martedì 6 ottobre 2015

Certificati di Credito Fiscale: alcuni concetti base



La timida ripresa dell’economia italiana

L’aggiornamento del Documento di Economia e Finanza pubblicato il 18 settembre 2015 a cura del MEF prevede, per la prima volta dopo tre anni di calo (2012, 2013 e 2014), incrementi del PIL reale per quest’anno e per i prossimi: +0,9% per il 2015 e +1,6% per il 2016 e per il 2017.

Naturalmente, essersi messi alle spalle la lunga catena di decrementi di PIL è, in sé, una buona notizia. Ma si tratta di ritmi di recupero molto modesti se messi a confronto con il declino (10%) registrato tra il 2008 e il 2014, e insufficienti a riassorbire, o quantomeno a ridurre in misura rilevante, il calo di occupazione e l’”output gap” che si sono prodotti in tutti questi anni.

Il potenziale dell’economia italiana è nettamente superiore, e per conseguirlo l’elemento essenziale che manca all’attuale mix di politiche economiche è costituito da azioni di stimolo della domanda decisamente più significative di quelle messe in cantiere dal Governo Renzi.

Renzi e il ministro Padoan hanno varato un programma di riduzioni fiscali – IMU e TASI sulla prima casa e successivamente riduzioni di imposte dirette su individui e imprese – distribuito tra il 2016 e il 2017.

L’entità di queste riduzioni è tuttavia modesta, a causa delle “maglie strette” imposte dai trattati europei. Il governo in carica sta negoziando la concessione di margini di flessibilità rispetto ai tempi di riduzione del rapporto deficit pubblico / PIL attualmente previsti, ma si tratta di decimali. Voltare definitivamente l’angolo e lasciarsi alle spalle il contesto depressivo in cui l’Italia (e, in effetti, la maggior parte dell’Eurozona) si trovano ormai da sette anni richiede un’azione decisamente più incisiva.



La necessaria azione sulla domanda: attuarla con i CCF

Effettuare politiche espansive della domanda in Italia (e in altri paesi dell’Eurozona) è un problema a causa delle caratteristiche dell’attuale unione monetaria. Una politica espansiva si traduce, in buona sostanza, nell’introdurre nel sistema economico una maggiore quantità di potere d’acquisto, mettendola a disposizione degli agenti che si muovono nell’ambito dell’economia reale: cittadini e aziende. E questa immissione può avvenire diminuendo le tasse, aumentando i trasferimenti o incrementando la spesa pubblica statale diretta.

Il problema è che queste azioni espansive, in un’unione monetaria a cui appartengono diciannove paesi, non servono dappertutto, o comunque non nella stessa misura. I paesi dove queste azioni non sono oggi necessarie (o lo sono di meno) vedono quindi negativamente l’espansione dell’indebitamento degli altri, temendo che la crescita del debito crei rischi di default e di conseguenza necessità di salvataggi e/o gravi turbolenze nei sistemi finanziari e bancari dell’Eurozona.

L’alternativa è il finanziamento dei deficit mediante emissione monetaria da parte della BCE. Anche questo crea però una preoccupazione, connessa all’incremento della circolazione monetaria totale (degli euro in mano ai cittadini, in altre parole) nel momento in cui un euro ha potere liberatorio e di soddisfacimento di obbligazioni finanziarie sia nei paesi in cui un determinato incremento del potere d’acquisto è necessario o opportuno (come l’Italia) sia in quelli in cui non lo è (come la Germania). Il timore è che l’espansione monetaria opportuna per una parte dell’Eurozona possa essere eccessiva con riferimento alle esigenze di altri paesi.

I CCF (Certificati di Credito Fiscale) costituiscono una risposta e una soluzione a questi problemi.

Si tratta di titoli che danno diritto al loro possessore di conseguire riduzioni di pagamenti altrimenti dovuti alla pubblica amministrazione del paese emittente, a qualsiasi titolo (tasse, imposte, contributi, sanzioni, ecc.).

Vengono a volte definiti “moneta fiscale” in quanto si tratta di titoli validi per pagare tasse e imposte (più precisamente, per ridurre i pagamenti altrimenti dovuti). La definizione di “moneta”, tuttavia, non è del tutto appropriata, o quantomeno si tratta di titoli che, pur essendo espressi in euro, non sono “legal tender” nel territorio dell’Unione Monetaria Europea. Il monopolio nell’emissione di euro, di “legal tender” appunto, rimarrebbe, ovviamente, una prerogativa della BCE.

