Le regole dell’attuale
Eurosistema impediscono all’Italia di attuare adeguate politiche fiscali
espansive, in quanto il sistema degli accordi (patto di stabilità e Fiscal
Compact) punta al raggiungimento del pareggio di bilancio pubblico, cosa che
dovrebbe permettere di ridurre gradualmente il rapporto tra debito pubblico e
PIL.
En
passant,
la preoccupazione per il livello di debito pubblico italiano si giustifica,
quasi totalmente, in quanto è debito denominato in una moneta (l’euro) che l’Italia
non emette. Se l’Italia avesse potestà di emissione della moneta di
denominazione del debito, sarebbe sempre in grado di evitare eventi di default.
Ma il debito è in euro, e questo spiega le preoccupazioni per il suo livello. Puntare a ridurlo (in
rapporto al PIL) portando il bilancio pubblico in pareggio, tuttavia, avrebbe un
senso se, e soltanto se, le azioni
fiscali restrittive non avessero l’effetto di comprimere i livelli di attività
economica, e anche l’inflazione.
La storia di
questi anni ha chiaramente mostrato che, al contrario, la via dell’austerità
fiscale imboccata nel 2011 (in una situazione di domanda depressa a causa degli effetti - solo parzialmente recuperati - della “crisi
Lehman” del 2008) ha impedito al PIL sia reale che nominale di crescere. Il
rapporto debito pubblico / PIL ha quindi continuato ad aumentare, mentre gli
effetti su produzione e occupazione (500.000 posti di lavoro persi tra 2012 e
2013) sono stati pesantemente negativi.
L’emissione di Certificati di Credito Fiscale, titoli che non sono debito (in quanto l’emittente
non li deve rimborsare: sono utilizzabili per ridurre il pagamento di tasse future),
consente di rilanciare domanda, produzione e occupazione.
La garanzia che il
debito pubblico calerà in rapporto al PIL è data:
In primo luogo, dal fatto che l’economia
italiana ha un grosso potenziale produttivo inespresso (9% di PIL reale in meno
rispetto al 2007 – nove anni fa !) che può essere pienamente recuperato in pochi
anni, a condizione di reintrodurre domanda nel sistema economico.
Proiezioni formulate in base a ipotesi conservative mostrano che una rapida ripresa è ottenibile
(tramite il progetto CCF) portando nello stesso tempo in equilibrio il saldo
tra incassi e pagamenti statali in euro, e riducendo velocemente il rapporto
debito pubblico / PIL.
In secondo luogo, l’Italia può
adottare una serie di altre azioni che da un lato accelerano la discesa del
debito pubblico (da rimborsare in euro); dall’altro, coprono gli effetti di
eventuali evoluzioni macroeconomiche meno favorevoli del previsto (ad esempio a
causa della congiuntura internazionale).
Su base volontaria
(*), è possibile collocare al pubblico CCF di lungo termine (titoli fiscali,
con interessi e rimborso del capitale in “moneta fiscale”) e/o offrire al
titolare di un CCF che giunge a scadenza la facoltà di accrescerne il valore a
condizione di posporne l’utilizzo. In pratica, viene riconosciuto un tasso d’interesse
“pagato” in moneta fiscale (seguo, qui, le linee di una proposta di Warren Mosler).
Su base forzosa,
nel caso (da ritenersi fortemente improbabile) che tutto quando sopra non fosse
sufficiente, è possibile convertire alcune spese pubbliche, corrispondendole in
CCF e non in euro; e/o introdurre forme di imposizione fiscale che prevedono
versamenti in euro compensati da erogazioni di CCF.
Quest’ultima
eventualità equivale a introdurre “clausole di salvaguardia non-procicliche”
prive dell’invasività e delle conseguenze depressive che caratterizzano quelle
attualmente discusse nelle interazioni tra UE e governo italiano.
E’, evidentemente,
ben diverso ridurre la retribuzione di un dipendente pubblico da 1.500 a 1.400
euro mensili, rispetto a lasciarla a
1.500, corrispondendone però 1.400 in euro e 100 in “moneta fiscale”.
Considerazioni
analoghe si applicano al confronto tra un aumento di imposte “secco” di 100
euro al mese, e un maggior prelievo per i medesimi 100 euro compensati però da 100 CCF.
Il progetto CCF ha
l’obiettivo di rilanciare domanda, produzione e occupazione, portando nello
stesso tempo in equilibrio incassi e pagamenti statali da effettuarsi in euro,
e riducendo rapidamente il rapporto debito pubblico / PIL.
Il successo del progetto
è fortemente plausibile in quanto si fa leva per prima cosa sulla forte capacità produttiva inutilizzata dell’economia italiana.
In subordine, sulla garanzia
costituita dall’elevato risparmio privato italiano. Questo risparmio privato è speculare all'alto livello di debito pubblico, ma ridurre il primo per
abbattere il secondo è una via controproducente (e anzi catastrofica) in quanto
contrae il potere d’acquisto in circolazione nell’economia, e di conseguenza la domanda
e la produzione. Ne segue il peggioramento di occupazione e PIL: e NON si riduce il debito (perché
la compressione del PIL abbatte il gettito fiscale).
La maniera
corretta di utilizzare il risparmio privato a garanzia del debito pubblico
consiste nell’offrire forme di conversione volontaria del debito in titoli
fiscali, come visto al punto (*) sopra.
Se, e solo se,
tutto questo fosse ancora insufficiente, si utilizzano le clausole di
salvaguardia non-procicliche.
La doppia
blindatura del progetto CCF è quindi ottenuta:
UNO, riportando a
corretti livelli di utilizzo il potenziale produttivo italiano: il che implica
anche il riassorbimento della disoccupazione prodotta dalla crisi.
DUE, facendo leva sul
risparmio privato italiano, ma tramite meccanismi di conversione, non di
prelievo / impoverimento dei cittadini.
L’Italia è così in
grado di produrre una forte ripresa di PIL e occupazione senza chiedere nessuna
forma di sovvenzione, né alcun incremento delle garanzie implicitamente oggi
fornite dalla BCE sul debito pubblico in essere.
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