccanismi di scelta e valutazione mediante libere elezioni. Se crediamo nella democrazia.

Se invece, appunto, uno strumento così importante, così essenziale come l’emissione e il controllo della moneta viene sottratto alla sfera politica, il risultato è metterlo nelle mani di un gruppo di persone magari competentissime (o magari no); ma che non sono state selezionate e confermate al loro posto in funzione della loro capacità di promuovere l’interesse pubblico bensì…

…bensì l’interesse di qualcun altro, o di qualcos’altro.

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