Se non sono moneta legale, i CCF non sono peraltro neanche debito: lo stato emittente si impegna ad accettarli a fronte di riduzioni di pagamenti altrimenti ad esso dovuti, ma non – in nessun caso e in nessuna circostanza – a rimborsarli in euro.

I CCF non sono, quindi, né moneta legale né debito. Sono titoli che incorporano un diritto patrimoniale, e hanno quindi un valore che deriva da tale diritto.

I CCF possono essere concepiti e posti in atto secondo varie modalità tecniche. Qui di seguito si fa riferimento all’impostazione proposta in due libri recentemente pubblicati sul tema (“La soluzione per l’euro – 200 miliardi per rimettere in moto l’economia italiana”, di Marco Cattaneo e Giovanni Zibordi, prefazione di Warren Mosler e introduzione di Biagio Bossone, ed. Hoepli 2014; e l’ebook “Per una moneta fiscale gratuita – come uscire dall’austerità senza spaccare l’euro”, a cura di Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Enrico Grazzini e Stefano Sylos Labini, prefazione di Luciano Gallino, ed. Micromega 2015).

Nei testi sopracitati, l’emissione di CCF è proposta sotto forma di titoli utilizzabili a due anni dall’emissione. In pratica, il possessore di un CCF emesso il 1° gennaio 2016 potrà utilizzarlo, illimitatamente, per ridurre pagamenti altrimenti dovuti (per tasse, imposte o a qualsiasi altro titolo) alla pubblica amministrazione italiana in qualsiasi data a partire dal 1° gennaio 2018.

Il differimento di due anni serve a evitare che l’utilizzo dei CCF riduca gli incassi della pubblica amministrazione dello stato emittente prima che gli effetti espansivi sulla domanda abbiano potuto creare maggior PIL e quindi maggiori incassi fiscali compensativi, come avverrebbe se i CCF fossero utilizzabili fin dal momento dell’emissione (vedi le proiezioni macroeconomiche di cui agli articoli successivi).

I CCF, nella proposta, sono titoli liberamente negoziabili e trasferibili: il diritto allo sgravio fiscale si trasferisce, insieme al titolo, in capo al possessore. Essendo utilizzabili due anni dopo l’emissione, i CCF avranno un valore un po’ più basso del loro importo facciale (ma tenderanno ad avvicinarsi alla pari con l’approssimarsi della data di utilizzo). E’ ipotizzabile che il loro valore corrisponda a quello di un titolo di Stato zero-coupon di pari scadenza.

L’idea è che lo stato italiano emetta, annualmente, un determinato quantitativo di CCF e li utilizzi per una pluralità di fini, tra i quali principalmente:
Incremento del potere d’acquisto dei lavoratori a basso reddito, mediante assegnazione di CCF (in pratica, qualcosa di simile agli 80 euro di Renzi potrebbe essere erogato sotto forma di CCF).
Riduzione dei costi effettivi lordi di lavoro delle azione: a fronte dei pagamenti per costi di lavoro, tasse e contributi (che continuerebbero a essere versati in euro) ogni datore di lavoro riceverebbe CCF in una percentuale prestabilita.
Altre azioni di sostegno della domanda: integrazioni pensionistiche, sussidi di disoccupazione, reddito di cittadinanza, investimenti pubblici, lavori di pubblica utilità, azioni di politica industriale ecc. Tutte queste iniziative potrebbero essere attivate (o rafforzate) mediante (parziale) assegnazione di CCF.

L’economia italiana potrebbe quindi conseguire, contemporaneamente, significativi risultati in termini di:
Rafforzamento della domanda interna
Miglioramento della competitività delle aziende (grazie alla riduzione dei costi di lavoro lordi effettivi), evitando quindi che la spinta sulla domanda si traduca nella formazione di squilibri nei saldi commerciali esteri.

