Siete avvertiti:
questo, direbbe Paul Krugman, è un articolo “wonkish” (grosso modo traducibile
in “un po’ da secchioni…”)
Però il tema è importante,
quindi ce la metto tutta per essere chiaro (divertente sarebbe pretendere
troppo…)
E’ importante
soprattutto perché spiega come la via CCF, rispetto al break-up dell’euro, elimina
il problema della ridenominazione di crediti e debiti. Che è uno dei principali ostacoli
alla soluzione dell’eurocrisi.
Esaminiamo per
prima cosa lo scenario “euro che si spacca”. Ci sono due strade possibili:
escono “dal basso” i paesi che hanno bisogno di una svalutazione, o viceversa
escono “dall’alto” i paesi più competitivi.
Per
semplificare, descrivo gli effetti come se si trattasse esclusivamente
dell’uscita dell’Italia nel primo caso, della Germania nel secondo. Penso
risulti chiaro che, in sostanza, nulla cambia se insieme all’Italia escono gli
altri PIIGS, o (nell’altro caso) insieme alla Germania il resto della vecchia
“area marco”.
L’ipotesi di
partenza, a mio parere molto plausibile, e del resto ampiamente condivisa tra
gli economisti, è che se si ritorna a un sistema di monete nazionali e cambi
flessibili, le parità tra le valute oscilleranno nell’intorno di un valore che
riallinea la competitività delle varie nazioni.
Altrimenti
detto, la stima della rivalutazione / svalutazione può essere plausibilmente
basata sui dati di costo del lavoro per unità di prodotto (CLUP).
All’incirca, dal
1999 a oggi la Germania ha guadagnato circa un 20% sull’Italia in termini di
CLUP. Ha, in pratica, contenuto la crescita dei suoi costi di lavoro
(relativamente alla produttività) con più efficienza e disciplina dell’Italia.
Da qui nascono
gli squilibri commerciali, la difficoltà a finanziare il debito dei paesi che
hanno perso competitività, l’imposizione delle politiche di austerità per
tutelare i creditori, il tentativo di “chiudere” la forbice del CLUP mediante
la deflazione salariale, eccetera.
Se l’Italia esce
“dal basso”, si ipotizza che costi, prezzi, debiti e crediti governati da
contratti di diritto italiano si convertano (“lex monetae”) da euro a Nuove
Lire in base a un rapporto 1:1.
In questa
ipotesi, la Nuova Lira (immediatamente dopo l’uscita) comincia a fluttuare e si
svaluta rispetto all’euro (che la Germania continua a utilizzare).
Nello stesso
tempo, l’euro si rivaluta rispetto alle altre monete, compreso il dollaro USA. Il
motivo è che l’euro è oggi troppo debole rispetto alla competitività del Nord
Europa, e troppo forte rispetto a quella dei paesi mediterranei. Nel momento in
cui l’euro diventa una moneta utilizzata esclusivamente al Nord, quindi, il suo
valore aumenterà anche rispetto alle valute extraeuropee.
L’effetto
complessivo del 20% sarà quindi la combinazione di una rivalutazione da un
lato, e di una svalutazione dall’altro.
Partendo da un
cambio di 1,34 contro dollaro per l’euro attuale (cioè per l’euro utilizzato
sia dall’Italia che dalla Germania) all’incirca l’effetto si ripartirà in pari misura
nei due sensi, quindi dopo la “spaccatura” avremo:
Cambio euro
“tedesco” / dollaro USA: 1,47 (10% circa di rivalutazione)
Cambio Nuova
Lira / dollaro USA: 1,21 (10% circa di svalutazione)
La Germania si
trova a subire un’immediata perdita di competitività non solo nei confronti
dell’Italia, ma di tutto il resto del mondo. Questo è un primo problema (dal
suo punto di vista, naturalmente).
Ne esiste,
tuttavia, un altro. La Germania, avendo in questi anni accumulato attivi
commerciali (grazie alla maggiore competitività, non compensata da un
riallineamento valutario) è creditore netto nei confronti dell’Italia, che per
ragioni uguali e contrarie si è trovata invece in situazione di deficit negli
scambi esteri.
I crediti della
Germania (e, corrispondentemente, i debiti dell’Italia) sono a volte regolati
da contratti di diritto italiano, a volte da contratti di diritto estero. Nel
primo caso si convertono in Nuove Lire, nel secondo caso rimangono in euro.
