Ancora sul tema
di emettere, o meno, i Certificati di Credito Fiscale in forma liberamente convertibile. Dove per “liberamente
convertibile” s’intende che sia possibile, senza restrizioni, cederli contro
euro sul mercato finanziario.
La proposta di impedire la convertibilità si propone di evitare il rischio di forti pressioni al ribasso sul
prezzo di mercato dei CCF, causate da manovre speculative.
Ora, in aggiunta
e a completamento delle considerazioni già sintetizzate qui, non vedo come queste
pressioni al ribasso possano raggiungere intensità significative. E il motivo è
che il valore del CCF è garantito dalla sua utilizzabilità a fini fiscali.
E’ possibile, e
può essere molto redditizio, speculare al ribasso su un titolo di debito
pubblico denominato in una valuta non emessa dallo stato debitore. L’Italia non
emette euro, e potrebbe quindi non avere euro sufficienti per rimborsare capitale
e interessi a una delle varie scadenze. Esiste un rischio di default. Questa è
l’origine della “crisi dello spread” del 2011-2012, così come è l’origine dei
problemi che periodicamente si vengono a creare quando uno stato si indebita in
moneta estera.
E’ possibile, e
può essere molto redditizio, speculare al ribasso su un cambio fisso. Nel 1992
lo SME saltò, producendo la fuoriuscita dell’Italia (ma anche del Regno Unito) perché
il cambio lira / marco di 750 era sopravvalutato. Sostenere un cambio
sopravvalutato è possibile solo vendendo moneta straniera e comprando la
propria: nel caso specifico, vendendo marchi e comprando lire. Ma in questo
modo si consumano le riserve di valuta estera, che a un certo punto,
inevitabilmente, si esauriscono.
Se invece gli operatori
finanziari speculano contro il CCF, cercando di forzare al ribasso il prezzo,
ad esempio con l’obiettivo di portarlo a 90 a fronte di un nominale di 100, che
cosa succede ? chi ha tasse da pagare tra due anni, non solo per imposte
dirette ma anche per IVA, contributi sociali ecc. (e questa è la situazione di qualsiasi
azienda, di qualsiasi dimensione) comprandoli a quel prezzo ottiene uno sconto
fiscale garantito del 10%: che equivale a un rendimento annuo del 5% circa su
un’operazione d’investimento priva di qualsiasi rischio.
Per chi ha
disponibilità finanziarie, l'incentivo a sfruttare l’opportunità sarebbe fortissimo. La conseguenza è la rapida risalita del prezzo del CCF.
Emettere CCF in forma non convertibile si propone, mi pare, di prevenire
un rischio in realtà inesistente. Mentre crea un’inefficienza vera, rendendo
meno liquido il titolo.
Un commento molto interessante di Biagio Bossone, su un punto accennato in passato ma mai rimarcato a sufficienza: "il CCF non presenta né rischio di credito né rischio di cambio: è più sicuro di un qualunque titolo di debito." Non presenta rischio di credito perché non è un credito destinato a essere rimborsato (lo stato emittente non può essere forzato al default su un CCF). E non presenta rischio di cambio per l'investitore perché è utilizzabile per estinguere un'obbligazione (fiscale) denominata in euro. "Vale euro", in altri termini, a tutti gli effetti al momento dell'utilizzo.
RispondiElimina