Tutto ciò, avverrebbe senza che l’Italia incrementi il proprio indebitamento da rimborsare in euro, e quindi rispettando la necessità di conseguire una progressiva riduzione del debito che può creare rischi di default e (conseguentemente) di instabilità finanziaria. Per sua natura, un Certificato di Credito Fiscale è un impegno che non comporta obbligazione di rimborso: come detto poc’anzi, lo Stato emittente non può, in nessuna circostanza, essere costretto al default su un CCF (non è un titolo da rimborsare in euro, e quindi non sussiste il problema di avere o non avere le disponibilità finanziarie con cui rimborsarlo).

Nello stesso tempo, non si verificherebbe nessun incremento di “legal tender”, di moneta che può essere utilizzata per estinguere obbligazioni finanziarie in tutto il territorio dell’Eurozona. Non posso utilizzare CCF italiani per pagare imposte in Belgio, o per estinguere il debito verso un fornitore tedesco (salvo che quest’ultimo li accetti sulla base del loro valore di mercato, cosa possibile e anche probabile, ma solo su base totalmente volontaria).

In pratica, i CCF nazionali ripristinano il livello di flessibilità che esisteva con il precedente regime di monete nazionali, senza tuttavia passare per la “rottura” dell’euro e senza violare il monopolio di emissione di moneta “legal tender”, che resta in capo alla BCE.



L’episodio “MEFO bills”

Uno strumento finanziario assimilabile ai CCF fu utilizzato con grande successo in Germania nel periodo 1933-1937.

Al momento della salita al potere di Hitler, la Germania si trovava in una situazione di pesante depressione economica, con disoccupazione a livelli intorno al 25%. Dopo la crisi di Wall Street nel 1929, alla Germania erano venuti a mancare i rifinanziamenti del debito estero contratto per rimborsare le riparazioni di guerra dovute in conseguenza del trattato di Versailles.

Gli ultimi governi della repubblica di Weimar, in particolare quello del cancelliere Bruening, reagirono con l’imposizione di forti politiche di austerità per cercare di assicurare il servizio del debito estero. Il risultato fu una pesante depressione economica e l’esplosione della disoccupazione.

I MEFO bills furono ampiamente utilizzati, dopo l’ascesa al potere di Hitler, ad opera di Hjalmar Schacht, che ricopriva contemporaneamente la carica di ministro dell’economia e di presidente della Reichsbank. Naturalmente, la Germania non apparteneva a un’unione monetaria e aveva una sua moneta, il marco. Ma finanziare con emissioni monetarie politiche di espansione della domanda era comunque problematico, perché il trattato di Versailles imponeva vincoli e condizionamenti all’attività della banca centrale.

Schacht superò questo problema mediante i MEFO bills, obbligazioni emesse da una società appositamente costituita (la “MEtallurgische FOrschungsgesellschaft”, “Società per la ricerca nel settore della metallurgia”: in realtà, una scatola vuota). Le obbligazioni emesse dalla MEFO venivano utilizzate per pagare commesse pubbliche. Le controparti le accettavano in quanto esisteva una garanzia di ritiro da parte del governo tedesco.

Lo strumento “MEFO bills” consentì a Schacht di attivare una poderosa azione espansiva della domanda interna e, di conseguenza, del PIL e dell’occupazione. In quattro anni, la Germania riassorbì, sostanzialmente, tutta l’enorme disoccupazione che si era prodotta tra il 1929 e il 1933.



Clausole di salvaguardia per assicurare il conseguimento dei saldi di finanza pubblica

Le proiezioni macroeconomiche esposte qui di seguito mostrano sotto quali condizioni l’utilizzo dei CCF può accelerare considerevolmente la ripresa dell’economia italiana e, nello stesso tempo, assicurare un costante miglioramento dei saldi di finanza pubblica (deficit e debito in rapporto al PIL).

L’introduzione dei CCF può essere integrata, peraltro, da un sistema di “clausole di salvaguardia” che assicurano il rispetto dei vincoli di finanza pubblica anche nell’eventualità in cui l’evoluzione della congiuntura economica italiana sia, in determinati anni, peggiore del previsto.

Il concetto delle clausole di salvaguardia è, oggi, adottato nelle interazioni tra governi e commissione europea, nel senso che frequentemente (è in particolare il caso dell’Italia) si richiede a uno stato di attuare azioni compensative se un determinato obiettivo (per esempio) di rapporto deficit pubblico / PIL rischia di non essere conseguito.