Qual è il
risultato ? paradossalmente, entrambe le parti riscontrano un peggioramento
della loro situazione finanziaria.
La Germania
ragiona in euro, e subisce una svalutazione della parte dei suoi crediti regolati
da contratti di diritto italiano (e convertiti in Nuove Lire).
L’Italia ragiona
in Nuove Lire, e subisce una rivalutazione dei suoi debiti, per la parte regolata
da contratti di diritto estero (che rimangono in euro).
La Germania si
ritrova con crediti di minor valore, l’Italia con debiti di maggiore importo.
Se invece
riflettiamo sullo scenario “uscita dall’alto”, che cosa cambia ?
La Germania
converte i suoi costi e i suoi prezzi in Nuovi Marchi. Crediti e debiti si
convertono anch’essi se sono governati da contratti di diritto tedesco.
Altrimenti rimangono in euro.
In questo caso
l’euro resta in essere come moneta utilizzata in Italia. Il riallineamento
delle valute è sempre del 10 + 10 = 20% circa, quindi:
Cambio Nuovo
Marco / dollaro USA: 1,47 (10% circa di rivalutazione)
Cambio euro
“italiano” / dollaro USA: 1,21 (10% circa di svalutazione)
Riguardo alla
situazione dei rapporti di debito e credito, anche in questo caso entrambe le
parti riscontrano un peggioramento.
La Germania
ragiona in Nuovi Marchi, e constata che i suoi crediti, per la parte regolata
da contratti di diritto non tedesco, si sono svalutati (perché sono rimasti in
euro).
L’Italia
continua a ragionare in euro, e constata che i suoi debiti, per la parte
regolata da contratti di diritto tedesco, si sono rivalutati (perché sono
diventati Nuovi Marchi).
Perché il
progetto CCF evita tutti questi problemi ?
Perché,
emettendo e assegnando gratuitamente Certificati di Credito Fiscale a vari
soggetti, tra i quali le aziende (in quantità dipendente dai costi di lavoro
sostenuti) si produce un riallineamento del CLUP italiano al livello di
quello tedesco, ma senza che nessun paese converta costi, prezzi, debiti e
crediti in una valuta diversa.
In pratica i CCF
consentono di risolvere i due principali problemi che oggi caratterizzano il
sistema euro.
In primo luogo,
eliminano le differenze di competitività all’interno dell’area euro
(analogamente a quanto accadrebbe per effetto di una “spaccatura” della moneta
unica e del conseguente riallineamento delle valute reintrodotte nei vari
paesi).
In secondo
luogo, nessuno si trova a dover subire una ridenominazione improvvisa dei suoi
crediti o dei suoi debiti. Ridenominazione che, in caso di break-up dell’euro,
è paradossalmente negativa per entrambi: il paese creditore rivaluta e subisce
un calo dell’importo (espresso nella sua moneta) di una parte dei suoi crediti.
Il paese debitore svaluta e subisce un aumento dell’importo (anche in questo
caso, espresso nella sua moneta) di una parte dei suoi debiti.
Inoltre, questo
schema di riforma consente ai paesi che ne hanno necessità di emettere quella
che a tutti gli effetti è una moneta complementare (i CCF appunto) senza,
tuttavia, che nessuno debba effettuare una manovra improvvisa, e potenzialmente
disordinata e deflagrante, di fuoriuscita dal sistema euro.
Tra l’altro
questo consente di discutere il progetto e affinarne le modalità di attuazione
in piena trasparenza, mentre la “spaccatura” dovrebbe avvenire in segreto, in
tempi rapidissimi e comunque con elevati rischi di fughe di notizie e di
perturbazioni sui mercati finanziari.
E non si
richiede alla Germania di rivalutare la propria moneta (quindi i suoi costi)
rispetto a tutto il resto del mondo: non si verifica l’incremento da 1,34 a
1,47, con corrispondente perdita di competitività, di cui sopra.
..ma, stando a Mosler, questo sistema, cmq non risolverebbe il problema dell'occupazione..cioe' sarebbe una manovra tampone..
RispondiEliminaE dove l'ha letto ? nelle dimensioni proposte, il progetto CCF riassorbe tutta la disoccupazione che si è creata dal 2007 ad oggi. Mosler tra parentesi ha scritto la prefazione del libro ("Una soluzione per l'euro") che ho scritto insieme a Giovanni Zibordi (editore Hoepli). Uscirà tra poche settimane e uno dei suoi principali argomenti (non l'unico) sarà questo progetto.
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