lunedì 14 settembre 2015

CCF e Fiscal Compact: alcune considerazioni



Il Fiscal Compact è un trattato approvato a fine 2011 che impone limitazioni ai deficit pubblici dei vari stati che l’hanno sottoscritto, nonché un percorso di riduzione del rapporto debito pubblico / PIL. I firmatari sono tutti gli stati dell’Unione Europea, eccettuati il Regno Unito e la Repubblica Ceca.
La finalità del Fiscal Compact è la riduzione dei rischi di insolvenza degli stati, con le loro potenziali conseguenze: dissesto dei sistemi finanziari e bancari, e/o necessità di ricorrere a salvataggi che graverebbero sugli altri stati.
A tal fine, la valenza dei CCF (Certificati di Credito Fiscale) è che sono titoli che non comportano impegni di rimborso. Lo stato emittente assume solo l’obbligo – nei confronti del titolare di un CCF - di ridurre (a partire da una data futura prestabilita) i pagamenti dovuti per tasse, imposte o altre obbligazioni finanziarie.
Nessuno stato che emetta un CCF può quindi trovarsi costretto a essere inadempiente nei confronti dell’impegno assunto con l'emissione del CCF stesso.
Gli obiettivi del Fiscal Compact sono quindi conseguiti da un sistema CCF integrato da adeguate clausole di salvaguardia.
Tutto questo, senza creare condizioni di prociclicità che impediscono alle economie di superare in tempi ragionevoli shock esogeni negativi, e per di più, nello stesso tempo, vanificano gli obiettivi stessi del Fiscal Compact.
Uno stato che emetta CCF è sempre in grado di attuare azioni di rilancio della domanda e di miglioramento della competitività delle proprie aziende, rispettando vincoli quali il 3% massimo di rapporto deficit pubblico / PIL (o anche inferiore), o la riduzione graduale, in un periodo di tempo per esempio di vent’anni, del rapporto debito pubblico / PIL. Dove il deficit è definito come saldo tra pagamenti e incassi del settore pubblico effettuati in euro (o in altre monete straniere), e il debito come ammontare dei titoli di Stato che devono essere rimborsati in euro (idem: o in altre monete straniere).
Le erogazioni di CCF e l’ammontare di CCF in circolazione non rilevano, a tali fini, perché non esiste rischio di default sull’impegno connesso a un CCF.
Nelle condizioni odierne, al contrario, il tentativo di rispettare gli obiettivi del Fiscal Compact in un contesto di economia depressa comporta pesanti e permanenti effetti negativi su domanda e occupazione, e per di più rende impossibile il raggiungimento degli obiettivi stessi.

6 commenti:

  1. non c'è differenza se il debito ccf graverà sui cittadini e non sullo stato perché il debito privato alla fine del ciclo economico finisce sempre sulle casse statali e quindi sulle tasse.

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  2. OTTIMO ARTICOLO COME SEMPRE

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  3. il veto sul fiscal compact? Ok, ma se non abbassiamo il debito/pil, appena salgono i tassi si "balla".
    Pierluigi Dei negri cit.
    Lorenzo Zanellato

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    1. Non se rimane in essere il "whatever it takes" di Draghi (e se viene meno salta l'euro).

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    2. Draghi è in scadenza.
      Cit. Pier
      Lorenzo Zanellato

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    3. A fine 2019. Poi rimane valida la seconda parte del commento precedente...

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