Il problema è che queste azioni compensative hanno un impatto prociclico. Essenzialmente consistono in tagli di spesa pubblica e/o in inasprimenti fiscali. Nel momento in cui vengono applicati a fronte di una situazione di debolezza congiunturale (che è la causa, o una delle cause, del rischio di mancare gli obiettivi di finanza pubblica) si avvia un circolo vizioso: le azioni restrittive comprimono ulteriormente la domanda, il PIL cala più del previsto e il gettito fiscale anche, vanificando parzialmente o totalmente i benefici sul deficit che le clausole di salvaguardia avrebbero dovuto produrre. Il riequilibrio della finanza pubblica, quindi, viene conseguito (se viene conseguito) solo a prezzo di effetti pesantemente negativi su PIL e occupazione.

L’introduzione dello strumento CCF permette, al contrario, un’applicazione non prociclica delle clausole di salvaguardia. Per esempio, invece di effettuare tagli puri e semplici, determinate spese possono essere sostenute mediante assegnazione di CCF. Oppure, invece di inasprimenti fiscali, possono essere introdotte imposte che prevedono l’assegnazione di CCF ai contribuenti a fronte del pagamento di euro, e per pari valore. Si tratterebbe in effetti non di imposizione fiscale ma di conversione forzata di euro in CCF.

Se un’azienda o un cittadino deve effettuare un maggior pagamento fiscale in euro, oppure riceve un minor pagamento in euro, ma in entrambi i casi gli viene assegnato un pari importo di CCF (negoziabili e monetizzabili sul mercato) non si trova a subire un danno né patrimoniale né finanziario, se non nella misura in cui la monetizzazione possa, in quel momento, avvenire solo sotto la pari. Quest’ultima eventualità può verificarsi in casi estremi di tensione finanziaria, ma anche così l’effetto prociclico delle clausole di salvaguardia è molto inferiore (pagare tasse per 100 ha un impatto, pagare 100 e ricevere in cambio un pari valore facciale di CCF che può essere venduto sul mercato per 80 euro ha un impatto, evidentemente, cinque volte inferiore). E il minore effetto prociclico contribuisce, peraltro, a smorzare sul nascere le tensioni finanziarie stesse.

Lo strumento CCF consente inoltre di attuare azioni che possono dare ulteriori importanti contributi al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica. Ad esempio, si può dare al titolare di CCF l’opzione di differirne l’utilizzo, a fronte di un incremento del loro valore facciale in funzione del tempo di differimento (in pratica, un tasso d’interesse riconosciuto sotto forma di maggiore “moneta fiscale”). In questo modo, in situazioni di debolezza congiunturale è possibile ridurre la quantità di CCF che vengono utilizzati, spostando l’utilizzo in avanti nel tempo. Questo aumenta gli incassi fiscali in euro nell’anno “debole” (a fronte di una riduzione futura, in periodi che si prevedono più forti sul piano congiunturale).

Un’altra possibilità è collocare sul mercato (in cambio di euro) titoli fiscali: in buona sostanza, CCF di lunga durata, che danno diritto a sgravi fiscali sulla base di scadenze prestabilite. Ciò sposta in avanti nel tempo il fabbisogno di euro per necessità di rimborso del debito pubblico in scadenza.

Il punto chiave è che la disponibilità dello strumento CCF dà allo stato che li emette enormi margini di flessibilità per gestire le sue esigenze di politica economica in chiave non prociclica, rispettando nello stesso tempo il principio di contenere i livelli di deficit e di debito pubblico da rimborsare in euro, e di ridurre progressivamente quest’ultimo in rapporto al PIL.

Equivale a dire agli altri membri dell’Eurozona: il debito e gli euro in circolazione non si incrementeranno mai oltre i livelli concordati; esigenze specifiche dei singoli paesi verranno gestite mediante un “succedaneo monetario” a utilizzo interno al paese stesso. Questo “succedaneo monetario”, il CCF, sarà denominato in euro e avrà un valore di mercato “agganciato” all’euro, ma non avrà natura debitoria e che non produrrà quindi potenziali tensioni finanziarie connesse a rischi di default.

42 commenti:

  1. le azioni restrittive comprimono la domanda solo perché è appunto lo stato e le caste che impediscono l'economia. la fuga delle elite e la vendita di gioielli sono il segnale della fine di un sistema.

