Le elezioni tedesche hanno dato un risultato che impone la formazione di un governo di coalizione, probabilmente a tre. Ipotesi più probabile SPD – FDP – Verdi; non è ancora escluso però (almeno sul piano dell’aritmetica) che rimanga in sella la CDU-CSU al posto della SPD.
In entrambi i casi, la FDP (il partito liberale) entrerà comunque al governo con un ruolo importante, ed è pronta a rivendicare la poltrona di ministro delle finanze per il suo leader, Christian Lindner.
Il che preoccupa molti commentatori, perché Lindner è un superfalco, estremamente ostile a qualsiasi revisione in senso espansivo del patto di stabilità e crescita e del Fiscal Compact.
C’è da preoccuparsi, dal punto di vista dell’Italia ?
Dipende da Draghi. Il quale a trattare con un tedesco ottuso, fanatico e dogmatico, ha un certo allenamento. In qualità di presidente BCE, aveva a che fare con Jens Weidmann. Il che non gli ha impedito di varare il whatever it takes nonché, successivamente, il Quantitative Easing.
E li ha varati nonostante i dubbi (tutt'altro che infondati, per dirla in tutta sincerità) che queste azioni non fossero proprio perfettamente in sintonia con i trattati che regolano la governance dell’Eurozona.
Naturalmente, è riuscito a farlo perché l’alternativa era la rottura dell’eurozona (peccato, diranno in parecchi – e quei parecchi hanno tutta la mia simpatia).
Però l’alternativa non è granché diversa oggi. Le regole fiscali dell’Eurozona non possono essere riattivate in termini invariati rispetto all’assetto pre-Covid. Salvo continuare a far finta di volerle rispettare sapendo in partenza che è impossibile.
E Draghi su una cosa dice senz’altro il vero, senza ipocrisie: è indispensabile per l’Italia non solo recuperare la caduta di PIL prodotta dal Covid, ma anche tornare a un passo di crescita ben superiore a quello dell’ultimo quarto di secolo (il quarto di secolo dell'euro…).
Dicendo questo, lo dico un volta di più, non sto mitizzando Draghi. Preferirei avere la lira e non aver bisogno di lui.
Però la lira non l’abbiamo, e allora meglio lui (certo astuto, certo spregiudicato, però una personalità che non prende ordini da un tedesco, o da un non tedesco) rispetto a un lacchè.
Perché Draghi appartiene all’establishment che gli ordini li dà, non li riceve.
Ed è troppo
scaltro e ambizioso per pensare, neanche lontanamente, di declassarsi al ruolo
di un Monti o di un Letta.
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