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  2. Ho appena letto quest'articolo...ove dice che il capo economista della BCE...afferma pubblicamente che l'Euro è stato un fallimento...il tutto pubblicato in prima pagina dall'Wall Street Journal...

    http://www.liberoquotidiano.it/news/economia/11835665/Bce-capo-economista-Peter-Praet-euro-e-stato-un-fallimento.html

    Shardan

    Non so come funzionano "loro"...ma possibile che un personaggio con un ruolo cosi importante faccia un affermazione del genere pubblicamente ? che non sia l'inizio...di un svolta ? ...anche perché se continuano la baracca crolla....

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    1. Qualcuno interpreta il tutto come: Draghi (notoriamente vicino agli ambienti USA) sta mandando un messaggio (non tanto velato...) alla Commissione Europea, o più esattamente alla Germania: o si comincia a fare espansione fiscale, o la faccenda non regge.
      Sono illazioni, quindi non le commento. O meglio le commento per dire: suona plausibile ma aspettiamo i fatti (se ci saranno...)

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    2. non regge chi? l'euro o la germania?

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    3. la gestione dell'euro o l'euro?

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    4. La gestione. Gestito in altri modi (vedi tra i tanti altri il post del 20.10.2014) l'euro può rimanere e non far danni (non che questo lo renda utile... Ma a quel punto potrebbe essere più semplice tenerlo che scioglierlo).

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  3. i mefo bill non c'entrano nulla con i ccf, il paragone è totalmente deviante

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    1. Erano un succedaneo monetario complementare (come i CCF) e, pur non essendo identici, ne sono stati una fonte di ispirazione (dichiarazione pro veritate, insindacabile in quanto proviene dall'ideatore dei CCF...)

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    2. ma l'ideatore dei ccf confonde la storia. i certificati di credito furono emessi dal 32 al 34 mentre i mefo bill dal 34 al 38 ed erano basati sullo sconto e non sul pagamento in tasse. quindi i ccf si ispirano casomai ai primi e non ai secondi dato che assomigliano appunto ai primi.

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    3. Ma ispirarsi infatti vuol dire prendere spunto, non copiare pedissequamente ... :)

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    4. e allora spiegate il disastro dei mefo bill quando furono proprio le piccole e medie imprese a rifiutarli (ingannate da pochi grandi colossi) ovvero le stesse PMI italiane che voi vorreste far ripartire coi ccf.

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    5. Disastro ? Hanno portato la disoccupazione dal 25% praticamente a zero in quattro anni.

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    6. ma lei non racconta il secondo tempo del film ovvero l'inflazione del 38 provocata proprio dai mefo bill (inflazione nascosta al pubblico e al mondo) bene a conoscenza della germania che si era appunto armata in precedenza perché sapeva benissimo che la conseguenza sarebbe stata appunto la necessità di andare a rubare le ricchezze degli altri paesi avendo svalutato le proprie. famosa la frase dei gerarchi del tempo che sostenevano che l'inflazione non era un problema visto che poi c'erano le armi a rimettere le cose a posto con la forza. ma siccome oggi i disoccupati non vanno più a morire gratis in guerra ecco che il trucco non funziona più essendo le guerre costosissime e paradossalmente le devi perdere perché se le vinci ti ritrovi con una immigrazione fuori controllo nel paese vincitore..

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    7. Ma quella fu dovuta alla politica di riarmo voluta da Hitler, che spinse la domanda aggregata oltre le capacità produttive del sistema economico. Schacht fu deposto proprio perché ebbe il coraggio di dire che occorreva scegliere tra burro e cannoni, mentre Hitler pretendeva di averli entrambi. A riprova che il supporto della domanda mediante espansione monetaria è inflazionistico DOPO che si è raggiunto il pieno impiego, ma non prima. L'Italia, e l'Eurozona nel suo complesso, dal pieno impiego sono distantissimi. Sono nella situazione Germania 1933-1937, non 1938.

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    8. secondo voi quindi il regime inizierebbe a comandare nel 38 e non nel 33 prima dei mefo bill stessi. ovviamente state scherzando suvvia.
      non fu il banchiere centrale a far uscire il problema ma le piccole e medie imprese rimaste fregate coi mefo bill che cominciando a pretendere marchi fecero saltare il trucco tenuto nascosto per 4 anni (parecchi miliardi) e che aveva arricchito solo grandi colossi usando proprio i piccoli su cui scaricare il rischio del debito stesso. esattamente quelle PMI che voi volete aiutare

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    9. No, il regime e' iniziato nel 1933, ha fatto politiche espansive che in quel momento servivano; raggiunto il pieno impiego ha continuato perché Hitler doveva riarmare in vista della seconda guerra mondiale. Economicamente invece la cosa giusta era spingere fino al 1937 e poi levare il piede dall'acceleratore. Schacht l'ha detto ed è stato prontamente destituito...

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    10. i mefo bill servirono proprio al settore bellico sin dal 34 quindi la tesi è sfatata. il loro scopo era appunto nascondere il debito che la germania non poteva fare alla luce del sole così come non poteva armarsi. non fu il regime a togliere il piede dall'acceleratore bensì la scadenza del progetto mefo bill che finendo nelle mani delle pmi tedesche capirono che la carta senza valore dei "colossi" sarebbe finita sui loro bilanci rifiutando di accettarli e facendo crollare lo schema. la germania si giocò le pmi e dovette usare dopo la guerra quelle italiane come appunto fornitrici dei colossi tedeschi.

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    11. Il riarmo parti' prima, certo, ma la grande accelerazione si ebbe dal 1937, in corrispondenza della decisione di Hitler di portare la Germania in guerra. E proprio quell'accelerazione, avvenuta nel momento in cui l'economia aveva recuperato il pieno impiego, rese l'espansione monetaria consentita dai MEFO inflattiva e non più benefica per l'economia reale. È quello che in questo blog si afferma continuamente: sostenere la domanda emettendo moneta non è benefico SEMPRE. Lo è quando l'economia e' lontana dal pieno impiego.

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    12. state guardando dalla parte sbagliata. non c'entra nulla il pieno impiego. i mefo bill crearono inflazione perché la richiesta di marchi e non di carta li fecero saltare quando il trucco venne fuori costringendo la banca centrale a stampare marchi. e siccome i mefo bill furono usati per il settore bellico e non per merci e servizi ecco che la germania non assorbì la deflazione derivante dalla produzione degli stessi in compensazione del settore bellico, il famoso "burro" di schacht che si può mangiare al contrario dei cannoni che immobilizzano il capitale. ma la germania volle fare questo perché sapeva già che si sarebbe andata a prendere il capitale degli altri usando appunto le armi. un gerarca fece la battuta sul fatto che nessuna nazione è caduta per inflazione ma per mancanza di armi. con le conseguenze tragiche che tutti conoscete

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    13. Ma fino al raggiungimento del pieno impiego non si vide nessuna inflazione...

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    14. perché il debito dei mefo fu nascosto e alla fine scaricato sui piccoli zittiti con la forza ovvero un esproprio. i ccf non c'entrano nulla coi mefo e tra l'altro sono alla luce del sole.

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  4. leggo adesso un articolo un po più complesso ed esaustivo rispetto a quello da me lincato precedentemente

    ma a questi signori qua..gia da 25 anni..fa..fior di economisti premi Noble e no LO AVEVA GIà DETTO CHE SAREBBE ANDATA A FINIRE IN QUESTO MODO...(non bisogna stancarsi di dirlo...).

    http://vocidallestero.it/2015/10/07/il-capo-economista-della-bce-ammette-che-leuro-non-funziona/

    Shardan

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    1. se un potere non fa paura che potere è?

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    2. che c'entra questo con gli articoli da me postati ?

      Shardan

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    3. ahhh,,,perfetto...sei stato chiarissimo...adesso mi è tutto chiaro: c'entra.

      Shardan

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    4. ma era una battuta per dire che poi di fronte al dubbio si sceglie l'euro come appunto in italia col 41 delle europee e in grecia col referendum. come può chi va in pensione a 40 anni o chi prende 5mila euro di pensione senza aver lavorato dare la colpa all'euro? è ridicolo.

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    5. Il milione di disoccupati in più che abbiamo (solo in Italia) rispetto al 2008 ha invece tutto il diritto di pensarla diversamente, sull'euro o per essere più esatti dell'eurosistema e sulle sue regole di funzionamento...

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    6. ma il milione di disoccupati ha anche il diritto di chiedere la redistribuzione del welfare (welfare inteso come pubblico e privato) e non l'aumento insostenibile dello stesso dato che la matematica non è una opinione.

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    7. Certamente. L'aumento insostenibile e', per definizione, un errore. Ma non c'è alcun motivo per ridurlre il welfare, se l'Italia recupera un corretto utilizzo del suo potenziale produttivo. Pieno impiego e welfare state efficiente sono due obiettivi pienamente compatibili, anzi uno sostiene l'altro.

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    8. redistribuire non vuol dire ridurre. non perché è giusto farlo moralmente ma perché è efficiente. pieno impiego (qualunque cosa intendiate per esso) si ottiene allargando la torta e non lasciandola così come è

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  5. se un potere non fa paura che potere è?

    Cit. Anonimo

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    In una democrazia e uno Stato di diritto ...il potere non deve (o dovrebbe ) far paura ..deve essere "autorevole "..che è una cosa diversa..e nel contempo deve non solo non far paura ma incutere sicurezza psicologica (del tipo :--->>.."..ci son le istituzioni che mi proteggono...""". )...il potere che "fa paura "...è in uno stato tiranno.....

    Shardan

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    1. appunto. lo stato è tiranno. non fa più ciò che deve fare ma ha iniziato a fare cose che non sono di sua competenza.

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    2. E no,,,stai parlando sul vago...a tuo uso e consumo. Devi essere chiaro..a chi ti riferisci ..stato Italiano di oggi e di ieri...istituzioni europee...UE ..o altro.

      quando scrivi questo in relazione al link da me postato ..devi specificare cosa vuoi dire...e perché ...(una espressione cosi generica ..è suscettibile di diverse interpretazioni...)

      Shardan

      una cosa è certa...da quell'articolo se ne può dedurre questo: L'euro ha fallito (ammesso e non concesso che sia necessario evidenziarlo oggi...era già evidente da tanto )...ora lo stanno dicendo loro ...insomma tutti gli economisti di ieri e di oggi..che lo dicevano avevano ragione

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    3. ha fallito la moneta bancor ovvero la moneta senza stato o senza una vera federazione che l'europa pretese a bretton woods per farsi mantenere dall'america senza ottenerla e che ha cercato di ricostruire in europa nel tentativo di scaricare i costi del suo socialismo al resto del mondo. siccome il socialismo europeo odia sia comunismo e sia il capitalismo di mercato ecco he il sistema si blocca. non va né avanti né indietro. la moneta non c'entra, la moneta vi sta solo dicendo come funziona appunto una moneta. e gli europei rifiutano la verità da secoli.

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    4. aahhhh e te parevaa....la "solita" solfa......ciaooo ;-)))

      Shardan

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    5. tutto è solfa.... la migliore viene scelta

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    6. guarda che la "solfa" è appunto "solfa"....va scartata tutta...altrimenti non sarebbe solfa ;-)))

      si scherza.......;-)

      Shardan

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  6. La vostra e' una proposta interessante, che andrebbe approfondita. Ma il problema principale dell'Italia e' la mancanza di competititivita' del sistema Italia frutto di 40 anni di politiche anti-crescita. Aumentare la spesa pubblica tramite CCF potrebbe dare un po' di sollievo, ma e' una soluzione one-off. Non risolve il problema di base. Se gli italiani non capiscono che i lussi del passato non ce li possiamo piu' permettere e che bisogna aumentare la produttivita', non usciremo mai da questa crisi e il paese continuera' a impoverirsi.

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    1. Ma la produttività è strettamente connessa agli investimenti, i quali a loro volta dipendono dalla domanda. Il post del 9.1.2016 mostra come nel periodo ante euro-austerità la produttività italiana teneva tranquillamente il passo con le altre economie avanzate. E quello del 18.10.2016 quantifica la catastrofica caduta di investimenti prodotta dalla crisi e dalle scellerate politiche adottate soprattutto dal 2011 in poi. Con il 30% di investimenti in meno rispetto al 2007, che recupero di produttività pensa di ottenere ? il ciclo va completamente ribaltato: più domanda, più occupazione, più investimenti e QUINDI più produttività.

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